Cyberdemocrazia. La nuova partecipazione corre su Internet
Pierre Levy - Derrick De Kerckhove

Lo Stato moderno si fondava sull’alfabetizzazione di massa e sulla stampa, che hanno creato un’arena nazionale di confronto. Ma ormai le informazioni si muovono sulla Rete: come evolveranno allora i meccanismi di decisione collettiva? Due esperti a confronto

Pierre Levy [*]

«Dai gruppi globali ai forum di quartiere, il web è l’agorà del XXI secolo. Anche per lo Stato»

Senza soffermarci troppo su una storia già nota, dovremmo ricordare che la nascita e il consolidamento dello Stato e della legge sono inesorabilmente collegati all’invenzione della scrittura. La cittadinanza e la democrazia presuppongono l’alfabeto, richiedono che ogni cittadino sia in grado di leggere, applicare e analizzare la legge e prendere parte alla sua stesura. La stampa ha preparato il terreno per la creazione degli Stati nazione e per lo sviluppo dell’opinione pubblica nazionale. La rete telefonica globale, la televisione satellitare, la proliferazione dei canali televisivi e, più recentemente, il network mondiale di computer, che integra tutti i media precedenti in un ambiente di comunicazione interattivo e del tutto nuovo, stanno insieme creando un nuovo spazio pubblico. Media interattivi accessibili da ogni luogo, comunità virtuali deterritorializzate e libertà di espressione sempre più estesa definiscono una nuova sfera pubblica che sta radicalmente riplasmando le condizioni del governo e che probabilmente farà emergere nuove e prima inimmaginabili forme politiche.

Nuove tendenze politiche sono già scaturite a causa dello sviluppo del ciberspazio. Sono, questi, i primi passi sulla strada della ciberdemocrazia. Le comunità territoriali virtuali di regioni e città digitali stanno creando una democrazia locale connessa, caratterizzata da un livello più alto di partecipazione rispetto al passato. La transizione al governo elettronico e le relative riforme amministrative prospettano a queste comunità uno scopo più grande per cui agire, piuttosto che imporre loro un’autorità dall’alto. Le nuove agorà on line guideranno l’emergere di nuovi modi d’informazione e di dibattito politici, mentre il voto elettronico completerà il quadro di una democrazia al passo con la società dell’informazione.
La globalizzazione dell’economia e della comunicazione sta stimolando l’emergere di una società planetaria conflittuale, che trova espressione in uno spazio pubblico deterritorializzato. I movimenti no global, una delle principali forze dissidenti nel nuovo spazio pubblico, stanno utilizzando appieno le risorse a loro concesse dal ciberspazio e sperimentando nuove forme di organizzazione politica, flessibili e decentralizzate, che stanno aiutando a definire l’innovazione della ciberdemocrazia. Anche gli jihadisti e i terroristi stanno usando al massimo la mediasfera globale (la comunicazione senza fili, i nuovi canali televisivi e Internet).

Le nuove condizioni che accompagnano le forme di governo – globalizzazione, liberalismo e computerizzazione – hanno implicazioni importanti per il disegno di una nuova cultura politica. Il governo europeo dovrebbe poggiare, a causa della sempre maggiore interdipendenza della popolazione umana sul pianeta Terra, su un governo mondiale. Legge e giustizia non possono continuare a rimanere frammentate e divise in un momento in cui l’unità dell’economia, della tecnologia, della scienza e della biosfera sta diventando più evidente ogni giorno che passa. Suddiviso a livello globale, continentale, nazionale e regionale (o urbano), lo «Stato trasparente», adattato alla cibercultura, avrà tre funzioni chiave: giustizia (o governo della «città»), fondata sull’esercizio del potere legislativo e di quello esecutivo; governo del mercato (funzione della «banca centrale») e gestione delle finanze pubbliche (tasse, donazioni e sussidi); e governo della biosfera, in particolare la protezione della salute pubblica e dell’ambiente, e il controllo delle biotecnologie.

