Alcuni giorni fa, sotto una spessa concrezione calcarea che nascondeva la 
decorazione della volta del cubicolo della catacomba di Santa Tecla, si è 
rivelato il volto emaciato dell'apostolo Paolo. La caratteristica fisionomia 
assegnata all'apostolo delle genti dall'arte paleocristiana, che gli ha 
attribuito le fattezze ideali del pensatore, con grandi occhi dallo sguardo 
lontano perso nel vuoto, guance scavate, incipiente calvizie e lunga barba 
incolta terminante a punta, non lasciava alcun dubbio sull'identificazione. La 
sua presenza ha suscitato profonda emozione, entusiasmando i restauratori e 
imponendo una repentina accelerazione al restauro. 
Benché si lavorasse da oltre un anno nel cubicolo, raggiungendo soltanto 
nell'ultimo periodo risultati insperati grazie alla tecnica laser - qui 
applicata per la prima volta in ambiente ipogeo - le condizioni deplorevoli del 
soffitto dell'ambiente rendevano i restauratori restii ad affrontarle. Dalla 
spessa patina calcarea affioravano vaghe forme geometriche, un clipeo centrale e 
almeno due tondi angolari. Lo schema della decorazione non è inusitata per le 
volte delle camere catacombali, che spesso accolgono la figura del Buon Pastore 
circondato dalle personificazioni delle stagioni, a rappresentare il volgere del 
tempo governato da Cristo. 
 
Questo ci si aspettava anche in tale cubicolo, ma il rinvenimento del volto di 
Paolo proprio in uno dei tondi angolari della volta ha stravolto tutte le 
aspettative. Ci si è così dedicati al disvelamento degli altri tre clipei, dove 
in successione si sono rivelati i volti di due altri apostoli, uno 
particolarmente giovanile e l'altro dai tratti marcati (forse Giovanni e 
Giacomo), per scoprire nel terzo il canuto volto di Pietro. Per la prima volta 
nell'arte paleocristiana agli apostoli, e fra essi, primi fra tutti, i due 
principi degli apostoli, viene assegnata una postazione di così grande 
rilevanza; non accompagnatori di defunti, come in molti sarcofagi del IV secolo, 
né partecipanti al collegio liturgico presieduto dal Cristo, ma singole 
personalità che sovrintendono l'intero creato. 
L'inatteso rinvenimento si situa nel corso di una lunga campagna di restauro 
intrapresa dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra nell'unico cubicolo 
decorato della catacomba di Santa Tecla sulla via Ostiense. Lo stato di 
conservazione della decorazione risultava particolarmente compromesso fin dal 
primo rinvenimento, avvenuto in un'epoca anteriore al 1720. Fu opera di Marco 
Antonio Boldetti il quale, nelle Osservazioni sopra i cimiterj de' santi 
martiri, ed antichi cristiani di Roma, riporta: "Si osservarono diverse pitture, 
ma talmente guaste dal tempo, che non si può ravvisare cosa mai 
rappresentassero". 
Il cubicolo, rimasto interrato per secoli, era ampiamente ricoperto, soprattutto 
lungo la fascia inferiore delle pareti e lungo l'imboccatura del lucernario, da 
uno spesso strato di fango argilloso, che con il tempo si era indurito sino ad 
assumere un vero stato concrezionale; nella parte alta delle pareti e 
soprattutto sulla superficie piana del soffitto si concentravano gli spessi 
strati concrezionali che, come detto, offuscavano totalmente l'originale partito 
decorativo.
 
          							
		L'intervento ha preso avvio secondo le consolidate tecniche di pulitura tipiche 
degli ambienti ipogei, limitandosi a delicate e difficoltose operazioni 
meccaniche, tali da produrre soltanto un assottigliamento degli strati 
concrezionali. Con il procedere della pulitura, una prima difficoltà. Al di 
sotto delle incrostazioni calcaree è stata rinvenuta infatti una sottile patina 
nera confusa con un secondo strato scuro che traspariva al livello della 
pellicola pittorica: inaspettatamente le raffigurazioni non erano state 
collocate sul consueto colore bianco dell'intonaco, secondo il più canonico 
repertorio catacombale, ma su uno sfondo scuro con qualche sfumatura verdastra 
richiamante i più antichi esempi pompeiani. 
Il parziale svelamento delle superfici faceva intanto affiorare un ventaglio 
cromatico altrettanto insolito, mostrando una pittura corposa e ricca di 
velature e di sfumati che suggeriva un elevato livello qualitativo degli antichi 
artifices. 
A un certo punto, però, i tradizionali sistemi di pulitura meccanica dovevano 
arrendersi davanti alla tenacia di alcune incrostazioni; e al pericolo di 
apportare danni alla pittura; in particolare il soffitto dell'ambiente, da cui 
iniziava a trasparire un complesso intreccio geometrico, era attanagliato da uno 
strato talmente aderente di materiale estraneo da rendere impossibile una pur 
parziale asportazione. Si era consapevoli ormai delle eccezionali qualità 
tecniche del complesso decorativo e i risultati raggiunti fino a quel momento 
non potevano ritenersi soddisfacenti. Si è pensato quindi di sperimentare 
l'innovativa tecnica dell'ablazione laser. Una scelta rivelatasi quanto mai 
proficua. La tecnica laser, che si distingue per limitata invasività e maggiore 
controllo, dimostra una risposta ottimale nel trattamento delle superfici 
decorate di ambiente ipogeo, grazie anche alle peculiarità tecnico-esecutive 
della pittura paleocristiana e alle particolari condizioni microclimatiche degli 
ambienti. Il perenne velo di condensa acquosa che attanaglia gli affreschi 
catacombali sembrerebbe infatti esercitare una funzione protettiva nei confronti 
del potente raggio luminoso, conferendo inalterabilità ai colori ed esercitando 
un'azione coadiuvante nella procedura di distacco delle sostanze sovrammesse 
alla pittura.
 
I risultati raggiunti, come i volti degli apostoli dimostrano, sono di qualità 
insperata, e l'impiego di questa rivoluzionaria tecnica di restauro nelle 
catacombe di Roma promette nuove sorprese. 

(©L'Osservatore Romano - 28 giugno 2009) 
		
	

La già sensazionale notizia va completata con  l'Annuncio tratto dalla 
monumentale omelia del Santo Padre in occasione della chiusura dell'Anno Paolino 
(28 giugno 2009):
          							
										
									
									
"Siamo raccolti presso la tomba dell’Apostolo, il cui sarcofago, conservato 
sotto l’altare papale, è stato fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi 
scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata 
praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, 
mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino 
colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro 
con filamenti di lino. E’ stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso 
rosso e di sostanze proteiche e calcaree.
Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da 
parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a 
persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e 
incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo.
Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione".

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana