Prima domanda  
È possibile. Ma qual era la situazione nella Chiesa delle origini? I fedeli, 
non erano dunque seduti con il presidente alla "tavola del Signore"?
Qui è opportuno distinguere tra celebrazione dell’àgape - il pasto fraterno - 
e celebrazione dell’eucaristia, che all’inizio seguiva l’àgape e più tardi la 
precedette. Io ho già trattato a fondo la questione nel mio studio: Beracha. 
Nei primi secoli, quando il numero dei membri della comunità era ancora 
ristretto, si era conservata la stessa disposizione dei posti, a fedele 
imitazione dell’Ultima Cena, tanto più che essa corrispondeva agli usi 
dell’epoca. Diverse chiese domestiche della Chiesa delle origini, di cui si sono 
ritrovate le fondamenta nelle regioni alpine, lo provano chiaramente. Al centro 
di un locale relativamente piccolo (circa 5 metri per 12,5), si trova un banco 
in pietra semicircolare, capiente da quindici a venti posti (9). 
Nelle città, ove il numero dei fedeli era più elevato, si era obbligati ad 
aggiungere delle tavole supplementari. Il vescovo e i presbiteri stavano seduti 
ad una di queste, i fedeli nelle altre, le donne separate dagli uomini. 
Nell’epistola ai Gàlati (2, 11-12), l’apostolo Paolo rimprovera all’apostolo 
Pietro di aver preso cibo con i giudei convertiti, evitando i pagani convertiti.
Ora, mentre per i pasti in comune, le àgapi, si stava seduti a delle tavole, 
per la celebrazione dell’eucaristia ci si alzava e ci si andava a porre dietro 
il celebrante, che stava all’altare, come prescrive espressamente la Didascalia 
degli Apostoli, una istruzione del II-III sec., che esigeva che ci si volgesse 
esattamente verso Oriente (10). 
Con gli sviluppi successivi, una volta soppressi i pasti fraterni (verso il 
IV sec.), le tavole sparirono. I fedeli ormai stavano seduti su dei banchi 
disposti lungo i muri della chiesa. La tavola d’altare, già in legno, divenne un 
altare in pietra.
Seconda domanda 
Come ci si può opporre agli altari moderni, rivolti verso il popolo, quando 
essi sono stati prescritti dal Concilio e praticamente sono stati introdotti nel 
mondo intero?
Nella Costituzione conciliare sulla sacra liturgia, promulgata dal Concilio 
Vaticano II, si cercherà invano una prescrizione che imponga di celebrare la 
santa messa volti verso il popolo. Ancora nel 1947, papa Pio XII, nella su 
enciclica Mediator Dei (n° 49), sottolineava come si sbagliassero coloro che 
volessero ridare all’altare la sua antica forma di mensa (tavola). Fino al 
Concilio la celebrazione verso il popolo non era autorizzata *, tuttavia essa 
era tacitamente tollerata da numerosi vescovi, soprattutto per le messe dei 
giovani.
Da noi, in Germania, la nuova posizione del sacerdote fece la sua apparizione 
con la Jugendbewegung (movimento della giovinezza), negli anni venti, allorché 
si incominciò a celebrare l’eucaristia per dei piccoli gruppi; a questo 
proposito, Romano Guardini aveva svolto il ruolo di precursore, con le sue messe 
al castello di Rothenfels. Il movimento liturgico diffuse quest’uso, soprattutto 
Pius Parsch, che sistemò in questo senso, per la sua "parrocchia liturgica", una 
piccola chiesa romana (Santa Gertrude) a Klosterneuburg, vicino Vienna. 
Infine, questi sforzi vennero approvati dall’istruzione della Congregazione 
dei Riti Inter œcumenici, del 1964, che ha ispirato in seguito il nuovo messale. 
Per le nuove costruzioni è qui prescritto che "È bene costruire l’altar maggiore 
separato dal muro, perché si possa facilmente girarvi attorno e vi si possa 
celebrare verso il popolo; esso sarà posto nell’edificio sacro in modo da essere 
veramente il centro verso il quale si volge spontaneamente l’attenzione 
dell’assemblea dei fedeli" (n° 91).
Sfortunatamente, è esatto che i nuovi altari verso il popolo siano stati 
installati dovunque nel mondo - almeno per quanto riguarda l’area di diffusione 
della Chiesa cattolica. Ma, a rigore, essi non sono prescritti.
Nelle chiese ortodosse d’Oriente - ove, dopo tutto, vi sono alcune centinaia 
di milioni di cristiani - si continua a rispettare l’uso della Chiesa delle 
origini, secondo cui il sacerdote che celebra il Santo Sacrificio è girato, 
insieme con i fedeli, verso l’àbside. Questo vale sia per le Chiese di rito 
bizantino (greca, russa, bulgara, serba, ecc.) sia per le Chiese dette di rito 
orientale antico (armena, siriana, copta).
Che l’altare debba essere scostato dal muro "perché si possa facilmente 
girarvi attorno", è un’altra questione. Questa esigenza della Congregazione dei 
Riti si accorda perfettamente con la tradizione ** . 
Per più di dieci secoli, come fino ad oggi nelle chiese ortodosse d’Oriente, 
l’altare è rimasto privo di sovrastrutture. Un cambiamento si produsse all’epoca 
gotica, con l’apparizione delle pale. Queste svolgevano in parte il ruolo dei 
dipinti dell’àbside e dei muri, raffigurando le diverse tappe della salvezza: 
dall’Annunciazione all’Ascensione del Signore. 
Mentre nelle piccole chiese gli altari erano spesso addossati al muro 
dell’àbside, nelle grandi chiese, come abbiamo visto, erano posti, fino 
all’epoca gotica, in mezzo al santuario. Ed allora era possibile girarvi intorno 
al momento dell’incensamento, com’è detto nel salmo 25: "…giro intorno al tuo 
altare, Signore, per far risuonare voci di lode e per narrare tutte le tue 
meraviglie".
Per sottolineare la santità dell’altare, questo - almeno nelle grandi chiese 
- era generalmente sormontato da un baldacchino in materiale prezioso, poggiante 
su quattro colonne. Ai quattro lati erano fissate delle cortine; certo in 
riferimento alla tenda del Tempio di Gerusalemme, che separava il Santo dei 
Santi (Sancta Sanctorum) dal santuario, come Dio aveva prescritto a Mosè: "Farai 
il velo di porpora viola, di porpora rossa, di scarlatto… Lo appenderai a 
quattro colonne di acacia, rivestite d’oro… Collocherai il velo sotto le fibbie 
e là, nell’interno oltre il velo, introdurrai l’arca della Testimonianza. Il 
velo sarà per voi la separazione tra il Santo e il Santo dei santi" (Esodo 26, 
31-33).
Come abbiamo già detto, nel rito bizantino è l’iconostàsi che attua la 
separazione, ma, secondo la concezione ortodossa, essa rappresenta anche, 
insieme alle icone, l’Ecclesia cœlestis (la Chiesa del Cielo) che celebra di 
concerto con i fedeli, tanto che essa dev’essere considerata, da quelli che 
partecipano alla celebrazione, non solo come una separazione, ma anche come un 
oggetto di contemplazione.
In altri riti orientali non bizantini, l’iconostàsi manca; al suo posto vi 
sono, come presso gli Armeni, due tende: una piccola davanti all’altare e una 
grande che, in certi momenti della liturgia della messa, nasconde tutto il coro 
agli occhi dei fedeli. E a questo proposito san Giovanni Crisostomo dice: 
"Quando vedi chiudere le tende, pensa che in quel momento il cielo si apre lassù 
in alto e ne discendono gli angeli" (11).
