«L'Europa e il ruolo della Chiesa. Roma non divida quello che unì»
Mario Monti, su corriere.it 25 marzo 2007

[Testo della Dichiarazione di Berlino, sottoscritta dai 27 Paesi]

La migliore prova di vitalità dell'Unione europea, a cinquant'anni dalla sua nascita, è data dall'acceso dibattito, che da Roma soprattutto promana, sui valori etici e sui fondamenti religiosi. Non ci si batterebbe affinché vengano riconosciuti determinati valori, capaci di orientarne lo sviluppo, se si considerasse quella costruzione decadente, priva di futuro. È un dibattito essenziale per dare più anima e più vigore all'Ue. Nobile nella preoccupazione spirituale che lo muove e lo illumina, ma che potrebbe risultare nefasto se fosse visto come occasione di protagonismo da personalità e partiti attenti alle proprie convenienze, forse ancor più che all'identità spirituale dell'Europa del futuro.

Un convegno promosso a Roma dalla Comece (Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea) conclusosi ieri con l'intervento del Papa, ha messo in luce posizioni diverse. E ha determinato in me qualche riflessione personale. Vedo un vuoto, pericoloso, tra un orgoglio legittimo, fondato su 2000 anni di storia, e una richiesta pure legittima per orientare l'avvenire. L'orgoglio per il ruolo avuto dalle radici religiose, in particolare cristiane, nella storia d'Europa, e la richiesta che queste radici vengano formalmente, costituzionalmente riconosciute. Il vuoto è ciò che sta in mezzo: i tratti distintivi non tanto dell'Europa quanto dei cinquant'anni di integrazione europea. È vero che i valori religiosi, e cristiani, permeano da due millenni l'Europa e ne hanno plasmato la grandezza civile, culturale. Ma in quei due millenni, malgrado quei valori — e purtroppo talora in nome di quei valori — l'Europa ha fatto infinite guerre. È invece in pace, eccezionalmente, da cinquant'anni. Questo per effetto dell'integrazione. Il Trattato di Roma non ha dichiarato valori etici, ma ha indotto a praticarli.

Di solito non si fa lo sforzo di guardare se la Ue, come si sta realizzando, si mostra o no coerente nei fatti con i principi etici. Per iniziativa della Comece, questo esercizio è stato fatto (con il documento «Un'Europa dei valori. La dimensione etica dell'Unione europea»). Si mostra come, in tante aree diverse, ciò che la Ue sta realizzando, senza avere proclamato valori, rispetta le esigenze etiche ben più di quanto sia avvenuto con le politiche praticate in vari Stati membri, ricchi di dichiarazioni etiche nelle loro costituzioni e nei loro programmi politici. Solo due esempi: la solidarietà intergenerazionale (attraverso la disciplina delle finanze pubbliche e la politica per l'ambiente), la parità di trattamento tra Stati grandi e piccoli, grazie al metodo comunitario.

Moltissimo resta da fare, per avere un'Europa più efficace, più capace di valorizzare la persona umana, meglio in grado di promuovere nel mondo i suoi valori. Il Papa ha ieri offerto indicazioni ampie e di grande rilievo. Sarebbe davvero riduttivo, a mio parere, concentrare soverchia attenzione sulla richiesta dell'esplicito riconoscimento delle radici cristiane. Se questo riconoscimento ci sarà, sia il benvenuto. Se non dovesse raccogliere la necessaria unanimità degli Stati membri, si cerchi di non sommare a questa delusione un danno di portata ben maggiore. Non usino, quegli Stati e quelle forze politiche che da qualche tempo si sono dati con forte visibilità questo obiettivo, non usino l'eventuale insoddisfazione per screditare la Ue agli occhi dei loro cittadini, magari presentandola come il «luogo del male». In una fase in cui molti considerano non altissima la credibilità del mondo politico, certo inferiore a quella della Chiesa, con un tale atteggiamento essi otterrebbero forse qualche soddisfazione elettorale. Ma renderebbero ancora più difficile la costruzione di quell'Unione europea migliore, che dicono di volere.

25 marzo 2007

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