angolo
   


di Enrico Maria Radaelli

La formidabile coincidenza tra le idee del grande filosofo svizzero (ora ripubblicato) e il titolo dell’enciclica sociale di Benedetto XVI

Enrico Maria Radaelli è curatore delle opere di Romano Amerio, docente di Filosofia dell’estetica e direttore del dipartimento di Estetica dell’Associazione internazionale “Sensus Communis” (Roma). Inoltre ha collaborato alla cattedra di Filosofia della conoscenza della Pontificia Università Lateranense. In occasione della riedizione di Iota unum e Stat Veritas (Lindau), ha scritto per Tempi il commento qui pubblicato sulla (casuale?) corrispondenza tra il pensiero di Amerio e il tema della recente enciclica sociale di Benedetto XVI.

Andare, per me, da Milano a Lugano, era come salire sui dirupi. Le pagine di metafisica che raccolsi in alti conversari da Romano Amerio, aprendole nel suo studio tra i raggi di luce meridiani e chiudendole all’ombra dei vespri, presero forma in un lavoro di cesello compiuto con cura, senza fretta. I discorsi e le chiose si sviluppavano con placidità e purezza nella quiete di un pensiero sempre sull’orlo dell’infinito. Terminarono dieci ore prima di quella in cui l’uomo si addormentò, sereno, nel Signore.

Queste pagine di libertà e di verità nacquero a Lugano circa nel ’35 del secolo scorso ed ebbero cinquant’anni dopo, con Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, una prima conclusione. Ripresero vita nel ’94, quando chiesi per l’appunto al Professore se se la sentiva di soffermarsi a fare qualche considerazione sulla lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Queste considerazioni fecero da “firma” al libro che lo aveva reso famoso come l’autore più osteggiato e più sotterrato dell’epoca moderna malgrado fosse l’autore che aveva trovato il bandolo della sua crisi.

In tutte le sue pagine, e in quelle di Stat Veritas. Seguito a «Iota unum», non si trovano mai le parole “caritas in veritate”, ma esse sono dovunque, è come se si celassero nella carta delle pagine e da lì traspirassero: i due libri, in realtà un unico capolavoro, prepotentemente escono ora nella preziosa veste che ha dato loro Lindau in straordinaria consonanza con la terza enciclica di Benedetto XVI: e non solo consonanza di impostazione, ma consonanza persino – sfacciata Provvidenza – nei tempi di pubblicazione.

Che Qualcuno voglia segnalarci qualcosa? Se è così, non lasciamocelo sfuggire: preso saldamente in mano l’Amore (con la sua prima enciclica, Deus caritas est, Dio è amore), papa Ratzinger configge questo grande stendardo della vita al centro della piana del mondo, proprio dove sta la verità da cui nasce la vita. Caritas in veritate è un’impostazione metodologica. Mettere l’amore, la carità, nella Verità, non è che seguire nella nostra piccola vita di uomini alle prese con noi stessi e con il mondo la stessa impostazione “logica” che si trova – insegnano i grandi padri e dottori della Chiesa a partire dal Prologo di san Giovanni – nella vita grande della santissima Trinità.

Romano Amerio è l’unico filosofo di area cattolica e non cattolica – e sottolineo l’unico – ad aver fondato, quasi ne avesse il copyright, tutta la sua disamina critica su qualsivoglia soggetto tenendo a pietra d’inciampo e a suo principio primo il logos, la parola, e lasciando ogni altra cosa (persino l’amore, la pace, la libertà, la volontà) dietro di lui e sotto. Il logo, il pensiero, la verità, l’intelletto: equivalenze le cui specificità emergono secondo la peculiare interfaccia da prendere, ma sempre intendendo con ciò il principio formale che è sostanza dell’essere umano e che prima ancora è sostanza al sommo Ente che principia tutto il creato: la ragione.

Il logos, la ragione, l’intelletto, è l’assoluto governatore delle cose. Per contro, il più comune dei modi di pensare che oggi fa presa sul comportamento umano, e che non ha neanche un vero nome, ma uno slogan, dice: «Sopra tutto c’è l’amore». E Amerio osserva: «No, non c’è l’amore, perché sopra l’amore c’è il pensiero, la disposizione che dice: “Sopra tutto c’è l’amore”». Dunque non un gioco di parole, ma un’impostazione totalizzante, un luogo profondissimo che tiene lontano da noi tutto ciò che apparentemente ci somiglia (l’amore ci somiglia) ma che se non gli diamo il giusto posto ci asservisce e anche ci uccide.

È ciò che Amerio chiama «la dislocazione della divina Monotriade». E spiega: «Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto procede dal pensato. Se si nega la precessione del pensato dal vissuto, della verità dalla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade; allo stesso modo separare l’amore, la carità, dalla verità non è cattolico».

Le edizioni Lindau hanno cominciato a pubblicare, per la prima volta nell’editoria, tutte le opere più significative di questo pensatore così simile a un antico cristallo, a cominciare da Iota unum e Stat veritas, due gemelli di mille pagine. Se una casa editrice ha come missione scoprire talenti culturali, scelta più felice non poteva esser fatta: uscire con questa alta abbinata butta contemporaneamente sulle bilance il nodo gordiano del problema (la continuità) e la sua più limpida e felice risoluzione (la Tradizione): con Iota unum il novello Porsenna getta sulle bilance le mille prove del «cangiamento di essenze» portato col Vaticano II, prove così innegabili che all’epoca nessuna autorità ufficiale o ufficiosa della Chiesa trovò argomenti per controbattere, consapevole di non poter sconfessare testi così solidi e lasciando che a ciò si esponesse la rumorosa corrente progressista tutt’ora dominante.

I veri nemici della novità

Si può così dare (si veda la mia Postfazione a Stat Veritas), ai relativisti e pirronisti che irrazionalmente “accartocciano la conoscenza” come Francis Bacon il volto umano, a quelli cioè che Amerio chiama «neoterici», un colpo che in boxe si chiamerebbe upper-cut, un colpo a uncino che li metta ko, e non si abbia timore di chiamare costoro «misoneisti», odiatori di ogni novità, qualsiasi essa sia e da qualsiasi parte provenga, proprio loro che hanno fatto delle novità il loro motivo di vita. Se vi è un “indiscriminato e assoluto orrore per qualsiasi novità” si deve credere che le novità di cui si ha orrore siano allora una sola, ma cardinale: la novità di cui l’intelletto umano può avere il massimo orrore è quella che gli fa mancare da sotto i piedi la stabilità.

Misoneismo è il flagello di bruttezza da cui siamo circondati e percossi da almeno mezzo secolo, e da almeno mezzo secolo penetrato con virulenza anche nella Chiesa per tutte le Muse che incoronano la sacra Liturgia. Il misoneismo culturale e religioso che ci affligge sarà vinto e superato solo dal ripristino, in primo luogo, del metodo della vita, metodo che, come indicato da Amerio, discende dalla giusta disposizione dell’ordine delle Essenze trinitarie, e solo col quale «vengono tirate fuori dal tesoro cose vecchie e cose nuove» (Mt 13, 52), essendo il nuovo, ogni volta e in ogni tempo, la serena e sorridente realizzazione nell’oggi del vecchio e dell’antico.

Chi deturpa il Volto pugnala la Parola, e chi squarcia il Viso del Logos squarcia il Logos, la nostra vita.


© Copyright Tempi, 21 luglio 2009

| home |

| inizio pagina |

   
angolo