Damasco, il Papa entra nella moschea e nella storia

L'importanza del dialogo

Significative note di cronaca

L'esperienza dalle parole del Papa


Per la prima volta un pontefice in un tempio musulmano "Ebrei, cristiani e arabi lavorino insieme per la pace"

Con il suo incedere stanco ma deciso il Papa ha fatto oggi un altro passo da gigante nella storia. Alle 17.20 di oggi Giovanni Paolo II è infatti entrato nella moschea degli Ommayadi di Damasco, primo pontefice cattolico a mettere piede in un luogo di culto musulmano. In quel tempio, in cui tremila anni fa gli aramei pregavano il dio Hadad, in cui 1.800 anni fa i romani veneravano Giove, in cui per un secolo i cristiani onorarono San Giovanni Battista e in cui da 1.400 anni gli arabi invocano Allah oggi Wojtyla ha vissuto il momento più toccante e significativo del suo viaggio in Medio Oriente. Un appuntamento con la storia a cui il Papa non ha voluto mancare, un gesto di dialogo religioso che cade proprio nel momento in cui la religione, in Medio Oriente, torna a dividere.

La visita è durata un'ora e mezza. Il Papa prima dell'ingresso si è tolto le scarpe per indossare fodere di cotone bianco. Nella moschea è stato accompagnato dal mufti della Siria Hamad Kiftaro, con il quale c'è stato uno scambio di doni. Poi, tornato nel cortile, ha detto: "È importante che musulmani e cristiani continuino a esplorare insieme questioni filosofiche e teologiche al fine di ottenere una conoscenza più obiettiva e completa delle credenze religiose dell'altro. Una migliore comprensione reciproca certamente porterà, a livello pratico, a un modo nuovo di presentare le nostre due religioni, non in opposizione, come è accaduto fin troppo nel passato, ma in collaborazione per il bene della famiglia umana".

La moschea, che si trova nel centro di Damasco, era blindata per la visita di Giovanni Paolo II. Oltre mille soldati cingevano l'edificio quando il pontefice è arrivato. Ad accoglierlo c'erano il ministro per gli affari islamici siriano, Mohammad Ziadi, e il mufti. Sull'ingresso del cortile della moschea erano stati appesi numerosi striscioni. Su due di essi era scritto: "Pace e giustizia sono insegnamenti divini", in inglese e, in francese "Dov'è la pace giusta sulla terra della pace".

Messaggi in linea con le parole pronunciate fuori dalla Grande moschea e ancora prima, in mattinata, durante la messa celebrata nello stadio Abbassiye di Damasco. "La pace sia con voi", aveva esordito Wojtyla, parlando in arabo. E poi aggiungendo: "Su questa terra santa, cristiani, musulmani ed ebrei sono chiamati a lavorare insieme con fiducia e audacia, e a far sì che arrivi presto il giorno in cui ogni popolo vedrà rispettati i suoi diritti legittimi e potrà vivere nella pace e nell'intesa reciproca".

Parole che da molti sono state lette come una risposta al giovane presidente siriano Bashar Assad, che ieri aveva usato espressioni forti per commentare la situazione in Medio Oriente. "I nostri fratelli in Palestina vengono torturati e assassinati", aveva detto. Scagliandosi poi contro coloro "che vogliono assoggettare tutti i popoli", coloro "per cui mano Gesù Cristo ha subito sofferenze ed agonia", coloro che hanno ucciso i principi di eguaglianza pretendendo che Dio abbia creato un popolo superiore agli altri".

Dichiarazioni che hanno scatenato nuove polemiche. Che hanno indignato i dirigenti politi israeliani e che sembra abbiano irritato le gerarchie vaticane. Parole che il Papa non ha commentato, ma alle quali ha replicato con estrema decisione: la pace è una missione a cui ebrei, cristiani e musulmani devono lavorare. Insieme.

