Pubblichiamo le seguenti
            riflessioni, in quanto emblematiche di una situazione che ci fa
          entrare nel vivo di quanto si muove nella storia del nostro tempo, scaturite anche dalla recente sentenza de
          L'Aquila sulla estromissione del Crocifisso da un'aula scolastica,
            innestate nella irrinunciabile esigenza di dialogo per evitare
          rischiose contrapposizioni
			
            
 
          > Citazione
da Natalia Ginzburg
          
    
        
          
          
          
          In tutto questo dibattere sul
          diritto di esporre o non esporre il crocifisso, il rischio più serio
          alla fine è quello di "cosificarlo" o comunque banalizzarne
          il significato. In ogni caso a ciò,
          dobbiamo riconoscere con dolore, stanno già ampiamente provvedendo i
          vuoti e le mode della secolarizzazione imperante.
          
        
          
          Io sono cattolica e,
          personalmente, il fatto di vedere esposta l'immagine del mio Signore,
          nel momento della massima espressione del Suo amore per me e per
          l'umanità intera, mi conforta e mi aiuta a lasciarmene compenetrare
          sempre più. Come cristiana,
          quindi, più
          che il simbolo, amo Colui cui esso rimanda ed ero convinta che molti fossero in grado di vedere in esso - attraverso una lettura anche
          soltanto storica - una grande prova d'amore.  Non bisogna tuttavia dimenticare che l'evento della croce è
          seguìto dalla Risurrezione, che pure e soprattutto coinvolge i
          credenti cristiani, che è da lì che sono nati. Ma di questo - lo
          vivo con rammarico - nel "foro pubblico" non si odono voci.
          Purtroppo nel corso della
          storia, non sono mancati uomini di Chiesa che hanno fornito una
          contro-testimonianza della realtà profonda che la Croce -per via del 
			Crocifisso- rappresenta. Ed
          anche oggi, attraverso la grancassa mediatica, continueranno a
          brandirla molti che di cristiano hanno solo l'etichetta; il che
          oltretutto serve a offrire un comodo alibi a chi, figlio della cultura
          del "sospetto", vede nella fede solo pastoie che gli
          impedirebbero di perseguire la propria autodeterminazione, che nel
          nostro tempo ha raggiunto le frontiere dell'individualismo de del 
			relativismo tendente
          alle sue estreme realizzazioni e corrispondenti conseguenze.
          Il dramma del nostro oggi è che
          nelle aule scolastiche e nelle agorà mediatiche non sempre c'è qualcuno in grado di spiegare
          ai ragazzi CHI è il Crocifisso, che rimane solo una presenza non
          rilevante, cara vecchia abitudine o tradizione. E invece in quella
          croce sta una sfida radicale, che in fondo è per un SÌ o un NO alla
          Vita. Se qualcuno venisse almeno a dirlo, anche nei dibattiti 
			televisivi, e avesse la faccia di uno che ci crede e lo conosce!
          Premesso questo richiamo al
          significato profondo del simbolo, ed alle tante strumentalizzazioni di
          cui è stato ed è fatto oggetto, mi piacerebbe che nella mia patria,
          nella quale ho ricevuto una eredità esistenziale e culturale
          impregnata di cristianesimo, non ci fosse chi venga ad impormi una sua
          realtà diversa, pur con tutto il rispetto che io ho per essa.