Secondo la testimonianza di Guillaume Durand, queste tende furono anche usate 
in Occidente, fino a metà del Medio Evo. Egli parla di tre vela: uno che ricopre 
le offerte del sacrificio, il secondo intorno all’altare e il terzo sospeso 
davanti al coro (12).
Mentre la Chiesa delle origini dissimulava l’altare come poteva, ornandolo 
con tessuti preziosi e con pendoni, ecco che oggigiorno questo stesso altare si 
trova posto, nudo, in mezzo alla chiesa, esposto a tutti gli sguardi. La sua 
santità, in quanto luogo delle offerte del sacrificio, si ritrova così meglio 
evidenziata? Certamente no. A meno che non si voglia prendere in considerazione 
- contro tutte le tradizioni - la sua funzione di tavola da pasto e la si voglia 
rendere manifesta in tal modo. 
Allora, certamente, non mi resta che inchinarmi… 
Ma, in questo caso, non si tratta più di rendere presente quaggiù il mondo di 
lassù: si tratta solo dell’uomo e del suo universo. L’universo di Dio, degli 
angeli, dei santi, diventa marginale: ci sfiora appena. Forse, malgrado tutto, 
ci si interesserà ancora a un uomo chiamato Gesù e a qualche passo accuratamente 
selezionato del suo Vangelo! 
Terza domanda  
Tuttavia, non vi era già nel Medio Evo un altare destinato al popolo, per di 
più un altar maggiore, come lo abbiamo oggi?
Ciò è esatto nella misura in cui, nelle chiese cattedrali e nei monasteri, vi 
era in genere, da dopo la fine dell’epoca romana, un altare destinato al popolo, 
posto davanti al jubé; quest’ultimo era una specie di chiusura del coro, un po’ 
più alta di quella delle chiese antiche, con due entrate che davano sul coro dei 
canonici o dei monaci, i quali, in tal modo, si trovavano separati dal resto 
della chiesa. A causa della croce posta al di sopra di quest’altare, o più 
esattamente sul jubé, l’altare stesso veniva chiamato "altare della croce". 
È su questo altare che, in queste chiese, si celebrava la messa per il 
"popolo" ***, come ogni altra messa destinata ad avere numerosi assistenti: la 
messa solenne per i funerali, quella per l’incoronazione di un sovrano (fig. 5). 
Per di più si predicava dall’alto del jubé e solo le messe conventuali (solenni) 
venivano celebrate all’altar maggiore, nel coro. 
Dunque, in primo luogo la funzione del jubé non era di elevare una barriera 
fra il clero e il popolo - e per questo non può essere paragonato all’iconostàsi 
bizantina - piuttosto esso era destinato a creare, per i canonici e per i 
monaci, uno spazio apposito, ove si potessero svolgere le funzioni liturgiche 
del coro (liturgia delle ore, messa conventuale) senza essere disturbati. 
Per delle ragioni sia liturgiche che architettoniche è stato del tutto 
irragionevole far sparire il jubé e l’altare della croce, come è accaduto quasi 
dappertutto in Germania all’epoca dei Lumi, su ordine delle autorità secolari 
(13). 
Come allora si procedette a delle importanti modifiche architettoniche 
all’interno delle chiese - per far sì che i fedeli potessero guardare 
direttamente l’altar maggiore - così oggi, in seguito al Concilio, quasi tutte 
le chiese antiche sono state ritoccate con dei lavori di "aggiornamento". 
Chi giri adesso il mondo e visiti le chiese, scopre, per la sistemazione del 
santuario, le soluzioni più singolari. Soprattutto in Italia, dove è stato 
possibile, gli altari barocchi sono stati privati della loro tavola d’altare che 
è stata rimpiazzata dai seggi del celebrante e dei suoi assistenti. Si può 
pensare che sia la meno felice delle soluzioni, visto che la pala perde così la 
sua antica funzione di riferimento al sacrificio eucaristico per vedersi 
"degradata" a semplice schienale dei preti. Se non fosse che, nella maggior 
parte dei casi, l’antico altar maggiore, col suo tabernacolo, serve solo a 
conservare la santa comunione, così che occorre rassegnarsi al fatto che il 
sacerdote, in piedi davanti all’altare verso il popolo, gira costantemente le 
spalle al tabernacolo, lo stesso su cui fino a ieri si fissavano gli occhi dei 
fedeli in preghiera. 
Quando occorre, è la corale parrocchiale che si installa sui gradini 
dell’altar maggiore, con i cantori che volgono anch’essi le spalle al 
tabernacolo e si servono della tavola d’altare per poggiarvi i loro diversi 
accessori.
Allorché le considerazioni artistiche lo hanno permesso, l’altar maggiore è 
stato totalmente soppresso, e l’eucaristia viene conservata in un tabernacolo 
murale laterale; ed allora sorge subito il problema di come occupare lo spazio 
così liberato dell’àbside. Le soluzioni adottate sono le più diverse. Spesso vi 
si è installato l’organo, con la sua cassa decorativa, oppure, per la maggior 
parte del tempo, la corale parrocchiale, oppure si è semplicemente appeso al 
muro dell’àbside l’antica pala d’altare o un pendone di valore, come fossero 
degli ornamenti. 
In definitiva, ognuna di queste soluzioni non è soddisfacente, poiché, 
installando un nuovo altare, per di più dall’apparenza molto modesta, si è fatto 
sparire il centro di gravità spaziale costituito dall’altar maggiore, così come 
era stato concepito dall’architetto che aveva costruito la chiesa. Senza alcun 
dubbio, A. Lorenzer ha ragione allorché scrive: "Il significato dell’altare, a 
questo punto, fa parte integrante della chiesa… che lo spostamento di questo 
“centro di gravità spaziale” dovrebbe indurre ad elaborare un piano interamente 
nuovo" (14). 
La cosa assume un’evidenza impressionante nelle grandi chiese, come per 
esempio nella cattedrale di Spira, ove lo sguardo di coloro che vi entrano si 
posa subito sull’antico altar maggiore sormontato dal suo baldacchino. Oggi 
quest’altare sembra fluttuare nel vuoto: la tavola d’altare installata nel coro, 
malgrado le sue dimensioni, si nota appena in questo spazio tutto volto in 
altezza, mentre l’altare verso il popolo, alcuni gradini più in basso, non 
costituisce affatto un "centro di gravità spaziale". 
Quarta domanda  
Nell’Handbuch der Liturgie für Kanzel, Schule und Haus (Manuale di liturgia 
per la cattedra, la scuola e la casa), del P. Alfons Neugart (1926), si legge: 
"Nella basilica della Chiesa delle origini, l’altare era posto in mezzo 
all’àbside del coro e il prete celebrante si metteva dietro di esso, rivolto 
verso il popolo. Sull’altare non vi erano né croce né luci. I seggi del vescovo 
e degli ecclesiastici erano disposti tutt’intorno, lungo il muro. È solo più 
tardi che l’altare venne posto contro il muro, come oggi". È esatto?
La cosa esatta è che nei primi secoli, i seggi dei vescovi e dei sacerdoti 
erano posti lungo il muro dell’àbside e non ai lati dell’altare; in ambito greco 
essi erano spesso nettamente rialzati su diversi scalini, di modo che il 
vescovo, assiso sul trono, potesse esser visto da tutti e meglio ascoltato al 
momento del suo sermone, che un tempo pronunciava dal suo seggio. Il seggio 
centrale era sempre riservato al vescovo, come accade ancora oggi in Oriente.
