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Se non si esce dal sepolcro. Elaborare il passato per avere un futuro. Il Papa allo Yad Vashem

Ho appena finito di seguire la diretta della visita di Benedetto XVI allo Yad Vashem (memoriale e nome) che perpetua il ricordo delle vittime della shoah. Vado a ruota libera nella condivisione con voi della lettura di quello che ho vissuto:

Nell'antro buio e tetro della "Sala della Memoria" - che conosco perché l'ho visitato con rispetto e condivisione, che conservo - abbiamo assistito ad una macabra Liturgia funebre perpetuata nel tempo... è stato struggente dal primo canto (il salmo 22 Elì Elì lemàh azavtàni) ad anì ma'amin= io credo... sulle labbra di molti condotti alla morte, fino all'ultimo canto ha tikvà, la speranza che però, essendo l'inno nazionale, ha concluso la celebrazione con enfasi e corale partecipazione di tutti gli Israeliani presenti e, da ricordo dolente e struggente, si è trasformato in orgoglio nazionale...
 

L'atmosfera tetra e solenne enfatizzava, come ormai siamo soliti vedere e ascoltare, quelle morti, il cui orrore nessuno può disconoscere sia per quello che è che perché non abbia più a ripetersi. Ma l'evento perpetuava l'unicum che per gli ebrei questo orrore rappresenta, come se le altre stragi e stermini della storia non potessero essere ad esso paragonabili in alcun modo.

 Ho seguìto il Papa nel suo raccoglimento, ma ho anche un po' sofferto per come lo 'conducevano' e sostanzialmente lo strumentalizzavano, anche se le sue parole - pur nella giusta e chiara condivisione e condanna della shoah - sono risuonate forti e chiare nella magnifica conclusione:

"Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente.(1)
Nel professare la nostra incrollabile fiducia in Dio, diamo voce a quel grido con le parole del Libro delle Lamentazioni, così cariche di significato sia per gli ebrei che per i cristiani:

"Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie;
Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà;
«Mia parte è il Signore – io esclamo –, per questo in lui spero».
Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore
" (3,22-26).

Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare."

E una frase del Vangelo mi è risuonata forte e chiara: "lasciate che i morti seppelliscano i loro morti"... e ancora "non cercate tra i morti Colui che è Vivo"... Se gli ebrei non usciranno da quell'orrido sepolcro senza risurrezione, in cui altri morti innocenti vanno ad aggiungersi ai loro, non potranno andare incontro a un futuro di pace che, come ha ricordato il Papa, nasce dalla giustizia (e come può esserci giustizia senza perdono?). Il discorso vale per tutti, perché anche i loro avversari non sono degli agnellini: ma assistiamo ad una storia infinita di rivalse e contrapposizioni di cui alla fine sono gli innocenti a fare le spese della danza macabra dei poteri che generano morte.

Non consideratemi dissacratoria, ma sinceramente questa "nuova religione dell'Olocausto" sta assumendo aspetti sempre più inquietanti; perché è vero che la tragedia è stata immane e l'uomo ha vissuto un periodo di vera tenebra e del massimo di disumanità. Ma se non ci si ferma una buona volta a costruire e intessere la Pace con opere di giustizia, riconoscendo anche il volto del fratello con l'uscire una volta per tutte da una 'elezione' che alla fine ghettizza e inorgoglisce per entrare nell'"universalità della salvezza" insegnata anche dalla S. Scrittura che abbiamo in comune: l'Antico Testamento, siamo poi sicuri che era quello il massimo della disumanità?

Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (Is 56,5). Questo passo tratto dal Libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: yad – “memoriale”; shem – “nome”. Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente.

Questo e molto altro di "alto" e "forte" ha detto il nostro Papa, ma non basta - così leggo da commenti di rabbini e altri raccolti dalla stampa israeliana - perché non ha condannato il nazismo e non ha chiesto, ancora e poi ancora moltiplicato all'infinito, scusa a nome della Chiesa. Ma smettiamola!

Invece il Santo Padre ha affermato la dimensione comune all'intera umanità di quella sciagura e non la sua appartenenza ad un unico popolo. Il male compiuto allora non fu soltanto frutto della disumanità nazista, quanto invece del peccato dell'uomo, della sua imperfezione e dello squarcio sul male aperto nell'anima dell'umanità. Se ricondotto in questa dimensione "umana" e "simpatetica" (non solo "empatica" versus Israele, come gli ebrei pretendono al fine di stabilire un primato del popolo ebraico anche nella sofferenza), la tragedia dello 'sterminio' degli ebrei acquista un significato capace di sfociare in ammaestramento, in proposta di cambiamento di prospettiva umana e spirituale. Altrimenti rischia - come sembra stia accadendo - di trasformarsi in una giustificazione storica su cui fondare l'esistenza di una nazione e la sua autorità per gestire al meglio i propri diritti e le proprie ambizioni. E non solo, ma sembra trasformare un evento storico in un nuovo dogma di fede al quale tutti devono aderire. Il vero "olocausto" è stato consumato una volta per tutte sulla Croce, fuori le mura di Gerusalemme...

Quello che tutti dovremmo comunque ricordare è che per avere un futuro bisogna guarire dal passato... e la memoria deve essere sana e responsabile consapevolezza e non il "sacrario dell'odio" dal quale tirar fuori ogni possibile ricatto morale nei confronti del resto del mondo chiamato a testimone. E neppure può restare senza conseguenze asserire che “la shoah” segna “il vertice del cammino dell’odio”, che voleva “uccidere Dio”. Va invece respinta la tendenza odierna -che va generalizzandosi sempre di più- di conferire portata teologica e “neo-dogmatica” ad un fatto storico come la shoah quale “nuovo Olocausto”, che sembrerebbe dover rimpiazzare quello di Cristo. Infatti, per la Fede cattolica l’odio di satana ha mosso alcuni uomini (il Sinedrio con il popolo ebraico a lui sottomesso, con la connivenza dei dominatori Romani) ad uccidere Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nella sua natura umana. Questo è il vero vertice dell’odio contro Dio.

Ecco perchè Benedetto XVI, nel cuore del suo discorso, porta l'esplicito riferimento alla rivoluzione cristiana dell'amore:

" La Chiesa Cattolica, impegnata negli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione – le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro speranza di giustizia. Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ribadisco – come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr Sal 85,9)."

Vuol dirci il Papa che compito dei cristiani, non può essere quello di assicurare che gli Ebrei non vengano più perseguitati, quanto piuttosto quello "di pregare ed operare senza stancarsi per assicurare che l'odio non regni mai più nel cuore degli uomini". È questa la più viva testimonianza delle parole di Nostro Signore. È Lui il Redentore dell'uomo, il Salvatore dell'umanità e non solo il Messiah ebraico che giunge a salvare il popolo eletto. La dimensione universale della Chiesa - già presente nell'ebraismo, che però sembra averla dimenticata - è viva e pulsante in queste parole che, lungi dal focalizzare l'attenzione dell'umanità sul ricordo della sofferenza del popolo ebraico, la rendono ancora più potente e spaventosa, nella consapevolezza che l'intera umanità può essere allo stesso tempo vittima e carnefice in un mondo non redento dalla Verità dell'amore.
11 maggio 2009
Maria Guarini


(1) il grido dell'Innocente antico, che riecheggerà nell'Agnello sacrificale, in Cristo che porta su di sé i peccati del mondo.

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