«Ratzinger oltre le polemiche»
Riccardo Bonacina  su vita.it 18 settembre 2006

Premessa

Se non vogliamo liquidare gli interventi del Papa nel suo recente viaggio in Germania (9/14 settembre) alla stregua di una maglietta di Calderoli, così come hanno fatto, sia le piazze organizzate dai fondamentalisti islamici, sia gli sciagurati columnist occidentali propugnatori instancabili dello scontro di civiltà, dobbiamo provare un minimo sforzo di comprensione di ciò che il Papa ha detto a München, Altötting e Regensburg. Sgombrando il campo dall'osservazione più scontata, ma che pure ha avuto molta eco: il Papa, citando il dialogo del 1391 tra l'imperatore Manuele II Paleologo (santo per la Chiesa bizantina) e il dotto persiano di religione islamica, non avrebbe ben valutato quale nervo scoperto avrebbe toccato. Probabile, anzi probabilissimo, l'errore di comunicazione, ma se non vogliamo fermarci a questa constatazione come si è fatto per giorni, bisognerà pure entrare nel merito di ciò che il Papa ha detto, e mettere nel conto che egli avesse ben presente il nodo che andava a toccare e che, anzi, avesse ben chiara l'urgenza e la complessità di dire qualcosa sul tema del rapporto tra cristianesimo e Islam, tra fede e ragione, cosciente che l'enormità degli abusi che, da questa parte del mondo e dall'altra, richiedeva il rischio di una parola, di un ragionamento che provasse a dare contenuto al tanto invocato dialogo tra civiltà e religioni. Deve aver ben chiaro, il Papa, tutta la drammaticità (e la tragicità di conseguenze) di un confronto tra religioni affidato ai soli proclami del gabinetto Bush e del clan post-medievale di Bin Laden & soci.

Di certo, Benedetto XVI non si aspettava che il suo ragionamento, indirizzato agli uomini di scienza e di studio, provocasse una simile reazione incendiaria. Il Papa, probabilmente, sperava che la sua chiamata al ragionamento e al dialogo sui contenuti trovasse una qualche sponda. Esisterà ancora da qualche parte un dotto e mite musulmano che abbia voglia di discutere e ragionare, si deve esser detto. Invece no, a oriente, nessuna voce, o almeno nessuna voce che abbia raggiunto i media, solo urla, minacce, fuochi di crocefissi e violenze e lo sbattere delle porte delle cancellerie arabe. Ad occidente, solo pochi giorni prima, l'incendio era scoppiato sui giornali e nei circoli culturali e politici, quando il Papa nella spianata di Monaco aveva affermato che a "scandalizzare le popolazioni dell'Asia e dell'Africa non è la fede cristiana ma il disprezzo di Dio e il cinismo". Per rendersene conto basta andare a riaprire le pagine dei giornali dell'11 settembre scorso, dal Corriere della sera (4 articoli contro) al Foglio con il suo titolo roboante "Ci vuole la guerra, soltanto la guerra" e il pesante attacco contro "l'impotente amore" cristiano proposto da Ratzinger.

Il Papa sotto accusa per aver "dato scandalo", ci indica innanzitutto due questioni incresciose. La prima, come ha intelligentemente indicato Adriano Sofri (La Repubblica 16 settembre), le reazioni al suo discorso all'università di Ratisbona indicano quindi che "i credenti musulmani, e le loro guide, vanno trattati come bambini, cui impedire di sapere e capire"?. La seconda: le reazioni al suo discorso sulla spianata di Monaco, indicano come il tentativo di riduzione del cristianesimo da avvenimento universale ad ideologia e religione civile dell'Occidente non sia né domo né infiacchito dai disastri militari in Medio Oriente.

La via per Papa Benedetto XVI è perciò stretta, strettissima, parlare all'Islam e poi piangere sull'ennesima chiesa data a fuoco o per l'ennesimo cristiano trucidato? Parlare all'Occidente per poi vedersi embedded nelle truppe imperiali che brandiscono lo scontro di civiltà?

Benedetto XVI deve aver avuto coscienza da subito di questo terribile contesto in cui è stato chiamato, lui acutissimo e mite professore di teologia, a svolgere la sua missione, infatti, il 24 aprile 2005 nel corso della sua prima messa come Pontefice dice: "Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia".


La pace e il dialogo tra religioni e culture, ma come costruirle?