È anche esatto che a quel tempo sull’altare non vi fosse né croce, né luci, 
né leggio per il messale, ma solo il calice e la patena con le offerte; lo si 
può constatare nelle raffigurazioni medievali della messa; e se fino ad un’epoca 
recente si usava decorare con dei fiori il pavimento della chiesa, l’altare non 
veniva mai decorato. Ecco perché in genere gli altari erano piccoli, con una 
tavola che raramente raggiungeva un metro quadrato. Nel chiostro della 
cattedrale di Ratisbona vi è, per esempio, un piccolo altare massiccio in 
pietra, che risale ad un’epoca molto antica, mentre vi si trova anche, nella 
"cattedrale antica", un grandissimo altare di due metri e dieci per un metro e 
quaranta, che risale probabilmente al V secolo e che rappresenta una 
"confessione", vale a dire che faceva parte della tomba di un martire. Ecco 
spiegata la sua taglia (15)! La limitata superficie della maggior parte degli 
altari lasciava posto solo per le offerte del pane e del vino: questa 
particolarità sottolineava significativamente il carattere sacrificale della 
messa, come accadeva per i sacrifici dei Giudei e dei pagani, per i quali solo 
le offerte propriamente dette trovavano posto sull’altare.
Gli altari di grande dimensione erano rari nei tempi antichi, eppure, al pari 
degli altri che abbiamo citato, anch’essi erano riccamente ornati di stoffe 
preziose che cadevano dai quattro lati fino a terra, di modo che le tavole che 
ricoprivano non si presentavano come tali. Più tardi, in molti posti, si dispose 
sul lato anteriore degli altari un pendone di stoffa, di legno e di metallo 
riccamente ornato. Così che non si può affermare che il carattere di pasto della 
messa sia stato sottolineato dagli altari a forma di tavola.
Parleremo dopo più a fondo della posizione del sacerdote all’altare ai tempi 
della Chiesa delle origini. Qui ricordiamo solo quanto scriveva sulla rivista 
Der Seelsorger, nel 1967, quindi poco dopo il Concilio, il P. Josef A. Jungmann, 
autore di un lavoro celebre, Missarum sollemnia: "L’affermazione spesso ripetuta 
che l’altare della Chiesa delle origini supponesse sempre che il prete fosse 
rivolto verso il popolo, si rivela essere una leggenda". Inoltre, Jungmann mette 
in guardia contro il pericolo che, auspicando l’adozione dell’altare verso il 
popolo, "se ne faccia un’esigenza assoluta e, alla fine, una moda alla quale ci 
si sottometta senza riflettere". Secondo lui, la ragione principale di questa 
raccomandazione di celebrare rivolti verso il popolo è la seguente: "Vi è qui, 
innanzi tutto, l’accento esclusivo che oggigiorno si ama tanto mettere sul 
carattere di pasto dell’eucaristia". 
Da parte sua, il cardinale Joseph Ratzinger ha sempre più messo in guardia, 
in questi ultimi anni, contro il rischio di considerare la liturgia sotto il 
solo aspetto di "pasto fraterno" (16). 
Quinta domanda  
Il papa non celebra da tempo immemorabile rivolto verso il popolo, e non v’è 
in San Pietro, a Roma, un altare isolato su un podio, come nella maggior parte 
delle chiese moderne?
Sembrerebbe esatto che l’idea di un altare centrale isolato su un podio sia, 
in qualche modo, già prefigurata nella chiesa barocca di San Pietro (certo non 
nella chiesa costantiniana che l’ha preceduta): l’altare papale, leggermente 
sopraelevato, si trova isolato nel mezzo della chiesa, proprio al di sotto della 
cupola centrale, posta esattamente sopra la confessione con la tomba del 
Principe degli Apostoli; esso è facilmente visibile da ogni parte, sia dalla 
navata sia dai due bracci del transetto. 
Chi una volta partecipava alle messe papali notava che il papa non era posto, 
come nel resto della cristianità, davanti all’altare, bensì dietro. Alcuni 
liturgisti ne deducevano, avventatamente, che in tal modo si fosse conservata la 
posizione “verso il popolo”, posizione risalente alla Chiesa delle origini.
In realtà si tratta, come abbiamo visto, dell’orientamento nella preghiera: 
la chiesa di San Pietro, a differenza delle chiese antiche, non ha l’àbside ad 
Est, bensì ad Ovest. Tuttavia, come dimostrano le foto scattate prima 
dell’elevazione al Soglio di Paolo VI, che intraprese la trasformazione 
dell’altare papale, i fedeli presenti potevano appena intravedere il papa, a 
causa dell’enorme dimensione dei candelieri e della croce, posti sull’altare. 
Non è dunque possibile, a stretto rigore, parlare di celebrazione versus populum. Non si trattava di un privilegio papale, come talvolta è stato 
affermato. Infatti vi sono a Roma delle altre chiese il cui àbside è posto ad 
Occidente e non ad Oriente e in cui il celebrante è ugualmente posto dietro 
l’altare.
Nelle chiese moderne, costruite dopo il Concilio, si trova spesso, come a San 
Pietro, un altare isolato su un podio, ma ad esso manca il coronamento del 
primo: il baldacchino. Siccome si tratta di un podio isolato in mezzo alla 
chiesa, e dunque sprovvisto di ogni orientamento - e circondato dalle fila di 
sedie dei fedeli - è difficile trovare un posto adeguato per la croce 
dell’altare, di cui abbiamo esposto prima la funzione di punto di riferimento, 
croce che tuttavia continua ad essere richiesta dalle nuove regole liturgiche. 
Nell’Institutio generalis del nuovo messale, si prescrive: "Del pari, 
sull’altare o in prossimità di esso, vi sarà una croce, ben visibile 
dall’assemblea" (n° 270). 
Era questo il caso dell’"altare della croce" medievale ****, ma non lo è più 
adesso quando si verifica che, per soddisfare in una maniera o in un’altra 
questa prescrizione, si finisce con l’usare una piccola croce o a fianco 
dell’altare o poggiata su di esso. 
Sesta domanda  
Andava dunque bene che il sacerdote pregasse, come accaduto finora, in 
direzione del muro? Molto meglio vederlo girato verso l’assemblea!
Allorché si pone davanti all’altare, il sacerdote non prega in direzione di 
un muro, ma, insieme a tutti coloro che sono presenti, prega in direzione del 
Signore. Tanto più che fino ad adesso la cosa che più importava non era tanto di 
realizzare una qualche comunione, bensì di rendere il culto a Dio, tramite la 
mediazione del sacerdote, che rappresentava i partecipanti ed era unito ad essi.
Parlando della direzione della preghiera, sant’Agostino, vescovo di Ippona, 
scrive: "Quando ci alziamo per pregare, ci volgiamo verso l’Oriente (ad orientem 
convertimur), da dove si alza il cielo. Non perché Dio si troverebbe solo lì, 
non perché Egli avrebbe abbandonato le altre regioni della terra… ma perché lo 
spirito sia esortato a volgersi verso una natura superiore, e cioè verso Dio" 
(17). Questo spiega perché dopo il sermone, i fedeli si alzavano per la 
preghiera e si volgevano verso Oriente. Sant’Agostino li invitava spesso a farlo 
alla fine dei suoi sermoni, impiegando a mo’ di formula consacrata le seguenti 
parole: "Conversi ad Dominum… (Rivolti al Signore).
