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I tre “doni” propri del Cattolicesimo

Intervista a padre James Massa, esperto di ecumenismo

Il recente documento sull’identità della Chiesa mette in evidenza quelli che sono i doni propri del Cattolicesimo, da offrire nell’ambito della ricerca dell’unità, afferma il direttore del Segretariato per gli Affari Ecumenici e Interreligiosi dei Vescovi statunitensi.

La Congregazione per la Dottrina della Fede ha emesso il 29 giugno il documento “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”, insieme ad un “Commento” di accompagnamento, pubblicati entrambi il 10 luglio scorso.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, padre James Massa mette in evidenza i contributi positivi che il documento può apportare all’odierno dialogo ecumenico ed esprime alcune considerazioni sulle reazioni manifestate dalle comunità protestanti.

Dalla sua posizione di preminenza nel lavoro ecumenico e interreligioso, come valuta il recente documento della Congregazione della Dottrina della Fede sul concetto cattolico di Chiesa?

Padre Massa: Credo che sia un chiarimento utile e necessario su quale sia la posizione cattolica relativa alla natura stessa della Chiesa. Gesù Cristo ha fondato la Chiesa come una comunità visibile e unitaria, destinata a perdurare fino al suo ritorno. Il Cattolicesimo ritiene che questa unica Chiesa di Cristo sussista in pienezza solo nella Chiesa cattolica.

Questo non significa che l’unica Chiesa non sia anche presente e attiva nelle Chiese ortodosse e nelle comunità protestanti per la salvezza dei rispettivi membri. In questi organismi cristiani troviamo infatti elementi autentici di santificazione e di verità che, a loro volta, ispirano anche noi e ci inducono al dialogo ecumenico, facendoci desiderare ancora di più questa unità per cui Cristo stesso ha pregato.

Inteso nel senso giusto, il “chiarimento” può essere motivo di un dialogo ecumenico più profondo e più franco tra i cattolici e i loro interlocutori.

Qual è la sua impressione circa le reazioni dei protestanti e degli altri non cattolici al documento?

Padre Massa: È chiaro che alcuni esponenti di spicco del mondo protestante si sentano profondamente delusi dal documento. Il reverendo Setri Nyomi, Segretario generale dell’Alleanza mondiale delle Chiese riformate, avrebbe affermato che esso contraddice lo “spirito della nostra chiamata cristiana all’unità in Cristo”. Egli, insieme ad altri, si chiede se il Santo Padre e i vertici cattolici siano ancora seriamente impegnati nel dialogo.

A mio avviso, si tratta di una reazione sproporzionata che ha frainteso sia quali fossero i destinatari del documento, sia la sostanza dello stesso. Il “chiarimento” era diretto ai Vescovi e agli studiosi cattolici, non agli stessi interlocutori dell’ecumenismo. In secondo luogo, esso non viene meno rispetto ad alcuno degli impegni essenziali che la Chiesa cattolica ha preso sin dal Concilio Vaticano II per progredire nella causa dell’unità dei cristiani.

Vi sono poi state anche reazioni più positive. Ann Riggs, della commissione ecumenica statunitense Faith and Order, ad esempio, vede il documento come un invito ad un dialogo più sofisticato in cui ciascuna parte cerchi di comprendere le dichiarazioni dell’altra come provenienti da una diversa tradizione di espressione dottrinale.

Il metropolita Kirill della Chiesa russa ortodossa lo ha definito “onesto” e preferibile rispetto ad un approccio diplomatico che evita le questioni spinose. In sostanza quindi le reazioni sono state diverse. Ma nell’insieme credo che i benefici di lungo termine che ne deriveranno in favore di un ecumenismo autentico saranno maggiori di qualunque conseguenza sconveniente.

Perché questo documento era necessario ora, in questo preciso momento del percorso verso la piena unità dei cristiani?

Padre Massa: Sette anni dopo la “Dominus Iesus” ci troviamo ancora di fronte al problema di un’attenzione insufficiente nei confronti della dottrina cattolica sulla Chiesa. Forse, nel tentativo di sottolineare l’opera salvifica di Dio presente nelle altre Chiese e comunità cristiane, alcuni teologi hanno mancato di sottolineare che l’unica Chiesa di Cristo è identificabile in modo particolare con la Chiesa cattolica. Anche le altre Chiese e comunità accolgono in sé la presenza salvifica di Cristo, ma solo nella Chiesa cattolica l’unica Chiesa sussiste in pienezza.

Contrariamente a ciò che alcuni teologi cattolici hanno scritto, non esistono altre “sussistenze”.

