Islam e democrazia in un incontro segreto a Castelgandolfo
Sandro Magister su L'Espresso 23 e 26 gennaio 2006

Il resoconto di un weekend di studio sull’islam tra il papa e suoi ex allievi di teologia. Con due versioni contrastanti su come Benedetto XVI giudica la religione musulmana

 Testo dell'articolo
 Intervista a Padre Joseph Fessio
 Parere dell'islamologo Samir Khalil Samir 
 Pensiero di Benedetto XVI (tratto dal libro "Il sale della terra..."
Castelgandolfo rivisitato. I Gesuiti accorrono in aiuto del Papa


L’islam è un tema sul quale, negli anni, Joseph Ratzinger ha scritto poco. Ma è un tema che gli è ben presente, tanto più da quando è divenuto papa. Lo scorso settembre, a Castelgandolfo (vedi foto), egli ha dedicato proprio all'Islam due giornate di studio a porte chiuse.

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Dell’incontro, con due esperti islamologi ed un gruppo di suoi ex allievi di teologia, era trapelata la notizia. Ma fino allo scorso 5 gennaio nulla si sapeva di ciò che vi si era detto.

Il 5 gennaio, però, uno degli ex allievi di Ratzinger che hanno partecipato all’incontro, il gesuita americano Joseph Fessio, rettore della Ave Maria University di Naples in Florida e fondatore dell’editrice Ignatius Press, ne ha fornito un ampio resoconto in uno dei più ascoltati talk show radiofonici degli Stati Uniti: Hugh Hewitt Show.

Nell’intervista, padre Fessio ha riferito anche il pensiero espresso dal papa nel corso della discussione. A suo giudizio, Benedetto XVI riterrebbe inconciliabili l’islam e la democrazia.

Tuttavia, interpellato da www.chiesa, un altro dei partecipanti all’incontro, Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, professore di islamologia all’Université Saint-Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma, ha dato una diversa interpretazione del pensiero del papa. A giudizio di padre Samir, Benedetto XVI riterrebbe sì molto difficile conciliare islam e democrazia, ma non impossibile.

Intervenendo nella discussione, il papa avrebbe proprio voluto spiegare le ragioni di questa difficoltà.

L’incontro dello scorso settembre a Castelgandolfo è stato l’ultimo di una serie di incontri di Ratzinger con suoi ex allievi, uno all’anno.

I primi furono quando Ratzinger era professore di teologia a Ratisbona. Divenuto arcivescovo di Monaco, lo pregarono di continuare ed egli accettò. Lo stesso avvenne quando si trasferì a Roma come prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Gli incontri duravano un finesettimana e avvenivano di solito in un monastero. Al termine dell’incontro del 2004 i partecipanti si lasciarono con già fissato il tema dell’anno seguente: l’islam, o più precisamente, il concetto islamico di Dio. Già fissati erano anche i due esperti che avrebbero introdotto la discussione: padre Samir Khalil Samir e un altro gesuita islamologo, Christian Troll, tedesco.

Nella primavera del 2005, eletto Ratzinger papa, i suoi ex allievi pensarono che la cosa sarebbe finita. Ma non fu così. Benedetto XVI disse loro che ci teneva moltissimo a continuare. Il che sta avvenendo. Per l’incontro del 2006 il tema sarà il rapporto tra cristianesimo e scienza.



Ecco dunque i passaggi centrali del resoconto radiofonico di padre Joseph Fessio, intervistato da Hugh Hewitt:                                                                    
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”E il Santo Padre, con la sua calma beata ma con nettezza, disse...”

Da: The Hugh Hewitt Show, 5 gennaio 2006

JF: La relazione introduttiva di padre Troll fu molto interessante. La basò su uno studioso musulmano del Pakistan di nome Rashan, per vari anni professore all’Università di Chicago, e la posizione di Rashan era che l’islam può entrare in dialogo con la modernità, ma solo se reintepreta radicalmente il Corano, e prende la specifica legislazione del Corano, come il taglio della mano per i ladri, o l’avere quattro mogli, o altre cose, e coglie i principi sottostanti a queste specifiche norme che risalgono all’Arabia del VII secolo, e li applichiamo oggi, e li modifichiamo, per una nuova società in cui le donne sono rispettate nella loro piena dignità, in cui la democrazia ha rilevanza, la libertà religiosa ha rilevanza, e così via. E se l’islam fa questo, allora sarà in grado di entrare in dialogo effettivo e di vivere con le altre religioni e gli altri tipi di cultura.