Possiamo ricordare qui le parole di san Paolo. Conscio che "finché abitiamo 
nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non 
ancora in visione" egli preferisce essere "in esilio dal corpo ed abitare presso 
il Signore" (ad Dominum) (2 Corinti 5, 6-8). 
Così, volgersi verso il Signore e guardare ad Oriente era, per la Chiesa 
delle origini, una sola e medesima cosa.
Nella sua opera fondamentale, Sol salutis (1920), Joseph Dölger si dice 
convinto che la risposta del popolo: "Habemus ad Dominum" (Sono rivolti al 
Signore), al richiamo del sacerdote: "Sursum corda" (In alto i nostri cuori!), 
significasse anche che ci si volgeva verso Oriente, verso il Signore (p. 256). A 
questo proposito, Dölger fa osservare che certe liturgie orientali prevedono 
espressamente questo invito, con un appello espresso dal diacono prima della 
preghiera eucaristica (anaphora) (p. 251). È il caso dell’anàfora copta di san 
Basilio, che comincia: "Accostatevi, voi uomini, mantenetevi rispettosi e 
guardate ad Oriente!", ed anche dell’anàfora di san Marco, in cui lo stesso 
appello (Guardate ad Oriente!) viene espresso nel mezzo della preghiera 
eucaristica, prima del passaggio che conduce al Sanctus. 
La breve descrizione liturgica del secondo libro delle Costituzioni 
apostoliche (un’istruzione del IV secolo), dice anch’essa che ci si alza per 
pregare e ci si volge verso Oriente (18) . L’ottavo libro ci riporta l’appello 
corrispondente lanciato dal diacono: "Tenetevi in piedi verso il Signore!" (19). 
Come si può vedere, anche qui vi è il parallelismo fra il guardare ad Oriente e 
il volgersi verso il Signore.
L’uso della preghiera in direzione del sol levante è da tempo immemorabile, 
come ha dimostrato anche Dölger; lo si ritrova presso i Giudei e presso i 
Romani. Vitruvio, nel suo lavoro sull’architettura, scrive: "I templi degli dei 
devono essere posizionati in modo tale che… l’immagine che è nel tempio guardi 
verso ponente, affinché coloro che andranno a sacrificare siano rivolti verso 
Oriente e verso l’immagine, di modo che, nel pregare, guardino sia il tempio sia 
la parte del cielo che è a levante, mentre le statue sembrano levarsi insieme al 
sole per guardare coloro che le pregano nei sacrifici" (20). 
Per Tertulliano (200 ca.) la preghiera verso Oriente è cosa scontata. Nel suo 
piccolo libro, Apologeticum, egli ricorda che i cristiani "pregano in direzione 
del sol levante" (cap. 16). Questo orientamento nella preghiera è stato 
evidenziato molto presto nelle case, con una croce sul muro. Se ne trova una in 
un locale di un piano superiore di una casa di Ercolano, seppellita 
dall’eruzione del Vesuvio del 79 (21). 
Settima domanda 
Ma, se non altro, vi sono degli studi, come quello conosciuto del prof. Otto 
Nussbaum, nei quali si dimostra scientificamente che fin dai tempi più remoti si 
sono avute delle celebrazioni verso il popolo, e che queste fossero anche le più 
antiche.
Nel suo studio di grande respiro, Der Standort des Liturgen am christlichen 
Altar (Il posto del liturgo all’altare cristiano), apparso nel 1965, Nussbaum 
scrive: "Quando comparvero gli edifici cultuali propriamente detti, non vi erano 
delle regole precise che fissavano da che parte dell’altare dovesse mettersi il 
liturgo. Egli poteva rimanere sia davanti che dietro l’altare" (p. 408). Egli 
ritiene che la celebrazione versus populum sia stata preferita fino al VI 
secolo. 
Tuttavia Nussbaum non distingue a sufficienza tra le chiese con l’àbside ad 
Est e quelle con l’àbside ad Ovest e la cui entrata era dunque ad Est. 
Quest’ultimo orientamento è quasi esclusivo delle basiliche del IV secolo, 
specialmente di quelle fatte erigere dall’imperatore Costantino e da sua madre 
Elena, come per esempio la chiesa di San Pietro a Roma. 
Ma, dall’inizio del V secolo, san Paolino da Nola indica come abituale 
(usitatior) l’àbside ad Est (22). In effetti, le basiliche con l’entrata ad Est 
si trovano soprattutto a Roma e nell’Africa del Nord, mentre sono relativamente 
rare in Oriente (a Tiro e ad Antiochia).
L’entrata ad Oriente (basiliche costantiniane) imitava la disposizione del 
Tempio di Gerusalemme (cfr. Ezechiele 8, 16), come di altri templi antichi, le 
cui porte aperte lasciavano entrare la luce del sol levante, che faceva 
scintillare all’interno la statua del dio. 
Nelle basiliche cristiane con l’entrata ad Est, il celebrante era obbligato 
normalmente a rimanere davanti al lato "posteriore" dell’altare, al fine di 
essere rivolto ad Oriente al momento dell’offerta del Santo Sacrificio, 
esattamente come nelle chiese con l’àbside ad Oriente, nelle quali egli rimaneva 
"davanti" all’altare (ante altare), quindi con le spalle all’assemblea.
Per il fatto che in certe basiliche con l’àbside ad Est vi fosse posto dietro 
l’altare anche per il celebrante, si è dedotto a volte che quest’ultimo si 
ponesse da questo lato, volgendosi così verso il popolo; specialmente quando 
nell’àbside vi era anche un banco per i sacerdoti, con un trono per il vescovo. 
Ora, si tratta di una conclusione chiaramente errata - adottata peraltro da 
Nussbaum - come si dimostra, in maniera irrefutabile, con l’aiuto degli scavi 
archeologici (23). Se così non fosse, per quale motivo si sarebbero costruite 
queste chiese esattamente orientate ad Est? 
Ottava domanda  
Quando il sacerdote si trovava posto "dietro" l’altare, nelle chiese che 
avevano l’àbside ad Occidente, come San Pietro a Roma, non si finiva, malgrado 
tutto, col celebrare rivolti al popolo?  
No! Infatti, durante la preghiera eucaristica (canon missæ), non solo il 
celebrante, ma anche i fedeli si volgevano ad Oriente. Come ha fatto osservare 
san Giovanni Crisostomo (24), nei tempi antichi i fedeli stendevano le mani nel 
corso della preghiera, al pari del sacerdote (cfr. fig. 9, p. 46), e tutti 
guardavano in direzione delle porte aperte della chiesa, da dove penetrava la 
luce del sol levante, simbolo di Cristo resuscitato che ritorna.
Al di là della particolare venerazione per il sol levante che aveva il 
costruttore di queste basiliche, l’imperatore Costantino, certamente ha avuto la 
sua influenza questo passo del profeta Ezechiele (43, 1-2): "Mi condusse allora 
verso la porta che guarda a Oriente, ed ecco che la gloria del Dio di Israele 
giungeva dalla via orientale…". In tal modo, con le porte della basilica aperte 
sull’Oriente, ci si aspettava che il Cristo venisse a partecipare alla 
celebrazione dell’eucaristia, come dopo la sua resurrezione era apparso più 
volte ai suoi discepoli durante il pasto (cfr. Luca 24, 36-49; Giovanni 21; Atti 
1, 4).
