Benedetto XVI incontra i
Vescovi, con i problemi e le speranze, dell'America Latina
Salvatore Mazza, su "Avvenire del 29 aprile 2005

Un Continente che non vuol restare l’«eterna speranza» della Chiesa. E per risolvere le sue contraddizioni vuole ripartire dall’evangelizzazione (nell’era delle sette) e dalla promozione umana (tra i dimenticati del mondo). Benedetto XVI ha incontrato ieri in Vaticano la presidenza del Celam, l'organismo che riunisce le Conferenze episcopali della regione. Già indetta per inizio 2007 la quinta assemblea


Grande, tormentata, vitale. Ricca di ambizioni e di attese, ma pressata da problemi e contraddizioni infinite. Forse perfino stanca dell'appellativo Continente della speranza che, cinquecento anni dopo il primo riconoscimento sulle carte geografiche, sembra volerla consegnare ab aeternum al ruolo di promessa non mantenuta. Eppure, di cammino, l'America Latina ne ha compiuto. E tanto. Cammino in cui la Chiesa ha avuto ruolo e peso determinanti. Ne avrà certamente parlato ieri Benedetto XVI con la delegazione del Celam, l'organismo che raduna le Conferenze episcopali latinoamericane, ricevuta in udienza con il suo presidente, il cardinale arcivescovo di Santiago del Cile Francisco Javier Errázuriz Ossa. 

Un incontro con un importante appuntamento già sullo sfondo: la quinta assemblea generale del Celam che Giovanni Paolo II aveva convocato per il febbraio 2007.

 Un'occasione, dunque, per fare il punto sulle luci e sulle ombre di questa area del mondo. «Credo che il nostro continente - commenta il cardinale Claudio Hummes, arcivescovo di San Paolo del Brasile - sia l'esempio che il secolarismo non necessariamente è l'elemento predominante in una società che si modernizza. L'America Latina si sta modernizzando, ma non ha perso la religione e la pratica della religione. E questa è una testimonianza importante, la prova che non bisogna desistere dal risollevare le sorti della religione nei Paesi ricchi e scristianizzati, perché la religiosità non si perde a causa della modernità». Per questo, aggiunge, «c'è bisogno di dare molta attenzione all'America Latina, che in questo momento è abbastanza dimenticata». 

Parole «pesanti», quelle di Hummes. Esagerate? Davvero non sembra. Per almeno tre decenni, dagli anni Sessanta in avanti, al Continente latinoamericano s'è guardato come a una sorta di gigantesco laboratorio politico, sociale, religioso. Poi, col crollo del muro, anche l'interesse è crollato. Ma sono rimasti i problemi. Quelli vecchi: « Siamo passati dalle dittature militari molto repressive a una democrazia che potremmo chiamare "formale" - spiega il cardinale cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, arcivescovo di Santo Domingo -. 

Quel che si percepisce oggi in America Latina è proprio il fatto che l'aver conquistato la democrazia non ha significato necessariamente il risanamento della vita politica. Abbiamo ottenuto la libertà, ma quella libertà e quella democrazia non sono state tradotte in fatti concreti, per esempio, sotto l'aspetto dell'equità distributiva». 

E problemi nuovi: «Abbiamo perso un decennio (gli anni Novanta, ndr) e il problema del debito estero è esploso - rileva il cardinale Jaime Lucas Ortega Y Alamino, arcivescovo dell'Avana -. E si vorrebbe che la Chiesa accettasse le campagne demografiche presentate come risposta a questo problema. Nella nostra America, a volte, si parla del grande scandalo della conquista spagnola, che fece diminuire il numero degli abitanti del continente, ma non arrivò ad annientarli. Oggi invece si pretende di applicare delle politiche apparentemente molto moderne, ma che invece sono realmente lesive della dignità dei popoli». 

Per la Chiesa, così, a quasi quarant'anni dalla Conferenza di Medellin «evangelizzazione» e «promozione umana» restano le due piste irrinunciabili da battere. E lo restano tanto più oggi, sotto la spinta sempre più forte da un lato delle sette e, dall'altro, di una globalizzazione che allarga il solco tra ricchezza di pochi e indigenza di molti. 

Riproponendo la scelta preferenziale per i poveri come bandiera dell'impegno della Chiesa: «Le sette non sono che un'espressione del nostro tempo - osserva il cardinale brasiliano Serafim Fernandes de Araujo, arcivescovo di Belo Horizonte -. Il mondo ha fatto in modo che ognuno creasse la propria religione. E questo fatto rende deboli tutte le religioni. 

Quindi l'attenzione deve essere spostata dai numeri alla coscienza». Perché «il problema fondamentale - insiste Lopez Rodriguez - è di ordine morale, con tutte le sue proiezioni nel campo familiare, economico, internazionale. Io penso che la grande sfida con la quale avrà a che fare la Chiesa nel prossimo millennio sarà di presentare con molta chiarezza e coerenza il messaggio del Vangelo». 

Con chiarezza, senza nostalgie. Senza rinnegare il passato ma, anche, senza ripercorrerne le derive: «La teologia della liberazione - ricorda ancora Hummes - è stata uno degli ingredienti che costituiscono il modo di essere della Chiesa rispetto alla povertà, un modo di agire. In questo senso ha contribuito a definire le modalità con cui la Chiesa ha agito, in termini di solidarietà verso i poveri. Di questo c'era bisogno. Credo, come disse Papa Wojtyla nel momento di critica più forte di quella corrente contro la Chiesa, che "è necessaria una vera teologia della liberazione". Ciò che si criticava in essa era l'aver adottato la dottrina marxista che includeva una proposta rivoluzionaria, probabilmente violenta».
____________________
[Fonte: Avvenire del 29 aprile 2005] 
 

| home | | inizio pagina |