HH: Era ottimista? Pensava che ciò possa accadere?

JF: Lui lo era. Ma è interessante notare che in tutti i seminari che ricordo Joseph Ratzinger, padre Ratzinger, ha sempre lasciato che gli studenti parlassero. Se interveniva, lo faceva alla fine. Invece questa è stata la prima volta, a mia memoria, in cui egli è intervenuto subito. E io sono ancora scosso dal suo intervento, tanto è stato poderoso.

HH: E che cosa ha detto il papa?

JF: La tesi, dunque, che era stata proposta da padre Troll era che l’islam può entrare nel mondo moderno se il Corano è reinterpretato prendendo la specifica legislazione e ritornando ai principi, e poi adattando questo ai nostri tempi, specialmente alla dignità che noi riconosciamo alle donne e che è arrivata attraverso il cristianesimo, naturalmente. E subito il Santo Padre, con la sua calma beata ma con nettezza, disse che questo pone un fondamentale problema, poiché, disse, nella tradizione islamica Dio ha dato la sua parola a Maometto, ma è una parola eterna. Non è parola di Maometto. È così com'è per sempre, è sempre uguale. Non c’è possibilità di adattarla o di interpretarla, mentre invece nel cristianesimo, nell’ebraismo, la dinamica è completamente differente, è Dio che agisce attraverso le sue creature. E quindi non è solo la parola di Dio, è la parola di Isaia. Non è solo la parola di Dio, ma è la parola di Marco. Dio ha fatto uso delle sue creature e le ha ispirate a dire la sua parola al mondo, e quindi ha stabilito una Chiesa nella quale egli dà l’autorità ai suoi seguaci di trasmettere la tradizione e di interpretarla. C’è un’intima logica nella Bibbia cristiana, che permette ciò e richiede che sia adattato e applicato alle nuove situazioni. Io sono stato... Vorrei proprio saper dire questo con la calma e la bellezza con cui lui si espresse, ma lui è il papa e io no, vero? Questa è una delle ragioni. Una fra tante, ma il suo vedere questa distinzione tra il Corano che è visto come qualcosa che scende dal cielo e che non può essere adattato o applicato, e la Bibbia che è una parola di Dio che arriva attraverso una comunità umana, ecco, questo mi ha davvero scosso.

HH: E allora è corretto descriverlo come pessimista circa la prospettiva di una modernità che si adatti all’islam nel modo in cui la modernità s’è adattata al cristianesimo?

JF: Beh, direi al contrario.

HH: Sì. Intendo questo.

JF: Appunto, che il cristianesimo possa adattarsi alla modernità come ha fatto... come gli ebrei fecero con l’Egitto o i cristiani fecero con la Grecia. Poiché noi possiamo prendere ciò che lì è buono e possiamo elevarlo attraverso la rivelazione di Cristo nella Bibbia. Ma l’Islam è bloccato. È bloccato a un testo che non può essere adattato, o nemmeno interpretato appropriatamente.

HH: E quindi il papa è pessimista sul cambiamento, poiché esso richiederebbe una radicale reinterpretazione di ciò che il Corano è?

JF: Appunto, cioè non è possible per niente, poiché va contro la vera natura del Corano, così come inteso dai musulmani.

HH: E dunque, anche quel processo dialettico che è stato la Riforma non è possibile nell’islam?

JF: No. E poi una seconda cosa che egli non disse, ma che io avrei detto, avrei potuto dire in quel momento... e questo da un punto di vista cattolico, è che non c’è nessuno che interpreti il Corano ufficialmente. La Chiesa cattolica ha un interprete ufficiale, che è il Santo Padre con i vescovi.

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Dunque, stando al resoconto di padre Fessio, Benedetto XVI giudicherebbe l’islam incompatibile con la democrazia.

