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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI ALL'ARCIVESCOVO DI CANTERBURY

Mercoledì, 23 marzo 1966

Accogliamo con commozione, con gaudio, con speranza la Sua graditissima visita, e con cuore sincero La ringraziamo e Le ricambiamo il cristiano saluto: la pace del Signore sia con Lei, e sia con le degne persone che La accompagnano e con tutte quelle ch’Ella intorno a Sé raccoglie e rappresenta.

Noi avvertiamo alla luce di Cristo la singolare importanza di questo incontro della Chiesa cattolica romana e della Chiesa d’Inghilterra e delle altre Chiese della Comunione anglicana: i credenti in Cristo vi assistono spiritualmente, il mondo osserva, la storia ricorderà. Ella ripete l’atto di grande cortesia, compiuto dal Suo illustre e riverito predecessore, Sua Grazia il Dottor Fisher, verso il Nostro, il compianto Papa Giovanni XXIII di felice memoria, e rinsalda un ponte, che da secoli era crollato fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Canterbury; un ponte di rispetto, di stima e di carità. Ella percorre questa ancor debole strada in via di ricostruzione con spontanea iniziativa e con sapiente fiducia: Dio benedica cotesto coraggio e codesta pietà.

Noi vogliamo che Ella abbia questa prima impressione varcando le soglie della Nostra dimora: i Suoi passi non arrivano in una casa straniera; essi giungono in una casa che Ella per sempre validi titoli può dire anche Sua; Noi siamo lieti di aprirle le porte, e con le porte il Nostro cuore; perché Noi siamo contenti ed onorati, applicando a questa circostanza una parola di S. Paolo, di accoglierla « non come ospite e forestiero, ma come concittadino dei Santi e della Famiglia di Dio » (cfr. Eph. 2, 19-20). Certamente dal cielo S. Gregorio Magno e S. Agostino guardano e benedicono.

Ci rendiamo conto perciò dei vari aspetti di questo avvenimento; e non esitiamo, innanzi tutto, a rilevare il valore storico di quest’ora: essa Ci appare grande, quasi drammatica, e felice, se pensiamo quale lunga e dolorosa storia essa intende concludere, e quale nuovo svolgimento quest’ora può inaugurare per i rapporti fra Roma e Canterbury: l’amicizia li dovrà d’ora innanzi ispirare e guidare.

Vediamo l’importanza civile che questo esempio di ben avviata concordia e questo proposito di pratica collaborazione possono avere per la pace fra le Nazioni nel mondo e per la promozione della cristiana fratellanza fra gli uomini.

E vediamo il valore ecumenico del nostro incontro. Non dimentichiamo i gravi e complessi problemi, che esso solleva e che non intende ora risolvere; ma questi problemi sono qui presentati nei loro termini essenziali, sempre molto difficili; ma formulati in modo da essere studiati insieme e meditati, ormai senza alcun risentimento di umano orgoglio, e senza alcuna ombra di terreno interesse, secondo la parola di Cristo e l’assistenza dello Spirito Santo.

Vediamo finalmente il valore propriamente spirituale e religioso della nostra mutua ricerca d’una comune professione di fedeltà a Cristo e di un’antica e nuova preghiera, che armonizzi gli animi e le voci per celebrare la grandezza di Dio ed il suo piano di salvezza in Cristo per tutta l’umanità. Nel campo della dottrina e della legge ecclesiastica siamo tuttora rispettivamente diversi e distanti; e così ora dev’essere per l’ossequio dovuto alla verità e alla libertà, finché non meritiamo la grazia suprema della vera e perfetta unità nella fede e nella comunione; ma la carità può e deve fin d’ora esercitarsi fra noi e mostrare la sua misteriosa e prodigiosa virtù: « dove è la carità e l’amore, ivi è Dio ». Questo perciò è un grande giorno, che, per la bontà divina, Ella Ci offre da vivere: «exsultemus et laetemur in ea»; esultiamo in questo giorno e rallegriamoci insieme!

PAROLE DI PAOLO VI SULLO STORICO INCONTRO  CON L'ARCIVESCOVO DI CANTERBURY, PRONUNCIATE DURANTE L'UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 23 marzo 1966

Carissimi Figli.

Non possiamo tacervi la commozione che ancora abbiamo nell’anima per l’udienza che ha preceduto la vostra. Abbiamo pochi momenti or sono incontrato ufficialmente, nella Cappella Sistina, l’Arcivescovo Anglicano di Canterbury.

Sono più di quattro secoli che la Chiesa Romana ha il dolore di essere separata dalla Chiesa d’Inghilterra; una Chiesa che Roma tanto ha amato e che ha, si può dire, generato. Riposano in questa basilica le sacre Spoglie di San Gregorio Magno, che inviò Agostino, con trenta monaci, alla fine del VI secolo, per rievangelizzare - c’erano già stati altri Missionari, prima, - l’Inghilterra.

Proprio da allora - ben si può dire - nacque l’Inghilterra Cattolica, che poi diede grande segno di sé per tutto il medioevo fino a quel periodo che chiamano la crisi della riforma del secolo XVI, la quale staccò dolorosamente la Chiesa d’Inghilterra, come quella di Germania, di Svizzera ed altre, da Roma.

Molti episodi si succedettero con tanta animosità che colà non si poteva più nemmeno nominare il Papa. È passato tempo, sono passate tante esperienze, tante anime buone hanno pregato ed ecco che cominciamo a vedere benefici risultati: questa grande Personalità che viene a trovarci amichevolmente.

Abbiamo ancora tutte le questioni dottrinali in piedi, da esaminare, e, se Dio vorrà, da risolvere - non parliamo di quelle disciplinari, che sono meno importanti -; ma il fatto è che una corrente di carità si è già stabilita e reciprocamente vuole affermarsi quale costante fedeltà e dare i suoi frutti.

Vi diciamo questo perché anche voi siate partecipi di questo momento di gioia e di speranza della nostra Chiesa Cattolica Romana e perché ancora vogliate pregare affinché questo inizio, che sembra tanto lieto e benedetto dal Signore, possa avere il suo seguito altrettanto felice e portare i frutti che sono quelli della perfetta unità, come il Divino Redentore ha voluto che vigesse e trionfasse nella sua Chiesa.

   
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