Le affermazioni del documento su quali gruppi meritano l’appellativo di “Chiesa”, estrapolate dal contesto, possono anche sembrare stridenti. Le Chiese ortodosse sono giustamente definite Chiese perché hanno mantenuto i sacramenti e il ministero propri della successione apostolica. Le comunità protestanti mancano invece di questa sostanza ecclesiale rappresentata dai sacramenti e dal ministero che ci uniscono nell’unico Corpo di Cristo. Ma anche gli ortodossi, sebbene molto vicini a noi in termini di fede e di pratica, sono ancora “feriti” nella loro comunione perché mancano dell’elemento costitutivo dell’Ufficio di Pietro, il Papa.

Quali sono, se ve ne sono, le novità contenute nel documento? Si tratta semplicemente di una riaffermazione dell’insegnamento cattolico, come articolato in altri documenti? Se sì, qual è la sua utilità? Oppure contiene del materiale nuovo?

Padre Massa: Non credo che vi sia nulla di sostanzialmente nuovo.

Tuttavia, la riaffermazione della posizione cattolica, a mio avviso, consente, a coloro che sono coinvolti nei dialoghi, di avere maggiore consapevolezza dei “doni” propri del Cattolicesimo, che possiamo offrire nell’ambito della ricerca dell’unità. Papa Giovanni Paolo II affermava che l’ecumenismo non è tanto uno scambio di idee quanto uno scambio di doni. La devozione incentrata sull’Eucaristia, il ministero episcopale e il primato del Papa sono i doni propri del Cattolicesimo. Essi non devono mai essere posti “sotto il moggio”.

L’ultimo paragrafo del Commento al Documento, anch’esso emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, cita la “Deus caritas est”: “L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. ... La comunione mi tira fuori da me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani”. Lei crede che Benedetto XVI sarà un elemento decisivo nel raggiungimento dell’unità?

Padre Massa: Sono convinto che l’attuale Santo Padre sia un ecumenista serio e credibile. E lo è stato sia come accademico, sia come Vescovo e prefetto, e ora come Papa. Ma egli ci avverte anche che non si può pensare che l’“unità” sia qualcosa che possiamo raggiungere noi, con la nostra capacità teologica o diplomatica. L’unità è e sarà sempre un dono del Signore e pertanto è qualcosa che dobbiamo attendere in preghiera e dedicandoci ad opere di amore insieme agli altri e in nome degli altri.

Su un altro fronte, vi è stata polemica sulla stampa in seguito alla pubblicazione, il 7 luglio, della “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI. Secondo alcuni si tratterebbe di un documento antisemita. Qual è la sua impressione al riguardo? Come dovrebbe essere interpretato il documento alla luce dei rapporti tra cattolici ed ebrei?

Padre Massa: Nel Motu proprio “Summorum Pontificum”, il Santo Padre meramente estende la possibilità di utilizzare il Messale del 1962 e celebrare la cosiddetta Messa tridentina. Il “Missale Romanum” del 1962 è il risultato di un’opera di revisione del Beato Giovanni XXIII sul precedente linguaggio liturgico spesso interpretato in senso antisemitico.

Nel 1965, la “Nostra Aetate” del Vaticano II, al n. 4, ha ripudiato ogni forma di antisemitismo come non appartenente alla vita cristiana. Con il nuovo Messale del 1969, l’unica preghiera per gli ebrei è quella del Venerdì santo che riflette pienamente la nuova concezione del popolo ebraico come popolo eletto da Dio, il popolo di coloro “a cui Dio ha parlato quale primogenito”.

Nel corso del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha lavorato in modo efficace per riconciliare la Chiesa con il popolo ebraico e per rafforzare i nuovi legami di amicizia. Benedetto XVI sta proseguendo nella stessa direzione. In questo senso giova ricordare che nel 1988 Giovanni Paolo II stesso ha dato il permesso di utilizzare il Messale del 1962 come misura pastorale per assistere i cattolici rimasti affezionati ai riti precedenti, al fine rafforzare i legami all’interno della famiglia ecclesiastica.

L’attuale Santo Padre – utilizzando le sue stesse parole – continua ad essere impegnato nella “necessità di superare i pregiudizi, le incomprensioni, l’indifferenza e il linguaggio ostile e sprezzante del passato” e di proseguire nel “dialogo fra Ebrei e Cristiani [per] continuare ad arricchire e a rafforzare i vincoli di amicizia che si sono sviluppati” (Benedetto XVI, in occasione del XL anniversario della "Nostra aetate”, 27 ottobre 2005).


[Fonte: Zenit 24 luglio 2007]

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