Stando invece a un altro partecipante al medesimo incontro, l’islamologo gesuita Samir Khalil Samir, il papa sarebbe meno pessimista. Riterrebbe possibile l’incontro tra islam e democrazia, ma “a condizione di una radicale reinterpretazione del Corano e della concezione stessa della rivelazione divina”.

Nel secondo giorno del colloquio di Castelgandolfo, intervenendo come esperto, padre Samir sviluppò proprio questo aspetto della questione.

La disputa non è solo teorica. L’una o l’altra interpretazione ha forti riflessi anche geopolitici. La complessiva strategia americana in Iraq e nel Grande Medio Oriente è fondata proprio sulla possibilità che in quelle regioni musulmane nasca e cresca la democrazia.

E così il futuro dei milioni di immigrati musulmani in Europa. Un islam conciliato con la democrazia ne consente l’integrazione. Un islam incapace di distinguere tra Dio e Cesare li trattiene in stato di “alienazione”.

È quanto scrisse anni fa Ratzinger in uno dei suoi rari commenti sull’islam, in tre pagine del libro-intervista “Il sale della terra”, pubblicato in Germania nel 1996, negli Stati Uniti l’anno seguente – per i tipi dell’Ignatius Press, l’editrice di padre Joseph Fessio – e in Italia nel 2005 dalle Edizioni San Paolo.

È il brano riportato qui sotto. Da leggersi con l’avvertenza che da quando fu scritto sono passati quasi dieci anni densissimi di avvenimenti e di ulteriori riflessioni:




La shari’a plasma una società da cima a fondo...”                         
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di Joseph Ratzinger


Anzitutto, si deve ricordare che l’islam non è una grandezza unitaria, non ha nemmeno un’istanza unitaria, perciò il dialogo con l’islam non è sempre un dialogo con determinati gruppi. Nessuno può parlare a nome di tutto l’islam, che non ha un magistero dottrinale comune. Indipendentemente dalle divisioni tra sunniti e sciiti, esso si presenta anche in diverse varianti. C’è un’islam “nobile” rappresentato ad esempio dal re del Marocco, e c’è quello estremista e terrorista, che però non deve neppure essere identificato con l’islam in generale, poiché gli si farebbe comunque torto.

È importante chiarire che l’islam pensa e organizza in maniera completamente diversa i rapporti tra società, politica e religione. Se oggi si discute in Occidente della possibilità di facoltà teologiche islamiche o del concetto di islam come ente di diritto pubblico, si presuppone allora che tutte le religioni siano ovunque strutturate in modo uguale; che esse si adattino tutte a un sistema democratico, con i suoi ordinamenti e i suoi spazi di libertà, garantiti proprio da questi stessi ordinamenti. Tutto questo, però, appare in contraddizione con l’essenza stessa dell’islam, che non conosce affatto la separazione tra la sfera politica e quella religiosa, che il cristianesimo portava in sé fin dall’inizio. Il Corano è una legge religiosa che abbraccia tutto, che regola la totalità della vita politica e sociale e suppone che tutto l’ordinamento della vita sia quello dell’islam. La shari’a plasma una società da cima a fondo. Di conseguenza l’islam può sfruttare tali libertà, concesse dalle nostre costituzioni, ma non può porre tra le sue finalità quella di dire: sì, ora siamo anche noi ente di diritto pubblico, ora siamo presenti come i cattolici e i protestanti. A questo punto esso non ha ancora raggiunto pienamente il suo vero scopo, si trova ancora in una fase di alienazione.

Diversamente dai nostri modelli, l’islam pensa la realtà della vita e della società in maniera assolutamente totalizzante, esso abbraccia tutto e il suo ordinamento della vita è diverso dal nostro. Esiste un chiaro assoggettamento della donna all’uomo, come anche un ordinamento del diritto penale e delle relazioni sociali molto rigido e opposto ai nostri moderni concetti di società. Deve esserci chiaro che non si tratta di una confessione come tante altre, e non si inserisce nello spazio di libertà della società pluralistica. Se lo si presenta così, come oggi talvolta capita, l’islam è declinato secondo un modello cristiano e non è visto nella sua vera essenza. Perciò il problema del dialogo con l’islam è naturalmente molto più complicato di quanto avvenga nel dialogo tra cristiani.