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[Fonte. ANSA 6 maggio 2001]


L'importanza del dialogo   torna su

Giovanni Paolo II nel suo discorso, letto in gran parte da un vescovo cattolico, ha auspicato che "i responsabili religiosi e gli insegnanti musulmani e cristiani presentino le nostre due grandi comunità religiose come comunità in un dialogo rispettoso e mai più come comunità in conflitto. È importante che ai giovani vengano insegnate le vie del rispetto e della comprensione, affinché non siano portati ad abusare della religione stessa per promuovere o giustificare odio e violenza. La violenza distrugge l'immagine del Creatore nelle Sue creature e non dovrebbe mai essere considerata il frutto delle convinzioni religiose".
"Auspico vivamente – ha proseguito il Papa - che l'incontro odierno, nella Moschea degli Omayyadi, sia segno della nostra determinazione a portare avanti il dialogo interreligioso tra la Chiesa cattolica e l'Islam. Questo dialogo ha acquisito maggiore slancio negli ultimi decenni; e oggi possiamo essere grati per il cammino finora percorso".
Sia i musulmani che i cristiani, secondo Karol Wojtyla, hanno "cari" i loro luoghi di preghiera, come "oasi in cui incontrano il Dio Misericordioso lungo il cammino per la vita eterna, e i loro fratelli e le loro sorelle nel vincolo della religione. Quando, in occasione di matrimoni o funerali o di altre celebrazioni i cristiani e i musulmani portano un silenzioso rispetto alle preghiere dell'altro, recano testimonianza di ciò che li unisce senza nascondere o negare ciò che li separa. È nelle moschee e nelle chiese che le comunità musulmane e cristiane forgiano la loro identità religiosa ed è lì che i giovani ricevono una parte significativa della loro educazione religiosa".

Giovanni Paolo II ha poi chiesto la conoscenza reciproca delle due religioni perché solo una migliore comprensione "porterà, a livello pratico, a un modo nuovo di presentare le nostre due religioni non in opposizione, come è accaduto fin troppo nel passato, ma in collaborazione per il bene della famiglia umana", perché il dialogo interreligioso "è più efficace quando nasce dall’esperienza del vivere gli uni con gli altri, ogni giorno, in seno alla stessa comunità e cultura".
Un nuovo appello per il dialogo Giovanni Paolo II lo ha lanciato nella mattinata di domenica nel corso di una messa celebrata nello stadio di Damasco.
"Su questa terra santa – ha detto – cristiani, ebrei e musulmani sono chiamati a lavorare insieme, con fiducia e audacia e far si che arrivi presto il giorno in cui ogni popolo vedrà rispettati i suoi diritti legittimi e potrà vivere nella pace e nell’intesa reciproca".

Alcune significative note di cronaca     torna su

Dalla moschea dove domenica, come egli stesso ha ricordato, è stato il primo papa della storia ad entrare, Giovanni Paolo II ha rivolto un appello al mondo islamico a conoscersi meglio ed educare i giovani alla comprensione ed alla tolleranza. Nella moschea di Damasco il Papa ha anche avuto un momento di raccoglimento di fronte al memoriale di Giovanni Battista.

Una giornata ''storica'', la definisce il portavoce vaticano Joaquin Navarro e non importa se il gran mufti Ahmed Kuftoro non si è lasciato sfuggire l'occasione per lamentare che in Palestina, dove i rapporti tra musulmani e cristiani andavano bene, ''dopo l'arrivo degli ebrei sionisti e la fondazione dello stato di Israele è mancata la pace, la sicurezza e la stessa liberta' religiosa''. ''Il mondo - ha aggiunto - assiste senza reagire. Dov'è il governo degli Stati Uniti, dov'è il Consiglio di Sicurezza dell' Onu?''. 

Il Papa è arrivato alla Grande Moschea degli Omayyadi che sorge nella parte vecchia di Damasco, tra le viuzze del Suk, mentre la folla riempiva la piccola piazza e i balconcini che su essa affacciano. Un coro di fischi di benvenuto lo ha accolto. Giovanni Paolo II è entrato nella moschea e si è recato in un salone a sinistra dell' ingresso dove si è tolto le scarpe; gli hanno offerto delle babucce bianche e mentre le indossava, il gran Mufti gli si è rivolto in arabo: ''Santo Padre - ha detto - lei non può immaginare la nostra gioia. Mi ricordo bene le due volte che ho visitato lei in Vaticano, ma non avrei mai immaginato di ritrovarci qui in una moschea. Questa è una occasione che va oltre la storia e che porterà molto frutto a cominciare dalla pace nel mondo. Non parlo solo a nome mio - ha detto ancora il Mufti - ma a nome di tutti, imam e sceicchi. Questa moschea la si può dire la madre di tutte le moschee e questo incontro è significativo per tutti i musulmani del mondo. Un momento di speranza anche per tutti gli arabi che soffrono a Gerusalemme, in Palestina, nel sud del Libano''. 

