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Turchia. Nazionalisti e islamici: la saldatura più pericolosa
Antonio Ferrari, Corriere della sera 23 novembre 2006

Il ministro turco della Cultura, Koc, uno che di solito parla chiaro, lo definisce «un episodio intollerabile e orribile». Ma più che il raid di una quarantina di squadristi islamici di estrema destra, che ieri hanno occupato a Istanbul la celebre chiesa-museo di Santa Sofia per protestare contro la visita del Papa e lanciargli slogan insultanti e minacciosi, preoccupa il significato più profondo della clamorosa manifestazione. Non soltanto perché è stato violato un luogo-simbolo: l'antichissima chiesa cristiana, trasformata in moschea nel 1453, alla caduta di Costantinopoli, e diventata poi un museo negli anni 30 per volere di Kemal Ataturk; non soltanto perché irride al capo della Chiesa cattolica, che sarà ospite del presidente della repubblica Sezer dal 28 novembre al 1˚ dicembre; non soltanto perché è un velenoso segnale contro il temuto dialogo tra il Vaticano e il patriarca ecumenico degli ortodossi Bartolomeo I; ma perché segnala la volontà degli estremisti di saldare, nella protesta, i nazionalisti della destra più dura e i fanatici dell'Islam.

I dimostranti, tutti arrestati, ed è probabile che non torneranno in libertà prima della conclusione del viaggio di Benedetto XVI, appartengono infatti ad un gruppo minoritario, il Bbp, che vuol dire «partito della grande unione», nato 25 anni fa da una costola del movimento dei lupi grigi. Ora, che i seguaci del Bbp siano rimasti fedeli all'ideologia, spesso violenta e sempre intollerante, della casa madre è fuor di dubbio, però occorre ricordare che lo scisma si consumò su un problema non irrilevante, anzi fondamentale: i lupi grigi, dai quali proveniva Mehmet Alì Agca, l'uomo che sparò a Giovanni Paolo II, difendevano e difendono il primato dell'identità dell'etnia turca; gli scismatici pensano invece che sia la religione musulmana il vero cemento dell'identità del Paese.

Fanatici dell'Islam e nazionalisti, in passato, non si sono mai amati, perché questi ultimi si ritengono gli eredi più duri e puri del laicismo voluto dal padre della patria Ataturk, mentre i primi vorrebbero cancellare tutto ciò che il fondatore della repubblica aveva costruito. L'unico vero punto d'incontro era stato per anni, pur tra mille distinguo, proprio il corridoio politico tracciato dal minuscolo «partito della grande unione».

Ma ora, la visita del pontefice, preceduta dalle critiche alla lectio magistralis di Ratisbona, e la comune avversione alle aspirazioni europee della Turchia sono diventati il pretesto per un pericoloso avvicinamento. La maggioranza dei turchi sostiene che il rischio maggiore sono gli ultranazionalisti, non gli islamici, perché questi ultimi riconoscono e rispettano la leadership religiosa del Papa.

Tuttavia, a imbarazzare ancor più il governo di Recep Tayyip Erdogan è stata la decisione di un altro minuscolo partito, il Saadet, di cui è leader l'anziano ex premier islamico Necmettin Erbakan, di organizzare per domenica un raduno, in un quartiere di Istanbul, per protestare contro la visita di Benedetto XVI. Dalla scuola di Erbakan proveniva lo stesso Erdogan, prima di scoprire la via del realismo che lo ha spinto al vertice del potere. Antonio Ferrari 23 novembre 2006

   
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