Il rafforzamento mondiale dell’islam è un fenomeno che presenta vari aspetti. Da una parte vi concorrono degli aspetti finanziari. Il potere finanziario raggiunto dai paesi arabi permette loro di costruire dappertutto grandi moschee e di assicurare una presenza di istituzioni culturali musulmane. Questo però è sicuramente solo un fattore. l’altro è una identità rafforzata ed una nuova autocoscienza.

Nella situazione culturale del secolo XIX e dell’inizio del secolo XX, dunque fino agli anni Sessanta, la superiorità dei paesi cristiani era militarmente, politicamente, industrialmente e culturalmente così significativa, che l’islam era confinato in secondo piano e le civiltà di tradizione cristiana si potevano configurare come la potenza vittoriosa della storia mondiale. Poi è sopravvenuta la grande crisi morale del mondo occidentale, che è poi il mondo cristiano. Di fronte alle profonde contraddizioni dell’Occidente e alla sua confusione interiore – di fronte alla quale contemporaneamente si sviluppava una nuova potenza economica dei paesi arabi – si è risvegliata l’anima islamica: siamo noi che abbiamo una identità migliore, la nostra religione resiste, voi non ne avete più nessuna.

Oggi sono proprio questi i sentimenti del mondo musulmano: i paesi occidentali non sono più in grado di portare nessun messaggio di carattere morale, hanno da offrire al mondo solo know-how; la religione cristiana ha abdicato, non esiste più come religione; i cristiani non hanno più morale né fede, ci sono solo i resti di qualche moderna idea illuministica; noi abbiamo la religione che resiste.

Così i musulmani hanno ora la consapevolezza che l’islam, alla fine, è davvero rimasto sulla scena come la religione più vitale, che essi hanno da dire al mondo qualcosa e che sono dunque la vera forza religiosa del futuro. Prima la shari’a e tutto il resto erano usciti di scena, ora c’è il nuovo orgoglio. Così si è risvegliato un nuovo entusiasmo, una nuova intensità nel voler vivere l’islam. Questa è la sua grande forza: abbiamo un messaggio morale, che è ininterrotto dall’epoca dei profeti, e diremo al mondo come si può vivere, i cristiani non lo possono più fare. Con questa forza interiore dell’islam, che sta affascinando anche gli ambienti accademici, dobbiamo sicuramente confrontarci.



Il libro da cui è stato tratto il brano:
Joseph Ratzinger, “Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo”, un colloquio con Peter Seewald, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2005, pp. 330, euro 18,00.

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Castelgandolfo rivisitato. I gesuiti accorrono in difesa del papa

Padre Fessio dà ragione ai confratelli Troll e Samir. E insieme testimoniano che per Benedetto XVI l’islam è riformabile e può accordarsi con la modernità. Ma a caro prezzo
Poche ore dopo la messa in rete del precedente servizio di www.chiesa su Benedetto XVI e l’islam, il contrasto d’interpretazioni circa il pensiero del papa si è appianato.

Il contrasto verteva sulla riformabilità dell’islam, e di conseguenza sul rapporto tra l’islam e la modernità.

Il gesuita americano Joseph Fessio – che assieme ad altri ex allievi di Joseph Ratzinger aveva partecipato, lo scorso settembre a Castelgandolfo, a un incontro di studio col papa sul concetto di Dio nell’islam – aveva riferito in un’intervista radiofonica del 5 gennaio che, in quell’incontro, il papa aveva definito inconciliabili islam e modernità.

Ma altri partecipanti all’incontro, i gesuiti islamologi Christian W. Troll, tedesco, e Samir Khalil Samir, egiziano, avevano dato una diversa versione del pensiero del papa. Stando alla loro testimonianza, Benedetto XVI aveva giudicato sì molto difficile conciliare islam e modernità, ma non impossibile.