Queste tre funzioni dovranno essere realizzate da un’amministrazione trasparente, flessibile e aperta al dialogo, che si sforzi di promuovere l’intelligenza collettiva della società a ogni scala e livello. Fin dalle sue origini, durante il Neolitico, lo Stato è stato descritto come la «testa» della società. La testa è il l uogo della memoria, perciò dell’intelligenza e del governo. Gli scribi, i primi impiegati statali, erano i soli capaci di leggere le leggi, redigere i documenti e tenere i conti. Erano perciò capaci di vedere la loro posizione in una prospettiva temporale (e perciò intellettuale) più ampia rispetto alle persone che governavano. Con l’esplosione del ciberspazio, la memoria è ovunque, siamo tutti nella «testa della società». Di conseguenza, abbiamo bisogno di inventare nuove forme di governo e di statualità.

 

                                                                                 

Derrick De Kerckhove [*]

«Una diversa "repubblica" deve avere un’etica diversa, rispettosa dall’ambiente e delle culture»

Gli elementi chiave di un buon governo sono dunque la trasparenza e l’accesso dei cittadini al processo decisionale in funzione dei loro bisogni specifici. In fin dei conti, la ciberdemocrazia, allo stesso modo della vecchia democrazia alfabetica dei Greci, dei Romani o degli Stati-nazione europei, si basa sulla partizione delle responsabilità tra Stato e cittadini. Eppure il cibercittadino non è più definito solo tramite l’appartenenza fissa a uno specifico Stato, ma è diventato globale per definizione. La logica invita a considerare la nozione di governo globale, che appare contraria allo spirito stesso delle reti. Talvolta le battaglie contemporanee del movimento no global sono mal orientate (vale a dire contro gli interessi reali di molte comunità locali), ma al tempo stesso certificano la vitalità della ciberdemocrazia in quanto traggono il loro potere di organizzazione dalle reti. Non è possibile un accordo tra le multinazionali della globalizzazione, che non consultano nessuno, e le vittime locali degli ampi interessi finanziari sino a quando le realtà locali non avranno voce in capitolo. Il quesito che si presenta alla filosofia politica è ancora una volta quello che si propose a Platone: qual è la responsabilità del cittadino nella ciber-repubblica? La brillante risposta di Lévy è di proporre ciò che ha definito « la separazione di cultura e Stato» sul modello della vecchia e vantaggiosa separazione di Chiesa e Stato. Lo Stato va considerato come un sistema amministrativo svincolato da favoritismi di ogni sorta nei confronti di qualsivoglia comunità, che sia maggioritaria o meno. Occorre soprattutto, come sottolineato da Javier Echeverria, che in ogni circostanza il potere civile domini il potere militare.

Oltre tale riflessione, la risposta al quesito deve tenere in considerazione la doppia (e nuova) identità del cibercittadino, allo stesso tempo locale e globale, e quindi la sua doppia responsabilità. Si tratta di una nuova etica, ancora da fondare, basata sul modello del civismo implicito in ogni idea di repubblica, che dovrebbe condurre a un insieme coerente di diritti e privilegi e anche di responsabilità sia locali che globali. Oggigiorno, si intravedono le premesse della nuova etica, per esempio, nella revisione a cui è sottoposta la politica o nella tutela dell’ambiente naturale e sociale. Ciò che si può definire «globalismo» implica l’obbligo di rispettare le alterità delle culture e le diversità, anche semplicemente nel modo di parlare degli altri o con gli altri. Il multiculturalismo, o l’utilizzo di una politica di coesistenza pacifica tra le diverse culture, è per esempio consapevolmente praticato in Canada. Per di più esiste una coscienza delle responsabilità ecologiche, che non consiste solamente nel riciclo dei rifiuti urbani, ma anche nell’orientare gli investimenti finanziari personali verso imprese socialmente ed ecologicamente responsabili. Si può constatare, non senza speranza, il rifiuto largamente praticato nel mondo di consumare prodotti o di beneficiare di servizi di origine sospetta sul piano dei diritti dell’uomo.

