l’Islam al bivio tra
        progetto “identitario” e integrazione
        Intervista di p. Bernardo
        Cervellera a Samir Khalil Samir - 10 marzo 2006
        
        
        
            
        
            
            
        
            
        
       
        
C’è
          chi, come l’Ucoi, vuole mantenere gli islamici in un ghetto,
          evitando ogni possibilità di partecipare alla vita dei Paesi che li
          ospitano. Sono gli Stati europei a dover chiedere a quelli musulmani
          la reciprocità nei diritti religiosi.
          
          
           
       
          
          
           Le richieste di quei gruppi islamici che, come
          l’UCOI in Italia, chiedono allo Stato di insegnare l’islam a
          scuola, rendere festivo il venerdì, creare banche islamiche,
          eccetera, tendono a marcare ed approfondire l’estraneità dei
          musulmani all’Europa, invece di mirare ad una loro progressiva
          integrazione. Un progetto “identitario”, teso ad affermare “noi
          siamo diversi”, secondo la definizione di padre Samir Khalil Samir,
          gesuita egiziano, docente di storia della cultura araba e di
          islamologia all’Università Saint-Joseph di Beirut, uno dei massimi
          esperti cattolici dell’islam. “Le diversità – dice in una
          conversazione con AsiaNews - sono talmente profonde con la
          tradizione europea, che lo sforzo per aiutare i musulmani deve andare
          in senso contrario, cioè verso l’integrazione e non verso
          l’isolamento”.
          Eppure in Europa ormai ci sono, sembra, circa 20 milioni di
          musulmani.
          L’Europa sembra essere il luogo dell’integrazione. Ma da una
          parte l’Europa guarda l’Islam con una benevolenza senza giudizio,
          relativista; dall’altra vive un’opposizione quasi totale. Questi
          due atteggiamenti opposti sono due errori. Occorre una terza via:
          dobbiamo fare una società insieme perché ormai i musulmani faranno
          parte sempre più dell’Europa. Ma occorre che essi facciano parte
          dell’Europa anche culturalmente, altrimenti arriveremo allo scontro.
          I giovani che hanno preparato l’attacco terrorista a Londra erano
          nati in Gran Bretagna, ma non erano integrati nella cultura europea,
          educati dagli imam fanatici.
          Ma c’è chi, come l’Ucoi in Italia, chiede che a scuola i
          musulmani possano seguire l’insegnamento della loro religione.
          Se iniziamo un sistema in cui ogni religione è vista come un
          gruppo a cui vanno riconosciute anche delle particolarità giuridiche,
          si apre la porta a un sistema di comunità che, nel caso dell’Islam
          è un progetto politico pericoloso. Questo è proprio il progetto
          islamico di tipo identitario, che afferma: noi siamo diversi. Il
          progetto dell’Ucoi è di tipo confessionale e di maturazione
          separata. Un conto è se si cerca di aiutare le comunità a integrarsi
          nella società europea; un conto è domandare allo Stato di difendere
          e mantenere la chiusura confessionale. Questo è volere che lo Stato
          italiano o europeo si comporti come uno Stato islamico, dove non si
          distingue fra Stato e religione. Se domani un altro gruppo, anche su
          base etnica, chiedesse di conservare una loro struttura tribale,
          sarebbe una confusione totale. L’idea dei ghetti, Chinatown, Little
          Italy, ecc. aiuta  i gruppi della prima emigrazione all’impatto
          con la nuova società. Ma dopo essi rischiano di essere un impedimento
          più che un aiuto per trovare un lavoro, integrarsi, ecc. Se si
          considera il bene dell’immigrato, la linea deve essere di attuare
          tutto quanto può aiutare la minoranza ad integrarsi nella cultura
          maggioritaria. Creare una scuola musulmana non aiuta nessuno ad essere
          più attivo nella società nella quale ha scelto di vivere.
          Lei parla di integrazione, ma spesso chi arriva in Europa non
          vuole essere integrato.
          I musulmani che arrivano in Europa vogliono vivere in tranquillità,
          in una società diversa da quella in cui sono nati. Si integrano