Negli Stati Uniti, il drastico giudizio del papa sull’irreformabilità dell’islam – così come inizialmente riferito da padre Fessio – non è passato inosservato. È stato vivacemente discusso sui forum online di “Asia Times” e “National Review”, e commentato da due celebri columnist: Daniel Pipes su “The New York Sun” del 17 gennaio e Diana West su “The Washington Times” del 20 gennaio.

Scarsa attenzione, invece, è stata data all’altra versione, quella dei padri Troll e Samir.

Che però era la versione che riferiva più correttamente il pensiero del papa.

Come lo stesso padre Fessio ora riconosce.

In una lettera del 20 gennaio a “The Washington Times” e in un messaggio del 23 gennaio a www.chiesa, padre Fessio ammette di aver “riferito male ciò che il Santo Padre effettivamente disse”. Riconosce che “la messa a punto di Samir Khalil Samir è accurata”. E spiega:

“La più importante chiarificazione [che intendo fare] è che il Santo Padre non ha detto, né io ho detto, che ‘l’islam è incapace di riforma’. [...] Ho fatto un serio errore di precisione quando ho detto che il Corano ‘non può essere adattato o applicato’ e che ‘non c’è possibilità di adattarlo o interpretarlo’. Questo è certamente ciò che il Santo Padre non ha detto. Sicuramente il Corano può essere ed è stato interpretato e applicato. Ho fatto una sintesi (troppo) sbrigativa della distinzione che il Santo Padre ha fatto tra il dinamismo interiore del Corano come testo divino consegnato come tale a Maometto, e quello della Bibbia che è sia parola di Dio sia parola di uomini ispirati da Dio, dentro una comunità che contiene interpreti autorizzati divinamente nominati (i vescovi in comunione col papa)”.

Padre Fessio aggiunge d’essere incorso anche in incomprensioni di linguaggio:

“L’incontro del Santo Padre con i suoi ex allievi era informale. L’introduzione e la discussione erano in tedesco e il Santo Padre non parlava su un testo preparato. Il mio tedesco è passabile, ma non interamente affidabile. I miei successivi commenti in un’intervista radiofonica in diretta furono estemporanei. Penso di aver parafrasato il Santo Padre con una complessiva fedeltà, ma l’aver riferito da parte mia ciò che egli disse è stata una mancanza di discrezione, e le mie parafrasi improvvisate in un’altra lingua non dovrebbero essere usate per una accurata esegesi del pensiero del Santo Padre”.

Insomma:

“Vorrei che siano rimesse le cose al giusto posto e che sia evitata una difficoltà non necessaria al Santo Padre. La verità è sempre cruciale, ma specialmente qui dove la posta in gioco è così alta. Sono dispiaciuto di aver oscurato la verità con i miei non chiari commenti”.
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Il 17 gennaio è intervenuto a chiarire il pensiero del papa anche padre Troll, con una lettera a Daniel Pipes.

Eccola qui di seguito:

“Ho preso parte al seminario di cui parla padre Fessio e mi è capitato di essere la persona che ha tenuto la relazione introduttiva su Fazlur Rahman, da lui citata.

“Posso solo dire che le parole riportate del Santo Padre, tra l’altro, mettono a fuoco il ben noto punto di differenza essenziale tra la teologia classica musulmana e quella cattolica, concernente la parola di Dio e la rivelazione/ispirazione. Esso suggerisce anche che il pensiero teologico musulmano deve tener conto del peso delle sue profondamente radicate convinzioni di fede e della visione teologica cui continua a dar forma.

“Comunque assolutamente non ricordo che il Santo Padre abbia detto le parole riportate alla fine di un paragrafo della nota di D. Pipes, ‘The Pope and the Koran’, secondo cui ‘non c’è possibilità di adattarlo o di interpretarlo’.

“Il Santo Padre è abbastanza bene informato per sapere che sono esistite ed esistono tuttora, probabilmente in crescita, altre interpretazioni della realtà coranica in rapporto a una teologia della rivelazione. Queste visioni e ricerche musulmane, sembra, non informano (ancora?) il pensiero e la ricerca di un considerevole movimento od organizzazione islamica – e non sappiamo quali futuri problemi si prospettino a questo riguardo – ma esistono e sono vivacemente discusse in molti luoghi, sia nell’accademia che fuori.