Nei discorsi del suo viaggio in Germania Papa Ratzinger ha provato a dare una risposta a una domanda: come si costruisce la pace, come si realizza un dialogo vero fra culture e religioni? Di certo, di fronte alle perturbazioni della storia non bastano né le indicazioni del galateo né quelle di un vago sentimento di tolleranza, e soprattutto il Papa ha ben evidente che, se mai è esistita un'alleanza tra le grandi religioni, oggi di certo non ce n'è più traccia perché il nome di Dio è stato trascinato in guerra giustificando ogni genere di atrocità. Forse mai nessun altro Papa ha avuto come lui l'ossessione dell'unità dei cristiani e del dialogo tra religioni. Bisogna riconoscerlo andando a spulciare quanto ha detto in questi sedici mesi di pontificato. E' impressionante il fuoco di fila di dichiarazioni in questo senso nella sua prima settimana di pontificato. Mercoledì 20 aprile al termine del Concistoro e ancora all'interno della Cappella Sistina nel suo primo messaggio dice: "E' ambizione e dovere del successore di Pietro della ricostruzione piena e visibile unità dei seguaci di Cristo". Pochi giorni dopo nell'omelia della prima messa: "Il successore di Pietro è pienamente determinato e non risparmierà sforzi e dedizione per proseguire il dialogo avviato con le diverse civiltà". E il giorno dopo, ancora: "E' mio imperativo impegnarmi in un dialogo autentico e sincero".

Ma il Papa sa che il dialogo non è un valore in sé se non diventa azione, gesto, il Papa sa che il sogno di una globalizzazione pacifica è da tempo andato in frantumi, in tutto il mondo, in questo inizio di millennio sono ricominciati a rullare i tamburi di guerra dopo le speranze della fine della Guerra fredda, sa quanto soffrono i cristiani nel mondo, sa quanto soffrono i popoli della terra, sa che gli arsenali sono tornati a riempirsi a ritmi vertiginosi. Perciò, nelle udienze e nei messaggi inizia quello che ha chiamato "un cammino di purificazione", un cammino che gli suggerirà di scrivere nell'Enciclica (Deus caritas est) che il cristianesimo non è una religione: "All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona".

Questo Papa, dopo il Wojtyla viaggiatore, verticalizza. Più che convocare popolo (anche se, dicono le cronache, in un anno di udienze ha incontrato più persone che Wojtyla nel suo primo anno), convoca coscienze. E' lui stesso a dirlo pochi giorni prima del viaggio in Germania, il 2 settembre, in un messaggio al vescovo di Assisi nell'occasione dell'incontro interreligioso promosso dalla Comunità di Sant'Egidio: "Per costruire la pace, sono certo importanti le vie di ordine culturale, politico, economico. In primo luogo però la pace va costruita nei cuori. Qui, infatti, si sviluppano sentimenti che possono alimentarla o, al contrario, minacciarla, indebolirla, soffocarla. Il cuore dell'uomo, peraltro, è il luogo degli interventi di Dio. Pertanto, accanto alla dimensione “orizzontale” dei rapporti con gli altri uomini, di fondamentale importanza si rivela, in questa materia, la dimensione “verticale” del rapporto di ciascuno con Dio, nel quale tutto ha il suo fondamento".

Papa Ratzinger ha poi avuto la prova in questi mesi di quanto sia difficile far passare sui media una quotidiana invocazione della pace che non si limiti ad esprimere l'auspicio ma proponga indicazione di contenuti, basta andare a rileggersi la nota del vaticanista del Tg2 sul numero 30/2006 di Vita per rendersene conto. Chiarite, mi auguro, le intenzioni di Benedetto XVI valutando in un'ottica prospettica il suo pontificato sino ad oggi, proviamo dunque a riandare ai discorsi tedeschi che tanta eco hanno suscitato. Sottolineando i passaggi che speriamo non vadano dispersi nel clamore delle polemiche e su cui sarà opportuno confrontarsi.


Crediamo in Dio, ma in quale Dio

Il Papa, nei suoi discorsi tedeschi, ha dimostrato di capire che il vero tema oggi, in Occidente ma non solo, non è né la scristianizzazione, ormai un dato consolidato e oggettivo in occidente e su cui Ratzinger cardinale ha scritto molto, e neppure l'assenza del sacro e della dimensione religiosa che è invece presente, presentissima, a livello planetario. Dio sta sulla scena del mondo, è presente in mille e una bandiera, disponibile al supermarket delle religioni, in formato setta o in kit fai da te.

Perciò a far da fil rouge dei suoi discorsi in Germania, Ratzinger, ha posto e riposto una fondamentale domanda: "Noi abbiamo bisogno di Dio, ma di quale Dio?" (Monaco, 10 settembre); "Noi crediamo in Dio, ma in quale Dio?" (Altötting, 11 settembre); nella stessa omelia insiste: "Ci siamo riuniti per una festa della fede. Ora però emerge una domanda: ma cosa crediamo in realtà? Che cosa significa credere?"; e nella celebrazione ecumenica con le altre confessioni cristiane (Regensburg, 12 settembre) è ancora più esplicito: "È importante che noi poniamo in discussione in modo completo e non soltanto frammentario la nostra immagine di Dio". Perché, sembra suggerire il Papa, proprio nel cuore della cultura cristiana si è insediato un modo di intendere la religione che nulla a più a che fare con la fede, e una fede che nulla a più a che fare con la sfida alla ragione personale, alla ragionevolezza dei nostri atti.