Attualmente, il cibercittadino, come già il semplice cittadino, deve senza ombra di dubbio manifestare il suo desiderio di una pur minima partecipazione alla gestione degli affari dello Stato, qualunque essi siano. Tale partecipazione n on consiste solamente nella pratica del potere e del diritto di voto, di cui si usufruisce sempre meno in quanto le alternative proposte mancano sempre più di sostanza e dunque generano un interesse minore. Si tratta soprattutto di esigere sempre e incontestabilmente di essere informati riguardo le spese dello Stato, come è naturale per un azionista essere informato riguardo agli investimenti dell’impresa in cui ha investito i suoi fondi. Richard Rorty intravede nella partecipazione attiva l’unica forma di resistenza concessa ai cittadini dei Paesi ancora democratici, allo scopo di frenare la tendenza, generata dagli Stati Uniti, di imporre ai cittadini un regime di sorveglianza allargata in nome della lotta al terrorismo.

È molto probabile che il globalismo segnerà il nostro avvenire, sarà la matrice politica che funzionerà da scrigno per la libera rigenerazione di un mondo in cui la media dei cibercittadini vorrà realmente vivere. Non si può affermare che esso contrassegni il mondo in cui viviamo oggi. Tuttavia la risposta mondiale al disastro provocato dallo tsunami il 26 dicembre 2004 sembra mostrare che non ogni speranza è perduta.


Un filosofo prestato alle nuove tecnologie

Nato a Tunisi nel 1956 e laureato in Filosofia a Parigi, Pierre Lévy attualmente insegna a Ottawa, dove è impegnato in un progetto multimediale su un linguaggio universale per le reti. Ha approfondito le modalità di approccio ipertestuale e ha sviluppato, con Michel Authier, il concetto di rete conosciuto come «alberi della conoscenza». Tra i più brillanti «media philosopher» del momento, ha dedicato oltre una decina di libri alle tecnologie digitali, come il molto influente L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del ciberspazio
(Feltrinelli). Tra le sue opere più recenti
tradotte in italiano, Cibercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie (Feltrinelli), Gli alberi
di conoscenze (Feltrinelli) e Il virtuale (Cortina).
 

                                                                             New Media e società per l'erede di Larshall McLuhan

Direttore del Programma McLuhan di Cultura e tecnologia all'università di Toronto, Derrick De Kerckhove è nato a Wanzé-Lez-Huy nel 1944 e prosegue il lavoro di Marshall McLuhan verso la comprensione di come le tecnologie influenzano e influenzeranno la società. De Kerckhove promuove una nuova forma di espressione artistica, che unisce le arti, l'ingegneria e le nuove tecnologie di telecomunicazione. Insegna anche all'università di Napoli e alla Biblioteca del Congresso di Washington. Tra le sue numerose opere tradotte in italiano si segnalano le recenti La pelle della cultura. Un'indagine sulla nuova realtà elettronica (Costa & Nolan), La civilizzazione video-cristiana (Feltrinelli) e Brainframes.
Mente, tecnologia, mercato (Baskerville). 

Il saggio LA DEMOCRAZIA DOPO LA DEMOCRAZIA

I testi di questa pagina sono tratti dalla raccolta Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica nell'epoca delle reti, curata da Derrick De Kerckhove e Antonio Tursi e pubblicata da Apogeo (pagine 200, euro 13,00). A delineare le prospettive future per la mediazione democratica - se possa rinascere qualche forma di democrazia diretta, quali siano le nuove entità politico-istituzionali dopo gli Stati-nazione, a che punto sia la formazione di un'opinione pubblica globale - sono i saggi di Alberto Abruzzese, Sara Bentivegna, Franco Berardi Bifo, Derrick De Kerckhove, Pierre Lévy, Michele Prospero, Stefano Rodotà, Luca Toschi e Antonio Tursi. 

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