“Un dibattito aperto su queste materie non sembra ancora possibile nel mondo arabo, ma la società turca e quella indonesiana consentono uno spazio relativamente maggiore per esporre e discutere simili idee, e i paesi cosiddetti occidentali offrono anche più spazio.

“Recentemente ho pubblicato il saggio ‘Progressives Denken im Zeitgenössischen Islam’ (‘Rassegna critica sul pensiero progressista nell’islam contemporaneo’) nel numero 4 di ‘Islam und Gesellschaft’, che esamina questo pensiero religioso. L’originale tedesco e la traduzione inglese possono essere richiesti a Franziska Bongartz, Friedrich-Ebert-Stiftung. D-10785 Berlin, Hiroshimastr. 17, e-mail: Franziska.Bongartz@fes.de”.
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Infine, il 24 gennaio, è pervenuta a www.chiesa la seguente chiarificazione da parte del professor Stephan Horn, tedesco, salvatoriano, coordinatore del Ratzinger-Schülerkreis, ossia del circolo degli ex allievi dell’attuale papa:

“Caro Sandro Magister, a proposito dell’incontro privato (non segreto) del Ratzinger-Schülerkreis col Santo Padre, confermo la correzione che padre Joe Fessio ha inviato al direttore del Washington Times. Anche il vostro servizio ‘Islam e democrazia” ha bisogno di una correzione. L’argomento dell’incontro non era ‘Islam e democrazia’. Parlando dell’intervento del prof. Troll, padre Fessio si richiamò alle tesi proposte da un teologo musulmano per spiegare il Corano al moderno mondo occidentale. Nel far questo, padre Fessio spiegò la cosa agli ascoltatori di The Hugh Hewitt Show usando anche la parola ‘democrazia’. Egli fece riferimento a un intervento fatto dal Santo Padre che in realtà riguardava un tema teologico: la differenza del concetto di rivelazione nel Corano e nella rivelazione cristiana. Così l’articolo dà ai lettori un’impressione erronea riguardo al pensiero del Santo Padre. Il rispetto per il Santo Padre e per la verità mi obbliga ad offire questa correzione della presentazione da voi fatta, a nome del Ratzinger-Schülerkreis”.
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In più, hanno inviato a www.chiesa dei commenti su tali questioni Gerald E. Nora dagli Stati Uniti e Stefano Ceccanti dall’Italia.

Nora – che insegna diritto alla Loyola University di Chicago – sottolinea che “è importante distinguere i differenti contesti delle distinte affermazioni del papa sull’islam. L’intuizione del papa che l’islam ha un impedimento a cambiare che il cristianesimo non ha (cioè un Corano che è la letterale, non interpretabile parola di Dio, contrapposto alla Bibbia che contiene molteplici parole di umani ispirati da Dio) è importante metterla in evidenza quando degli occidentali anticipano con slancio superottimistico una riforma dell’islam. Dunque ha fatto bene il papa ad evidenziare questo punto quando il gruppo di discussione a Castelgandolfo si è messo sulla strada sbagliata. Ciò è coerente con altre sue osservazioni che riconoscono le molte forme (cioè gli aspetti non monolitici) che l’islam ha assunto nella sua storia dentro i limiti posti dalla legge coranica e i diversi sistemi di governo”.

Ceccanti – che insegna diritto costituzionale all’Università di Roma La Sapienza – ricorda che “studiando le dichiarazioni islamiche dei diritti, ho notato che ciò che osta al riconoscimento di democrazia e di diritti è esattamente il peso del Corano, che è usato direttamente come norma vigente, dato che è visto come parola di Dio senza mediazioni. Per risolvere durevolmente il nodo giuridico e politico bisogna prima affrontare e risolvere quello teologico. Infatti, esaminando poi le singole costituzioni dei paesi musulmani, si trovano sino ad oggi solo equilibri pragmatici (tipo definire la Shari’a ‘una fonte del diritto’) che non mettono al riparo da ondate di involuzione. L'evoluzione del mondo musulmano verso la democrazia è dunque possibile, ma trova ostacoli seri”.

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