Ecco in cosa consiste la verticalizzazione di Benedetto XVI, la richiesta di discernere su cosa sia Dio oggi, su cosa sia oggi per l'uomo, su cosa significhi fargli spazio nella scena pubblica, su cosa significhi oggi professare una fede. Una sfida enorme direttamente indirizzata alla coscienza dei credenti, di ogni credente. Ma, una sfida diretta anche ad ogni uomo, alla coscienza di ogni uomo perché se alla radice della violenza c'è una malintesa percezione di Dio, è altrettanto vero che senza ammettere l'ipotesi di Dio "i conti non tornano! I conti sull'uomo e i conti sul mondo e su tutto l'universo" (Altötting, 11 settembre).

Ratzinger, nelle sue lectio tedesche, spiega poi quali siano le risposte cristiane alla cruciale domanda. Nel discorso che più ha fatto infuriare i circoli teo con (Monaco, 10 settembre), il Papa ha ricordato che la "fede può svilupparsi soltanto nella libertà" (perciò il proselitismo è contrario al cristianesimo), e che il "Dio di cui abbiamo bisogno è quel Dio che alla violenza ha opposto la sofferenza; che di fronte al male e al suo potere innalza, come limite e superamento, la sua misericordia". Il Dio in cui crediamo, ha ricordato ad Altötting, "È Amore", perciò, e la conseguenza che trae è davvero da brivido, non c'è altra confessione della propria fede che non "La testimonianza". Come ha detto nella celebrazione ecumenica citando la Prima lettera di Giovanni (versetto 16), "Noi abbiamo creduto all'amore. Sì - ha concluso il Papa - all'amore l'uomo può credere".


Fede e ragione

Indirizzarsi alla coscienza in un'epoca che mette al lavoro i corpi sino a lanciarli contro i nemici, necessita il coinvolgimento della ragione. È un appello alla mobilitazione della ragione quella fatta dal Papa nel tanto discusso discorso all'Università Ratisbona. Ecco alcuni passaggi di quel discorso [versione integrale]: " Occorre un allargamento del nostro concetto di ragione e dell'uso di essa. Perché, con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza".

Il Papa sa che solo questa mobilitazione riuscirà a dare sostanza ad un'ipotesi di dialogo tra culture e religioni contro cui, oggi, tutto sembra congiurare: " Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture".

Benedetto XVI sa, come abbiamo già sottolineato, che solo un'interrogativo vero sulla comprensione di Dio potrà far fare un salto di qualità al dialogo mobilitando cuori e coscienze dei cristiani e dei non cristiani, ed è per questo che pone una domanda davvero capitale per la stessa storia del cristianesimo, eccola: "Nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, c'è un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?"
Una domanda che il Papa nel corso del suo discorso non chiude come tenesse a farla risuonare forte; il nesso tra fede e ragione è ascrivibile solo all'interno della cultura occidentale o a che fare con la natura stesso dell'uomo? Il porre questa domanda in un consesso di uomini di scienza in una delle più prestigiose Università europee non equivale forse ad un sostanzioso gesto che prova a sottrarre il cristianesimo da tutte le sirene che lo vorrebbero religione civile dell'Occidente? Il Papa sperava che qualcuno in qualche parte del mondo riprendesse con altrettanta lealtà e profondità la questione. E ancora non è detto che non succeda.

La citazione del dialogo tra Manuele II e il dotto persiano, citazione che a dire il vero già conteneva una presa di distanza dalle valutazioni dell'Imperatore ( " L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante…”), serviva al Papa per affermare una sola verità: " La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. Dio non si compiace del sangue”.

Una verità, che Ratzinger, come poi suggerito dalla nota del Cardinal Bertone e dalle parole all'Angelus di domenica 17 settembre, ha voluto ricordare a voce alta a chi, in Oriente e in Occidente, continua a brandire Dio per giustificare atti di violenza.

A noi pare che Ratzinger abbia voluto provare a riprendere il filo di un dialogo interrottosi proprio in quel tardo medioevo e che per troppo tempo è rimasto nelle mani di chi piuttosto che della ragionevolezza delle proprie azioni ha a cuore il proprio potere sugli uomini e sul mondo.

Forse in questo suo ragionare si è spinto troppo in là, o troppo in alto, ma dobbiamo pure cominciare a chiederci se è mai possibile continuare a stare fermi conseguendo il discorso su Dio e sulla fede solo a chi è interessato a una sua riduzione politica e ideologica.

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