          D'altronde non mi pare che in Italia manchino le moschee o che i
          musulmani siano discriminati in alcun modo; la stessa Chiesa esprime
          continui, e fin troppo unilaterali, richiami al dialogo, che comunque 
			può esser favorito dal mutuo riconoscimento nel rispetto delle differenze, che non
          possono essere eliminate; il che resta valido non solo nei confronti
          dell’Islam, ma anche di tutte le altre religioni, quella ebraica in
          primis, nella quale è innestata la Storia della Salvezza che ha, 
			tuttavia, il suo compimento in Cristo.
          Quanto alle nostre leggi, io 
			vorrei che, oltre a tutelare le minoranze (qualcosa mi dice che faccio parte 
			di una minoranza che peraltro non è affatto tutelata) ed il giusto rispetto per le etnie e le culture diverse,
          promuovessero anche il riconoscimento e il rispetto da parte loro
          della cultura in cui sono inserite. Non mi sembra che nei Paesi
          islamici sia molto presente questo concetto di reciprocità, se non e 
			non dappertutto in
          termini teorici più che pratici, e solo da parte di chi è più
          illuminato o più tollerante e che ritengo in ogni caso anch'egli
          facente parte di una minoranza.
          È
			ineludibile quanto nell'Islam prevalga il fanatismo sulla moderazione. In ogni caso non entra in campo solo il
          fondamentalismo islamico, ma anche quello di quelle forze di pensiero
          e di potere occidentali, che hanno dichiarato di voler combattere il
          male con la guerra; altre forme di fondamentalismo.
          Non nascondo il mio timore di fronte all'odio che c'è dietro e
          continua ad alimentarsi attraverso tutte le odierne forme di
          contrapposizione di cui purtroppo è teatro la nostra realtà a
          livello planetario. Mi sostiene tuttavia la speranza, che è attesa,
          piena di impegno e di fiducia.
          Proseguendo nell'analisi, noto
          che lo sfaldamento dell’Occidente,
          in una emancipazione che tende a cancellare i valori fondanti di un
          vivere ed un convivere umano e umanizzante prima ancora che civile,
          rischia di prestare il fianco all’imporsi di un tipo di Islam, che
          non è un monolite ed ha tante sfaccettature, portatore di valori
          senza emancipazione.
          È pur vero che la laicità
          impostasi nel nostro Occidente, ormai quasi completamente
          secolarizzato, portando fino alle estreme conseguenze la
          separazione tra religione e politica, tende a far scomparire la
          dimensione trascendente dalla vita pubblica. Il fatto è che in molti
          si sentono in diritto di rifiutare questa dimensione; il che è
          comunque possibile per effetto della libertà che tutti abbiamo ricevuto da Dio.
          Sembra trattarsi di una sorta di accecamento determinato dai disvalori innescati da un secolarismo
          portato alle estreme conseguenze; ma se ne stanno
          vedendo i frutti: vuoto, smarrimento, sfaldamento dei principi
          fondanti di un autentico umanesimo, foriero di emancipazione  e
          crescita individuale e collettiva, ma nell'orizzonte della
          responsabilità. Che se resta solo 
			sul piano umano o sociologico non ha prospettive, perché solo l'azione teandrica del Figlio riesce ad imprimere 
			il novum della Redenzione alla storia dell'uomo.
		