All’origine i fedeli - donne e uomini separati - non stavano nella navata 
centrale, ma in quelle laterali *****, cosa questa che implicava che, nelle 
chiese antiche, il numero delle navate laterali potesse arrivare fino a sei 
(quelle del Laterano e di San Pietro, a Roma, ne hanno solo quattro). In 
definitiva, questo modo di prender posto nelle navate laterali corrispondeva 
all’abitudine di fermarsi lungo i muri laterali delle piccole chiese della 
cristianità delle origini. Tale abitudine è ancora oggi in atto nelle chiese 
d’Oriente: la navata o lo spazio centrale sotto la cupola rimangono liberi per 
le funzioni. I fedeli anziani prendono posto su delle sedie (stasidien) lungo i 
muri della chiesa e nelle navate laterali, gli altri assistono alla messa in 
piedi. In Oriente, la posizione del corpo più conveniente per la partecipazione 
liturgica, è quella in piedi, e non l’inginocchiarsi, com’era da noi una volta; 
tale posizione esige una grande disciplina fisica, soprattutto nel corso di 
offici che si prolungano. 
Come si evince da certi scavi e dalle raffigurazioni che sono state trovate 
(fig. 6), nelle basiliche costantiniane e nord-africane l’altare era quasi al 
centro della navata. Esso era attorniato da ogni lato da un recinto e, in 
genere, era sormontato da un baldacchino ******. Il coro dei cantori (schola 
cantorum) prendeva posto davanti al celebrante. Nelle chiese di Ravenna, benché 
fossero tutte orientate, si conservò per lungo tempo questa disposizione 
dell’altare e della schola in mezzo alla navata (25): la cosa è attestata fino 
all’VIII secolo. 
Lo stesso accadeva nella chiesa costantiniana di San Pietro, a Roma: l’altare 
non si trovava, come si potrebbe pensare, al di sopra della tomba dell’Apostolo, 
ma quasi al centro della navata centrale. In corrispondenza di dove era 
sotterrato il Principe degli Apostoli, vi era una "memoria" senza altare, 
sormontata da un baldacchino a colonne, come si può vedere in una raffigurazione 
molto antica, quella dello scrigno d’avorio di Pola (fig. 7). La supposizione 
spesso avanzata che vi fosse già un altar maggiore mobile, là ove i pellegrini 
entrano ed escono per visitare la tomba dell’Apostolo, non ha avuto alcun 
riscontro.
Poiché, nella basiliche con l’àbside ad Occidente e l’altare in mezzo alla 
navata centrale, i fedeli si disponevano, come abbiamo visto, lungo le navate 
laterali - fra le cui colonne vi erano, peraltro, dei tendaggi che si aprivano 
durante la messa - di fatto non volgevano le spalle all’altare; cosa che 
peraltro non avrebbe neanche potuto essere supposta visto il rispetto che si 
portava alla santità dell’altare; bastava una leggera rotazione del corpo per 
volgersi, senza difficoltà, in direzione dell’entrata, verso Oriente.
Anche nel caso inverosimile che nel corso della preghiera eucaristica i 
fedeli non guardassero verso l’entrata, ma verso l’altare, resta il fatto che, 
anche così, non si sarebbe potuto verificare il faccia a faccia tra il 
celebrante e l’assemblea, poiché, come abbiamo già detto, nei tempi antichi 
l’altare era nascosto dalle tende.
A partire dal Medio Evo, l’altare di queste basiliche venne generalmente 
trasferito verso l’àbside. Nella chiesa di San Pietro ciò avvenne, come si sa, 
nel 600, sotto il papato di Gregorio Magno, il quale apportò anche importanti 
modifiche al coro e fece costruire una cripta circolare che permettesse ai 
pellegrini di recarsi liberamente alla tomba dell’Apostolo, senza dover passare 
per il presbiterio (fig. 8).
Col passare degli anni, il popolo si dispose via via nella navata centrale. 
In una certa epoca (impossibile da precisare oggi), in queste basiliche 
costantiniane, gli assistenti smisero di volgersi verso Oriente, per rimanere 
rivolti all’altare; fu allora che si giunse ad una parvenza di celebrazione 
versus populum. 
Nona domanda 
Qual era la posizione del sacerdote e dei fedeli, in quelle chiese che 
avevano l’àbside orientato, chiese che costituivano, come si sa, la maggioranza 
dei santuari antichi?
Nelle basiliche a navate multiple e con l’àbside orientato, i partecipanti 
alla messa si disponevano in piedi lungo le navate laterali e in fondo alla 
navata centrale. In tal modo formavano una sorta di semicerchio aperto verso 
Oriente; il celebrante si veniva a trovare così nel punto di convergenza di 
questo semicerchio (al centro del cerchio virtuale). 
Invece, nelle basiliche che avevano l’àbside ad Occidente, il sacerdote, i 
chierici ed i cantori si venivano a trovare alla sommità di questo stesso 
semicerchio.
Quando, più tardi, i fedeli finirono con l’occupare l’intera navata centrale, 
disponendosi in colonna, si venne a creare qualcosa di dinamico, che somigliava 
alla colonna del popolo di Dio in marcia nel deserto, in direzione della terra 
promessa: come se la posizione verso Est indicasse anche la meta della colonna: 
il Paradiso perduto che si cercava ad Est (cfr. Genesi 2, 8). Il celebrante e i 
suoi assistenti formavano la testa della colonna.
La disposizione iniziale, quella che componeva un semicerchio, si presentava 
invece come composta secondo un princìpio statico: l’attesa del Signore che era 
asceso in cielo verso Oriente (cfr. Salmi 67, 34; Zaccaria 14, 4) e da lì 
sarebbe ritornato (cfr. Matteo 24, 27; Atti 1, 11); come quando si riceve una 
personalità eminente, e si arretra, a formare un semicerchio, per accogliere in 
mezzo l’ospite d’onore. San Giovanni Damasceno scrive: "Al momento della sua 
Ascensione, egli salì verso Oriente, è così che l’adorarono gli Apostoli, ed è 
così che ritornerà, allo stesso modo in cui lo videro salire in cielo, come ha 
detto il Signore stesso: “Come la folgore viene da oriente e brilla fino a 
occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo” (Matteo 24, 27). Ecco 
perché l’attendiamo e l’adoriamo rivolti ad Oriente: è una tradizione non 
scritta degli Apostoli" (26).
Sulla base di questa concezione, a partire dal VI secolo circa, in numerose 
chiese - come si vede nelle pitture dell’epoca a Bawit, in Egitto - si 
raffigurava l’Ascensione del Signore sotto la volta principale dell’àbside: in 
alto il Cristo glorioso condotto da due angeli, al di sotto Maria, che 
rappresentava la Chiesa, in preghiera con le mani volte al cielo, alla sua 
destra ed alla sua sinistra gli Apostoli. Questa raffigurazione rappresentava 
sia la glorificazione di Gesù in cielo sia la sua seconda venuta, secondo le 
parole rivolte dai due angeli agli Apostoli al momento dell’Ascensione: "Questo 
Gesù che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso 
modo in cui l’avete visto andare in cielo" (Atti 1, 11) (27).
Più tardi, nei dipinti delle àbsidi in Occidente, il Cristo in trono nella 
mandorla fu tratto da queste antiche raffigurazioni, e, come Majestas Domini 
circondata dai simboli dei quattro evangelisti, divenne il tipico dipinto delle àbsidi dell’arte romana. Nell’Oriente bizantino il Signore che ascende in cielo 
venne dipinto sia sotto la volta principale dell’àbside, come Pantocrate, sia 
sotto la cupola che sovrastava l’altare insieme al complesso dell’Ascensione; in 
quasi tutti i casi, però, la Madre di Dio non vi figurava più perché la sua 
immagine era riservata alla decorazione dell’àbside (fig. 2).
