Testimonianza di chi lo ha conosciuto da vicino
P. Antonio Maria Sicari, o.c.d.

Mentre ci abituiamo al nuovo nome scelto dal Card. Joseph Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI, ci viene subito in mente che l’augurio più bello che possiamo rivolgergli è contenuto nelle parole con cui San Gregorio Magno inizia la sua celebre biografia del santo Patrono d’Europa: «Ci fu un uomo, Benedetto di nome e per grazia…».

Il nuovo Papa si è presentato alla Chiesa definendosi «un umile lavoratore nella vigna di Dio», cercando di spiegare, con una frase semplicissima, la sua “vera provenienza”: dal campo in cui Giovanni Paolo II lo ha messo a lavorare per ventiquattro anni.

Nel pontificato di Benedetto XVI si rivelerà certamente tutta la novità e la fantasia di cui è capace lo Spirito Santo che lo ha scelto, ma ci sarà anche tutta l’esperienza accumulata nel lungo lavoro fedelmente compiuto.

È triste perciò, ed anche ingiusto, che molti mass-media ed alcuni cristiani continuino a considerare tale lavoro con sospetto, quasi che esso sia consistito nell’inflessibile e militaresca imposizione del dogma cattolico, e ne traggano una qualche diffidenza per il suo futuro ministero di Sommo Pontefice.

Provo perciò una particolare gioia a poter testimoniare, anche per un ricordo personale, quale sia stato l’animo con cui il card. Ratzinger ha vissuto il suo lavoro.
Era l’anno 1986, quando lo invitai a Brescia a nome della rivista teologica Communio, di cui ero direttore, per una conferenza al Salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia, sul tema: Teologia e Chiesa.

In quella occasione, per presentarlo al pubblico, mi bastò ricordare quello che lo stesso Ratzinger aveva già scritto nella sua celebre Introduzione alla Teologia: «La Chiesa non fa sentire al massimo la sua presenza là dove si riforma, si organizza, si reagisce e si dirige; si fa sentire invece in coloro che credono con tutta semplicità, ricevendo il dono della fede che diviene per essi fonte di vita».

Sapevo che il tema del “credere in semplicità” gli era particolarmente caro, al punto che aveva più volte dichiarato: «Il credente cristiano è una persona semplice; i vescovi devono salvaguardare la fede di questi piccoli dal potere degli intellettuali».

Ed era questo il «segreto» del Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: a lui toccava soltanto «difendere la fede dei semplici» da ogni potere, soprattutto da quello di chi usa soltanto “la pura ragione, intemperante e dispotica”.

Il fatto che io lo ricordassi, allora, alla numerosissima assemblea lo riempì di sollievo. E non mancò esprimermi la sua gratitudine.

Il Cardinale Ratzinger sapeva di essere esposto a tutte le critiche, ma compiva con gioia il suo «umile ufficio» di salvaguardare “la fede dei poveri e dei semplici”, oltre che di stimolare la giusta ricerca e il giusto servizio delle intelligenze cristiane.

In tutti questi anni, senza di lui e senza la sua vigilanza, sarebbero stati “i poveri e semplici cristiani” a divenire preda di tutte le mode e di tutti i venti di dottrina. Sono costoro - tra cui volentieri ci mettiamo - ad essergli immensamente grati.

Perciò non temiamo di sbagliare se pensiamo che sia stata questa consapevolezza a dargli, finora, pace e gioia, nonostante ogni difficoltà.

Ora a Lui, divenuto Sommo Pontefice, rivolgiamo l’augurio di poter servire, con ancor più dedizione paterna e paterna presenza, “la fede dei piccoli”.

Anche quella di coloro che anelano a credere e ne attendono il dono. 

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