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Su sette religiose e poligamia i Vescovi italiani lanciano l’allarme

E avvertono di non cedere “alle pretese esigenze di un malinteso multiculturalismo”

Ascoltato il 9 gennaio dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati, monsignor Giuseppe Betori, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha precisato la posizione della Chiesa Cattolica circa la minaccia rappresentata dalle sette religiose e dall’accettazione di pratiche quale il matrimonio poligamico.

L’incontro, al quale erano presenti anche altri rappresentanti delle confessioni religiose (fra cui Maria Bonafede, moderatora della Tavola Valdese, Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, il pastore Stefano Bogliolo dell’Alleanza evangelica d’Italia), ha aperto le audizioni circa le proposte di legge C. 36 e C. 134 relative alle “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi”.

Le due proposte di legge sul tavolo – che vedono come primi firmatari rispettivamente Marco Boato (Verdi) e Valdo Spini (Ulivo) – intendono garantire i diritti delle varie comunità religiose.

Nel suo intervento, dopo aver ribadito che “la garanzia del fondamentale diritto di libertà religiosa in tutte le sue dimensioni, non ultima quella propriamente istituzionale, costituisce la condizione per una pacifica convivenza e per una corretta laicità”, monsignor Betori ha spiegato che “si avverte l’esigenza di non sottovalutare i problemi connessi alla diffusione anche nel nostro Paese di nuovi movimenti religiosi, estranei alla tradizione giudaico-cristiana, che provocano diffuse reazioni di diffidenza e talvolta di allarme sociale”.

Il Segretario della CEI ha suggerito che “in mancanza di un sicuro criterio dogmatico idoneo a definire in modo univoco il concetto di religione e di confessione religiosa, pare opportuno riaffermare che lo Stato può intervenire legittimamente per negare il riconoscimento come tali a realtà connotate da caratteri contrastanti con qualsiasi forma di religiosità ovvero ispirate a principi o dedite a pratiche che si pongono in contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo e i principi fondanti della convivenza civile”.

Parlando poi delle questioni legate al fenomeno della intercultura e della multietnicità, monsignor Betori ha indicato “la necessità di non sottovalutare che anche nel nostro Paese hanno iniziato a radicarsi gruppi sociali portatori di identità diverse rispetto a quelle tradizionali, che tendono a perpetuare usi e costumi a volte confligenti con principi e valori fondamentali per la comunità e per l’ordinamento”.

“L’esigenza di favorire l’integrazione dei nuovi gruppi e quindi la pacifica convivenza – ha rilevato il Segretario della CEI – non deve infatti tradursi in forme di ingiustificato cedimento di fronte a dottrine e pratiche che suscitano allarme sociale e contrastano con principi irrinunciabili della nostra civiltà giuridica”.

Monsignor Betori ha quindi fatto esplicito riferimento al dibattito relativo alla pratica della poligamia, affermando che “in un contesto ordinamentale il matrimonio poligamico non può essere in alcun modo riconosciuto, in quanto la libertà di stato è condizione necessaria per contrarre matrimonio (art. 86 cod. civ.) e l’ordinamento punisce il reato di bigamia (art. 556 cod. pen.)”.

Secondo il presule “le perplessità sul punto riguardano non tanto un profilo di legittimità quanto piuttosto il profilo dell’opportunità, in quanto la disposizione in esame viene oggi ad essere riferita a una platea di soggetti confessionali ben più vasta che in passato, alcuni dei quali professano e praticano di fatto, con convivenze plurime oppure celebrando più matrimoni religiosi, esperienze di matrimonio poligamico che sono radicalmente estranee e confligenti col modello di matrimonio e famiglia proprio della nostra tradizione culturale e del nostro ordinamento costituzionale e che comportano una grave violazione della dignità femminile”.

“Il problema, è reale e non deve essere sottaciuto o minimizzato per ossequio alle pretese esigenze di un malinteso multiculturalismo”, ha sottolineato Betori.

Successivamente, ha poi sottolineato, che il problema suscitato dai casi di matrimonio poligamico “non può essere ricondotto né tanto meno giustificato nell’orizzonte della libertà religiosa, ma può sorgere soprattutto a seguito di normative e provvedimenti, che, come già avvenuto in alcuni paesi europei, determinino un fenomeno di rilevanza indiretta della famiglia poligamica, sia pure circoscritta a taluni determinati effetti (soprattutto in materia di diritti sociali e di agevolazioni fiscali)”.

“Anche sotto questo profilo – ha concluso il Segretario della CEI – emerge con evidenza la particolare complessità e delicatezza delle questioni affidate alla responsabilità del legislatore, chiamato a garantire la libertà religiosa nel quadro di un pieno sviluppo della persona umana e del rispetto della sua dignità”.

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[Fonte: Zenit 10 gennaio 2007]
 

   
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