Il posto centrale attribuito a Maria nell’àbside si deve sicuramente ad un 
passo dell’Apocalisse: "Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve 
nel santuario l’arca dell’alleanza… Nel cielo apparve poi un segno grandioso: un 
donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona 
di dodici stelle" (Apocalisse 11, 19; 12, 1). 
Si noterà qui la relazione tra Maria-Ecclesia e Arca dell’Alleanza, ma anche 
il fatto che il velo del tempio - e cioè il santuario che questo copriva - si 
apriva solo in certi momenti ben precisi. Il mistero, il tremendum, esige 
d’esser velato, e così nasce il desiderio di vederlo rivelarsi; cosa che 
oggigiorno si dimentica troppo facilmente.
L’apostolo Paolo scrive: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera 
confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia" (I Corinti 13, 12). Guardare ad 
Est non significa solo guardare al Signore trasfigurato in cielo e atteso alla 
fine dei tempi, ma esprime anche il desiderio della manifestazione ultima, della 
rivelazione della gloria futura. 
Decima domanda 
Tuttavia, il fatto che nelle più antiche basiliche romane l’altare e l’àbside 
potessero trovarsi in tutte le direzioni è in contraddizione con l’affermazione 
che alle origini si sarebbe sempre pregato verso Est e che di conseguenza le 
chiese fossero "orientate". Come si spiega?
Il fatto è che in questo caso si tratta di chiese edificate su del materiale 
da costruzione risalente all’Antichità, oppure di chiese che le condizioni 
locali non permettevano che venissero perfettamente orientate. Tuttavia, questo 
non impediva che il sacerdote ed i fedeli si volgessero insieme verso l’Oriente 
per la preghiera e il sacrificio, come voleva l’uso cristiano abituale.
Così, per esempio, la celebre chiesa di San Clemente, a Roma, che è stata 
edificata su delle antiche fondazioni, ha l’entrata a sud-est: ecco perché il 
celebrante si dispone dietro l’altare; d’altronde, una celebrazione davanti 
l’altare non sarebbe assolutamente possibile, data la disposizione dei luoghi. 
Per guardare verso Oriente, al momento del Santo Sacrificio, al sacerdote basta 
girare leggermente il corpo; lo stesso dicasi per i fedeli disposti nelle navate 
laterali (a San Clemente la navata centrale serve per la schola, in essa si 
trovano anche i due amboni per la lettura dell’epistola, del graduale e del 
Vangelo).
					
					
Nel suo libro, Le rite et l’homme, Louis Bouyer scrive: "L’idea che la 
basilica romana sarebbe la forma ideale della chiesa cristiana, perché 
permetterebbe una celebrazione in cui il prete e i fedeli si disporrebbero 
faccia a faccia, è un completo controsenso. È l’ultima delle cose a cui gli 
antichi avrebbero pensato" (p. 241).
Ad ogni modo, come abbiamo già visto, il preciso orientamento delle chiese, 
come lo si riscontra a partire dal IV-V secolo, non avrebbe avuto senso se non 
fosse stato in stretta relazione con l’orientamento nella preghiera.
A sostegno dell’opinione secondo la quale l’altare propriamente detto (e la 
croce che lo sovrasta) sarebbe il punto di riferimento verso il quale si volgono 
i fedeli e che, idealmente, dovrebbero attorniare, si ama citare, a mo’ 
d’esempio, l’espressione del memento dei vivi, del canone della messa: "… 
et 
omnium circumstantium…" (… e di tutti i circostanti…). Occorre precisare che, 
nel suo significato filologico, il termine circumstantes contenuto in questa 
espressione designa globalmente "le persone presenti" e non solo "quelli che si 
trovano in cerchio intorno a…"; tant’è che, dagli scritti dell’epoca, non si ha 
notizia di casi di fedeli che si sarebbero disposti in cerchio attorno 
all’altare durante la celebrazione della messa. D’altronde, non avrebbero potuto 
farlo, se non altro perché i laici, come ancora oggi in Oriente, non avevano il 
diritto di penetrare nel santuario.
Il rispetto si sviluppa quando è incoraggiato dai comportamenti esteriori e, 
se è il caso, dalle interdizioni destinate ad evitare le profanazioni. Quando, 
per esempio, un sagrestano può poggiare sull’altare, senza il minimo scrupolo, 
una sedia o una scala per sistemare dietro l’altare, in alto, dei candelieri o 
dei fiori, la santità di questo altare ne resta rozzamente offesa. Cosa 
inimmaginabile in una chiesa d’Oriente!
Di contro, possiamo dire che l’espressione "… et omnium circumstantium…" può 
far pensare alla buona abitudine che dovrebbero prendere i fedeli durante 
l’offerta del Santo Sacrificio: in piedi, pieni di rispetto (fig. 9). Ma, ai 
giorni nostri, queste "persone presenti" si trasformano facilmente in "persone 
sedute" (in modo confortevole) su delle sedie, anche a causa della presenza di 
queste ultime nelle chiese attuali, le quali invitano a prender posto. 
Certo, cambiare il modo di vedere moderno in questo campo non sarebbe cosa 
facile; tuttavia non si dovrebbe mai dimenticare che la stazione eretta è 
l’attitudine liturgica per eccellenza, che fra l’altro favorisce lo spirito 
comunitario. 
Undicesima domanda  
Tutto ciò è molto bello… Ma non bisogna fare i conti con il fatto che l’uomo 
moderno non è più tanto capace di comprendere che per pregare bisogna volgersi 
ad Oriente? Per lui il sol levante non ha più la forza simbolica che aveva per 
l’uomo dell’Antichità e che ha ancora oggi per i paesi mediterranei, battuti dal 
sole in maniera più intensa che da noi, "uomini del nord". Ai cristiani odierni 
è quanto meno la comunione della mensa eucaristica che più importa.
Anche se l’uomo moderno non presta più attenzione alla direzione esatta verso 
cui prega - anche se i musulmani continuano a volgersi verso la Mecca e i giudei 
verso Gerusalemme - tuttavia non dovrebbe avere difficoltà a comprendere il 
significato che riveste il fatto che il sacerdote e i fedeli preghino insieme 
nella stessa direzione. Ad ogni modo, l’uso che tutti i presenti siano insieme 
orientati "verso il Signore" è qualcosa di atemporale e conserva anche oggi 
tutto il suo significato.
A fianco dell’aspetto teologico relativo al faccia a faccia tra il sacerdote 
ed i fedeli al momento della celebrazione del sacrificio eucaristico, è il caso 
di richiamare anche i problemi di ordine sociologico, che appartengono anch’essi 
alla messa in risalto della "comunione della mensa eucaristica". 
Il prof. W. Siebel, nel suo piccolo libro intitolato Liturgie als Angebot
(La 
liturgia all’asta), pensa che il sacerdote volto verso il popolo può essere 
considerato come "il più perfetto simbolo del nuovo spirito della liturgia", "La 
posizione in uso fino a ieri faceva apparire il prete come il capo e il 
rappresentante della comunità, che parlava a Dio a nome di quest’ultima, come 
Mosè sul Sinai: la comunità indirizza a Dio un messaggio (preghiera, adorazione, 
sacrificio), il prete, in quanto capo, trasmette questo messaggio, e Dio lo 
riceve". 
