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«Il senso religioso» parla anche al cuore del mondo islamico
di Giorgio Paolucci, su Avvenire 25 agosto 2006

Con questa fanno diciannove. Diciannove traduzioni del "Senso religioso", il testo fondamentale del pensiero di don Giussani, di cui ieri è stata presentata l’edizione araba. In dirittura d’arrivo quella giapponese, in cantiere il cinese e l’ebraico. La lingua non è un confine ma un mezzo, a conferma della ben nota capacità del "Gius" di parlare al cuore e alla mente di uomini di ogni latitudine e cultura. Se ne è avuta una eloquente conferma anche ieri al Meeting di Rimini, che ha invitato due musulmani a spiegare le ragioni che lo rendono interessante anche per il loro mondo.

«Ero tra i molti che nutrono pregiudizi e avversità nei confronti dell’Occidente e di tutto ciò che non appartiene al mio universo di riferimento, ma l’incontro con uno studente cristiano venuto al Cairo per studiare l’arabo mi ha fatto capire che l’altro è parte essenziale della mia esistenza. E che la via maestra della conoscenza è l’amicizia». Parola di Wail Farouq, docente di scienze islamiche alla facoltà copto-cattolica di Sakakini del Cairo, un passato all’ombra dei Fratelli musulmani. Che riconosce quanto la lettura del "Senso religioso" gli abbia fatto ri-scoprire concetti come ragionevolezza e realismo, e abbia favorito la riconciliazione tra tradizione e modernità, uno dei nodi irrisolti dell’islam contemporaneo.

«I fondamentalisti predicano l’odio verso tutto ciò che non appartiene all’universo musulmano, educano a una concezione dell’io che prescinde dal tu, dalla relazione con l’alterità. Illudono il popolo con formule tanto affascinanti quanto illusorie, come quella che recita l’islam è la soluzione. Giussani esalta la ragione come apertura alla realtà e come via al Mistero. Lo voglio ringraziare perché ci ha radunati in questa sala e perché voi avete saputo fare il primo passo verso l’altro». Segue fragoroso applauso in sala, al quale si uniscono alcune ragazze velate.

Said Shoaib, direttore del giornale egiziano Hurreya (Libertà), dice che «nel nostro Paese c’è bisogno di una concezione della religione come quella che traspare dalle pagine di questo libro: un’esperienza che spalanca alla vita in tutte le sue dimensioni, non un insieme di precetti da rispettare, non un mondo autoreferenziale che accusa di apostasia, di tradimento, chi cerca di coniugare fede e ragione». Proprio come è capitato a lui, che è stato attaccato dai Fratelli musulmani.

«Sarebbe riduttivo considerare questa iniziativa come un sostegno (pur prezioso e necessario) alla presenza cristiana nei Paesi arabo-islamici – dice Stefano Alberto, docente di introduzione alla teologia alla Cattolica di Milano –. È un aiuto che vogliamo offrire a tutti coloro che vivono in quelle terre per riscoprire il valore dell’esperienza elementare, la struttura originaria di ogni uomo, le domande di compimento che abitano in ogni cuore. È la stessa provocazione che lanciò don Giussani agli studenti del liceo milanese Berchet negli anni Cinquanta: non voglio persuaderti della mia verità, non ti chiedo di essere diverso da ciò che sei, ma di andare alla radice di te stesso per scoprire qual è la strada al compimento del tuo destino».

Per questo la traduzione in lingua araba del "Senso religioso" non è l’inizio di una crociata dei tempi moderni, ma – come recitava il titolo dell’incontro di ieri al Meeting – lo stupore di un nuovo inizio. In copertina un quadro del pittore americano Congdon mostra l’orma di un piede impressa sulla sabbia del deserto: qualcosa di effimero, che il vento può cancellare, ma anche il primo passo di un cammino perché due mondi si possano incontrare. Vivendo la propria identità non come ossessione ma come via maestra di un confronto vero.

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