          Ed è quando si perde l'aggancio
          alla trascendenza che può
          farsi strada il disprezzo per la libertà e la dignità umane, che
          degenerano in licenza e manipolazione. Tuttavia, per uno Stato laico, la sfida
          consiste nell'essere davvero aperto al Trascendente: cioè fondarsi
          su una visione della persona umana creata a immagine di Dio e
          portatrice dunque di diritti inalienabili ed universali. Esistono
          infatti alcuni diritti che sono universali, perché sono radicati
          nella natura della persona umana, piuttosto che sulle particolarità
          di una cultura. E tuttavia fede e cultura hanno relazioni di reciproca 
			fecondazione ma non coincidono.
          
          L'unica soluzione positiva è quella di
          promuovere e realizzare un vero dialogo ed un impegno comune sui problemi veramente
          importanti del nostro tempo, possibile solo se c'è conoscenza e
          rispetto reciproci, riconoscendo e accettando anche le differenze,
          senza volerle abolire perché sono ineliminabili. Naturalmente mi 
			riferisco alle differenze culturali, perché i fondamenti della Fede 
			restano quelli e non possono entrare in dialogo senza snaturarsi. 
			Non a caso il cristianesimo prevede un Annuncio, al quale oggi 
			sembra la Chiesa sembra sottrarsi per dialogare, piuttosto che per 
			insegnare, come rientra nel suo munus docendi.
          Il dialogo è una 
			soluzione praticabile ed è autentico solo quando nasce da identità mature: solo la forza della nostra
          identità può permetterci di aprirci all'altro senza paura, ed
          eventualmente accogliere aspetti di altre visioni del
          mondo senza buttare a mare le nostre. Per dialogare, però, oltre a
          riconoscere e rispettare l'altro, c'è bisogno di essere riconosciuti
          e rispettati a nostra volta. (1)
          Il dialogo è un porsi di-fronte, ognuno
          rivolto al volto dell'altro, che ci interpella e che interpelliamo per
          cercare insieme possibili soluzioni di convivenza civile, ammesso  
			che alla fine risulti possibile anche con chi non condivide la 
			Verità, che è una Persona, cioè il Signore, presente e operante 
			nella Sua Chiesa.
          In un autentico incontro, 
			può nascere una situazione nuova e possono aprirsi
          orizzonti diversi solo se le parole, anziché
          venir fuori dal bagaglio culturale dei pensieri, escono dal
          cuore, coniate nuove di zecca, in ascolto e dal silenzio delle
          profondità da cui scaturisce la fonte del proprio  'essere nella vita',
          che passa, naturalmente, attraverso la ragione.(2) 
          Questo introduce a livelli più profondi, concreti ed esistenziali. E se 
			ogni interlocutore fa altrettanto, non accade un contrapporsi
          di diversi 'sistemi', ma una vera inter-relazione tra realtà diverse, che
          hanno entrambe uno spazio, un territorio, un 'luogo' interiore in cui
          possono incontrarsi. Ed è proprio da tanti di
          questi 'luoghi interiori' che può nascere lo spazio esterno,
          concreto, di una autentica ed arricchente convivenza.
          È nell'incontro e - perché no? -
          nell'impegno comune sui più importanti problemi del nostro tempo può trasparire il nucleo luminoso di un'autentica fede vissuta e
          non solo sbandierata o imposta. La Verità infatti va semplicemente 'mostrata',
          dobbiamo cioè lasciare che si manifesti attraverso la nostra persona,
          perché essa raggiunge da sola chiunque è in ascolto. La Verità non può mai
          essere imposta, altrimenti viene tradita, perché essa può essere
          accolta sempre e soltanto attraverso la libertà. Se è indossata
          come un vestito perché imposta dall'esterno e non germoglia
          nell'intima adesione del cuore, non è più verità ma gabbia
          ideologica; se è rifiutata, ci si perde nell'anonimato di una vita
          senza senso.
          Infatti, una volta 
			'conosciuta' (intendo nel senso biblico del termine) la Verità, il 
			discorso non finisce qui, perché è l'inizio di una relazione - fatta di ascolto e risposta - che dura il cammino di tutta
          una vita e intesse e nello stesso tempo rivela la peculiare immagine
          di Dio che ogni uomo porta inscritta nelle profondità del proprio
          essere, che proprio per questo non può escludere gli altri e coincide
          con la ragione del suo essere-nel-mondo, dando impulso a tutte le
          relazioni vitali che riesce ad intessere con gli altri.
          In ogni caso va bene discutere,
          ma non è bene banalizzare questioni come questa per civetteria
          culturale o forzoso pretesto politico. Il Crocifisso non lo merita e
          non ce lo consente neppure la nostra dignità civile.
          
          Maria Guarini
          1 novembre 2003
        
      
        
        
        
        (1)
        Quel che più mi colpisce in questo frangente è una sorta di
        atteggiamento difensivo che ci viene spontaneo nel rapportarci con
        l'Islam e che vinciamo solo quanto entra in campo la razionalità. Credo
        che, visto che esiste, esso sia fondato nella realistica constatazione
        della impossibilità di dialogo con la parte fondamentalista dell'Islam
        e sul fatto che, mentre vediamo i
        nostri valori sfaldarsi e facciamo tanta fatica a viverli e ad
        affermarli nel nostro ambito - e non sempre ci riusciamo -, percepiamo
        negli islamici un maggiore radicamento in una tradizione forte, portante
        .... 
         Il fatto è che l'Occidente sembra essersi affrancato
          dagli elementi oscurantisti della propria tradizione; ma a che prezzo?
          Le vicende del nostro tempo ci aiuteranno a trovare una strada
          maestra, attraverso una illuminata sintesi delle nostre esperienze?
        
        (2)
        Si tratta, in fondo, non della 'realtà del libro', ma dell' 'incarnazione', 
        che è lo star dentro alle situazioni con tutto il proprio essere
        (cuore, mente, capacità morali e materiali) e conseguente assunzione di
        responsabilità di fronte a Dio, 
        a
        se stessi, agli altri-da-sé, a partire dai più prossimi. Solo così si
        possono portare nel proprio vivere quotidiano, che però è situato
        negli orizzonti del mondo intero, germi di Vita vera e non stereotipi
        cristallizzati di sterili moralismi o il vuoto totale di un liberismo
        selvaggio, nei quali possono rimanere invischiati sia l'Oriente che
        l'Occidente.
 
         
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