Con la nuova pratica, continua Siebel, il sacerdote "non sembra più neanche 
il rappresentante della comunità, ma piuttosto si presenta come un attore che - 
almeno nella parte centrale della messa - svolge il ruolo di Dio, un po’ come a 
Oberammergau o in altre rappresentazioni della Passione". E conclude: "Ma se, in 
nome di questa nuova svolta, il prete diventa un attore incaricato di 
interpretare il Cristo sulla scena, ecco che allora, a causa di questa 
riproposizione teatrale della Cena, Cristo e il prete finiscono con 
l’identificarsi in una maniera a momenti insopportabile". 
Siebel spiega anche la buona volontà con la quale i preti hanno adottato la 
celebrazione versus populum: "Il considerevole disorientamento e la solitudine 
dei preti hanno fatto sì che essi cercassero dei nuovi punti d’appoggio per il 
loro comportamento. Fra questi vi è il sostegno emotivo che procura al prete la 
comunità riunita intorno a lui. Ma ecco che nasce immediatamente una nuova 
dipendenza: quella dell’attore di fronte al suo pubblico".
Anche K. G. Rey, nel suo libro Pubertätserscheinungen in der katholischen 
Kirche (Manifestazioni pubertarie nella Chiesa cattolica), dichiara: "Mentre 
fino a ieri il prete offriva il sacrificio in quanto intermediario anonimo, in 
quanto capo della comunità, rivolto a Dio e non al popolo, in nome di tutti e 
con tutti; mentre fino a ieri pronunciava delle preghiere… che gli erano state 
prescritte, oggi questo prete ci viene incontro in quanto uomo, con le sue 
particolarità umane, col suo stile di vita personale, il viso rivolto a noi. Per 
molti preti diviene forte la tentazione di prostituire la propria persona, 
tentazione contro la quale non hanno la statura per lottare. Alcuni molto 
astutamente, ed altri con meno astuzia, volgono la situazione a proprio 
vantaggio. Le loro attitudini, la loro mimica, i loro gesti, tutto il loro 
comportamento attira gli sguardi che si fissano su di loro, per le loro ripetute 
osservazioni, le loro direttive, le parole d’accoglienza o d’addio… In tal modo, 
il successo dei loro suggerimenti costituisce, in cuor loro, la misura del loro 
potere e, quindi, la norma della loro sicurezza" (p. 25).
A proposito dell’augurio espresso da Klauser, e che abbiamo riportato prima, 
“di veder più chiaramente espressa la comunione al tavolo eucaristico”, grazie 
alla celebrazione versus populum, lo stesso Siebel, nel suo libro citato, 
dichiara: "L’augurata riunione dell’assemblea attorno al tavolo della Cena, non 
può certo contribuire al rafforzamento della coscienza comunitaria. In effetti, 
solo il prete sta vicino al tavolo, e per di più in piedi; gli altri 
partecipanti al pasto sono seduti più o meno lontani, nella sala del teatro".
E aggiunge: "In genere, il tavolo è posto lontano dai fedeli, su un palco, 
così che non è possibile far rivivere gli intimi rapporti che esistevano nella 
sala in cui si svolse la Cena. Il prete che svolge il suo ruolo girato verso il 
popolo, difficilmente può evitare di dare l’impressione di rappresentare un 
personaggio che, pieno di gentilezza, viene a proporci qualcosa. Per limitare 
questa impressione si è provato a piazzare l’altare in mezzo all’assemblea; ed 
allora non si è più obbligati a guardare solo il prete, l’occhio può spaziare 
anche sugli assistenti che gli stanno a fianco; ma così facendo si fa sparire il 
distacco esistente fra la spazio sacro e l’assemblea: l’emozione un tempo 
suscitata dalla presenza di Dio nella chiesa, si muta in un pallido sentimento 
che a mala pena si distingue dalla ordinaria quotidianità".
Ed allora, possiamo dire che il sacerdote posto dietro l’altare, con lo 
sguardo rivolto al popolo, diviene, dal punto di vista sociologico, sia un 
attore interamente dipendente dal suo pubblico, sia un venditore che ha qualcosa 
da proporre.
Nel suo libro, che abbiamo già citato, Das Konzil der Buchhalter, Alfred 
Lorenzer richiama ancora altri punti di vista, in particolare d’ordine estetico: 
"Non solo il microfono rivela ogni respiro, ogni rumore occasionale, ma la scena 
che si svolge assomiglia molto più alla presentazione televisiva di certe 
ricette di cucina, che alle forme liturgiche delle Chiese riformate. Mentre in 
queste ultime l’azione sacra è stata emarginata - ridotta al massimo di 
semplicità e brevità - nella riforma liturgica cattolica essa conserva il suo 
posto principale: privata dei suoi ornamenti gestuali essa conserva 
minuziosamente tutta la complessità del suo svolgimento, ed è ormai presentata 
agli occhi di tutti in una pseduo-trasparenza che confonde la percezione 
sensibile delle manipolazioni con la trasparenza del mito, manipolazioni che 
sono eseguite in maniera tale che ogni dettaglio di questo rituale alimentare 
finisce con l’essere esibito sempre con poca discrezione; si vede un uomo 
rompere con difficoltà un’ostia che resiste, si vede com’egli se la ficca in 
bocca, si diviene testimoni di abitudini masticatorie personali, non sempre 
molto belle, di modi con cui ingoiare del pane secco, di tecniche usate per far 
girare il calice da purificare e di sistemi più o meno abili per asciugarlo" (p. 
192).
Queste sono le conseguenze sociologiche della posizione del celebrante di 
fronte all’assemblea. Certo, le cose stanno diversamente al momento della 
proclamazione della parola di Dio. Questa presuppone proprio il faccia a faccia 
tra il prete e il popolo, come è stato sempre scontato che il predicatore si 
volgesse verso i fedeli, al pari del diacono che cantava il Vangelo. Ma, come 
abbiamo ripetuto, è cosa diversa la celebrazione del vero e proprio sacrificio 
eucaristico: in questo caso la liturgia non si concretizza in una "offerta" ai 
fedeli, come nel caso della liturgia della Parola, si tratta bensì di un 
avvenimento sacro nel corso del quale il cielo e la terra si uniscono e il Dio 
della grazia si inclina verso di noi. Solo al momento della comunione, del pasto 
eucaristico vero e proprio, si ritorna al faccia a faccia tra il prete e i 
comunicandi. E questi cambiamenti di posizione del celebrante nei confronti 
dell’altare hanno un preciso significato simbolico e sociologico: quando il 
celebrante prega e sacrifica ha, al pari dei fedeli, gli occhi rivolti a Dio, 
mentre quando proclama la parola di Dio e distribuisce l’eucaristia si volge 
verso il popolo.
Come abbiamo visto, il volgersi verso l’Est è così antico che la Chiesa ha 
fatto di questa attitudine un uso che non può essere modificato. "Si cerca" 
costantemente "con gli occhi il luogo ove è posto il Signore" (J. Kunstmann) o, 
come dice Origène nel suo libro sulla preghiera (cap. 32), il volgersi ad 
Oriente è "un simbolo, quello dell’anima che guarda verso il sorgere della vera 
luce", nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del 
nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo" (Tito 2, 13). 
Dodicesima domanda  
Perché, come si sostiene, il carattere sacrificale della messa sarebbe meno 
chiaramente espresso quando il prete è girato verso il popolo?
La domanda può essere ribaltata: dal momento che gli specialisti sanno molto 
bene che esaltare "l’altare rivolto al popolo" non significa richiamarsi ad una 
pratica della Chiesa delle origini, perché non ne traggono le inevitabili 
conseguenze? Perché non sopprimono i "tavoli da pranzo" eretti con una 
sorprendente coralità nel mondo intero? 