          spontaneamente, se non c’è una tendenza contraria da parte dei
          genitori o degli imam, e vanno trattati in quanto cittadini, se
          vogliono. Se invece si rifiutano di integrarsi e rimangono come
          stranieri, io li tratto come stranieri. La scelta in realtà è fra il
          guardare indietro o guardare davanti. Indietro è la cultura
          identitaria e il gruppo. Avanti è l’individuo, la persona e la
          libertà per lui di cambiare anche la religione. Tutto ciò che
          permette una scelta personale, libera e responsabile, va aiutato. Va
          invece respinta la linea di uno sviluppo separato, da ghetto
          identitario, che mi porta a lottare invece di proporre elementi per lo
          sviluppo. Anche i musulmani potrebbero dare indicazioni su famiglia,
          aborto, Pacs, ecc., importanti per tutta la società. Ma l’Ucoi
          pensa a fare proposte solo per il gruppo musulmano. E questo è
          sbagliato: sarebbe come una struttura statale di tipo ottomano, con un
          diritto per ogni clan.
          Ma questo, alla fine, fa ancora parte della cultura
          musulmana, anche in Europa.
          La presenza di musulmani in Europa è una chance molto importante.
          Io ad esempio, sogno che qualche musulmano che ha studiato in Europa
          si metta ad aiutare la comunità musulmana, creando scuole per gli
          imam in cui si studia la cultura islamica e la cultura secolare,
          integrandole. Queste cose nelle facoltà di teologia musulmana non
          esistono. A Beirut un istituto cattolico di teologia, forma un
          sacerdote che si apre alla storia, alle culture, alla scienza. Un
          istituto musulmano di teologia – che conosco perché vi ho insegnato
          per un certo tempo – è chiuso su se stesso: filosofia solo quella
          musulmana; niente scienze, antropologia, ecc. Questo forma gli imam
          come persone opposte alla cultura moderna, esclusivi, e quindi a far
          crescere gente che non pensa con la propria testa. Anzitutto perché
          l’insegnamento si basa sulla memorizzazione: del Corano, degli
          hadith, delle decisioni giuridiche, ecc. Poi, perché non si insegna a
          riflettere. E infine non si studiano le scienze. Emerge una cultura
          dualista, che lascia fuori la modernità. Questo problema è stato
          sottolineato da Wafa’ Sultan, una psicanalista siriana emigrata in
          America. Durante una trasmissione su Al Jazeera, lei ha detto: “Lo
          scontro che stiamo osservando nel mondo non è uno scontro di
          religioni o di civiltà. E’ uno scontro fra due opposti, fra due
          ere: fra una mentalità che appartiene al Medio Evo e una che
          appartiene al XXI secolo. E’ uno scontro fra la civilizzazione e 
          l’arretratezza; fra civilizzati e primitivi; fra la barbarie e la
          razionalità; fra libertà e oppressione, democrazia e dittatura; fra
          diritti umani e violazione di questi diritti dall’altra; fra coloro
          che trattano le donne come bestie (baha’im, l’animale da soma) e
          coloro che le trattano come esseri umani. Ciò che vediamo oggi non è
          uno scontro di civiltà: le civiltà non si scontrano, competono… È
          uno scontro fra la cultura rappresentata dall’occidente e
          l’arretratezza rappresentata dai musulmani”.
          Che senso ha, in questo quadro la richiesta di reciprocità
          nei diritti religiosi avanzata agli Stati islamici anche da Benedetto
          XVI?
          Il Papa ha chiesto all’ambasciatore del Marocco che vi sia
          reciprocità nei diritti religiosi, garantendo ai cristiani nel mondo
          islamico i diritti che i musulmani godono in Europa. Sarebbe giusto,
          ma devono essere gli Stati europei che, in nome dei diritti umani
          universali, chiedono la reciprocità per i loro cittadini e per i
          cittadini dei Paesi islamici stessi. Le convenzioni sui diritti umani
          sono stati firmate dalla maggior parte dei Paesi musulmani. Ma nessuno
          boicotta l’Arabia Saudita perché non rispetta i diritti umani.
          L’Europa si deve dare una regola per agire verso chi non rispetta i
          diritti umani.