Molto probabilmente perché questa nuova posizione dell’altare corrisponde, 
meglio dell’antica, alla nuova concezione della messa e dell’eucaristia. 
È molto chiaro che oggigiorno si vorrebbe evitare di dare l’impressione che 
la "tavola santa" (come viene chiamato l’altare in Oriente) sia un altare per il 
sacrificio. Senza dubbio è la stessa ragione per la quale, quasi dappertutto, si 
pone sull’altare un mazzo di fiori (uno solo), come sulla tavola da pranzo di 
una famiglia in un giorno di festa, insieme a due o tre ceri: questi quasi 
sempre a sinistra, il vaso dal lato opposto. 
L’assenza di simmetria è voluta: non bisogna creare dei punti di riferimento 
centrali, come quando si mettevano i candelieri alla destra ed alla sinistra 
della croce che stava in mezzo; qui si tratta solo di una tavola da pranzo.
Non ci si mette dietro l’altare del sacrificio, ci si mette davanti; già il 
sacrificatore pagano faceva così, il suo sguardo era diretto verso la 
raffigurazione della divinità a cui si offriva il sacrificio; anche nel Tempio 
di Gerusalemme si faceva così: il sacerdote incaricato di offrire la vittima 
stava davanti alla "tavola del Signore", come si chiamava il grande altare 
dell’olocausto nel cuore del Tempio (cfr. Malachia 1, 12), e questa "tavola del 
Signore" era collocata di fronte al tempio interno ov’era custodita l’Arca 
dell’Alleanza, il Santo dei Santi, il luogo in cui dimorava l’Altissimo (cfr. 
Salmi 16, 15).
Un pranzo si consuma con il padre di famiglia che presiede, in seno alla 
cerchia famigliare; mentre invece, in tutte le religioni, esiste una apposita 
liturgia per il compimento del sacrificio, liturgia che prevede che il 
sacrificio si compia all’interno o davanti ad un santuario (che può essere anche 
un albero sacro): il liturgo è separato dalla folla, sta davanti ai presenti, di 
fronte all’altare, rivolto alla divinità. In tutti i tempi, gli uomini che hanno 
offerto un sacrificio si sono sempre rivolti verso colui al quale il sacrificio 
era diretto e non verso i partecipanti alla cerimonia.
Nel suo commento al libro dei Numeri (10, 27), Origène si fa interprete della 
concezione della Chiesa delle origini: "Colui che si pone dinanzi all’altare 
dimostra con ciò di svolgere le funzioni sacerdotali. Ora, la funzione del prete 
consiste nell’intercedere per i peccati del popolo". Ai giorni nostri, in cui il 
senso del peccato sparisce sempre più, la concezione espressa da Origéne sembra 
essersi largamente perduta.
Lutero, lo si sa, ha negato il carattere sacrificale della messa: egli non vi 
vedeva altro che la proclamazione della parola di Dio, seguita da una 
celebrazione della Cena; da qui la sua preoccupazione di vedere il liturgo 
rivolto verso l’assemblea. 
Certi teologi cattolici moderni non negano direttamente il carattere 
sacrificale della messa, ma preferirebbero che questo passasse in secondo piano 
al fine di poter meglio sottolineare il carattere di pasto della celebrazione; 
questo, il più delle volte, a causa di considerazioni ecumeniche a favore dei 
protestanti, dimenticando però che per le Chiese orientali ortodosse il 
carattere sacrificale della divina liturgia è un fatto indiscutibile.
Solo l’eliminazione della tavola da pranzo e il ritorno alla celebrazione 
all’"altar maggiore" potranno condurre ad un cambiamento nella concezione della 
messa e dell’eucaristia, e cioè alla messa intesa come atto d’adorazione e di 
venerazione di Dio, come atto d’azione di grazia per i suoi benefici, per la 
nostra salvezza e la nostra vocazione al regno celeste, e come rappresentazione 
mistica del sacrificio della croce del Signore. 
Questo, tuttavia, non esclude, come abbiamo visto, che la liturgia della 
Parola sia celebrata non all’altare, ma dal seggio o dall’ambone, com’era un 
tempo durante la messa episcopale. Ma le preghiere devono essere tutte recitate 
in direzione dell’Oriente, e cioè in direzione dell’immagine di Cristo 
nell’àbside e della croce sull’altare.
Visto che durante il nostro pellegrinaggio terreno non ci è possibile 
contemplare tutta la grandezza del mistero celebrato, e ancor meno lo stesso 
Cristo, né l’"assemblea celeste", non basta parlare ininterrottamente di ciò che 
il sacrificio della messa ha di sublime, bisogna invece fare di tutto per 
mettere in evidenza, agli occhi degli uomini, la grandezza di questo sacrificio, 
per mezzo della stessa celebrazione e della sistemazione artistica della casa 
del Signore, in particolar modo dell’altare. 
Allo svolgimento della liturgia e alle immagini, si può applicare ciò che 
dice dei "veli sacri" lo Pseudo Dionigi l’Areopagita, nella sua opera Sui nomi 
divini (1, 4): questi veli "che [ancora adesso] nascondono lo spirituale 
nell’universo sensibile, e il sovra terreno nel terreno, che conferiscono forma 
e immagine a ciò che non ha né forma né immagine… Ma il giorno verrà che, 
essendo divenuti incorruttibili e immortali e avendo raggiunto la pace beata 
accanto a Cristo, saremo, come dice la Scrittura, presso il Signore (cfr. I 
Tessalonicesi 4, 17) tutti pieni di contemplazione per la sua apparizione 
visibile". 
(tratto da MONS. KLAUS GAMBER, Tournés vers le Seigneur!, Editions 
Sainte-Madeleine, Le Barroux, F, pp. 19-55 - 
La traduzione è di una Vox
NOTE: 
(9) - Cfr. K. Gamber, Das Patriarchat Aquileja und die bairische Kirche (Il 
Patriarcato di Aquileia e la Chiesa bavarese), 
pp. 22-55 
(10) - II, 57, 2-58, 6 (Paderborn, 1906), ed. Funk.  
(11) - Migne, PG 62, 29.  
(12) - Rational, I, 3, n° 35.  
(13) - Sull'argomento cfr. l'articolo di K. Gamber in Das Münster, 1985.  
(14) - Das Konzil der Buchhalter (Il concilio dei contabili), p. 200.  
(15) - Cfr. K. Gamber, Ecclesia Reginensis, pp. 49-66.  
(16) - Cfr. Entretiens sur la foi, Fayard, 1975, p. 158.  
(17) - Migne, PL, 34, 1277.  
(18) - Cap. 57, 14, ed. Funk, p. 165.  
(19) - Cap. 12, 2, ed. Funk, p. 494.  
(20) - I, libro 4, cap. 5, ed. E. Tardieu et A. Cousin fils, p. 173.  
(21) - Cfr. E. C. Conte Corti, Vie, mort et résurrection d'Herculanum et de 
Pompéi, fig. 29.  
(22) - Ep. 32, 13 (Migne, PL 61, 337).  
(23) - Cfr. K. Gamber, Liturgie und kirchenbau (Liturgia e costruzione delle 
chiese), pp. 16-18.  
(24) - Migne, PG 62, 204.  
(25) - Cfr. K. Gamber, Liturgie und kirchenbau (Liturgia e costruzione delle 
chiese), pp. 132-136.  
(26) - Migne, PG 94, 1136. 
(27) - Cfr. K. Gamber, Sancta sanctorum, pp. 31-34.