È la prima volta che un Papa va in una moschea - gli ha risposto, in inglese, Giovanni Paolo II - anche per me è una giornata molto importante. Sono molto felice e anch'io ricordo le sue visite in Vaticano''. Il Papa è quindi uscito dal salone, ha attraversato l'atrio della moschea, è entrato da una porta di fronte che dà sulla parte più sacra dell' edificio. Il tutto è avvenuto in una gran confusione, tanto che sono rimasti fuori dal luogo sacro sia il cardinale Roberto Tucci, organizzatore dei viaggi papali, sia Arturo Mari, il fotografo personale del Papa. E uno degli uomini del Vaticano è anche caduto.

 All'interno della moschea Giovanni Paolo II è arrivato davanti al memoriale dedicato a Giovanni Battista, al cui interno, secondo la tradizione, ci sarebbe la testa del profeta che è venerato anche dagli islamici. Il monumento a Giovanni Battista, che ha otto colonne e un vetro opaco, è al centro della moschea sotto una cupola appositamente costruita sopra di esso. Il Papa ci si è avvicinato: ''la lasciamo sola con Dio - gli ha detto il suo accompagnatore che gli stava illustrando la storia della moschea - perché lei possa pregare". Giovanni Paolo II, che aveva il bastone in una mano, con l'altra si è poggiato ad una delle colonne, in silenzio. Non ha fatto alcun gesto. 

Dopo qualche istante, il Papa e i suoi accompagnatori sono usciti di nuovo dalla moschea e nel cortile c'è stata la lettura dei discorsi. Quello papale è stato pronunciato in parte in inglese, da Giovanni Paolo II, e in parte è stato letto in arabo da un alto prelato. Il prolungarsi della cerimonia ha fatto arrivare l'ora della preghiera e il congegno automatico che sostituisce il muezzin è scattato ed ha chiamato alla preghiera dall' altoparlante. Una quarantina di persone, nello stesso cortile, si sono inginocchiate ed hanno cominciato a pregare. 

Il clima era sicuramente festoso per tutta la durata dell'incontro. Al loro arrivo numerosi prelati del seguito papale hanno scambiato abbracci con i mullah. Tra coloro che hanno accompagnato il Papa c'era il patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah, il patriarca caldeo dell' Iraq Raffael Bidawid, il cardinale di Parigi Jean Marie Lustiger. Tra gli altri anche suor Tobiana, la religiosa polacca detta ''l'angelo custode del Papa'' perché è colei che ne governa la casa.

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[Fonte: ANSA] 

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UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 16 maggio 2001

1. Una settimana fa si è concluso il mio pellegrinaggio sulle orme di San Paolo, che mi ha condotto in Grecia, in Siria e a Malta. Sono lieto oggi di soffermarmi con voi su questo evento, che costituisce l'ultima parte dell'itinerario giubilare attraverso i principali luoghi della storia della salvezza. Sono grato a tutti coloro che mi hanno seguito con la preghiera in questo indimenticabile "ritorno alle sorgenti", ove attingere la freschezza dell'iniziale esperienza cristiana.

Rinnovo i sentimenti di cordiale riconoscenza al Presidente della Repubblica Ellenica, Signor Kostas Stephanopoulos, per avermi invitato a visitare la Grecia. Ringrazio il Presidente della Repubblica Araba Siriana, Signor Bashàr Al-Assad, e il Presidente della Repubblica di Malta, Signor Guido De Marco, che mi hanno accolto tanto cortesemente a Damasco e a Valletta.

Ovunque ho voluto testimoniare alle Chiese Ortodosse l'affetto e la stima della Chiesa Cattolica, col desiderio che la memoria delle colpe passate contro la comunione venga pienamente purificata e lasci spazio alla riconciliazione ed alla fraternità. Ho avuto, inoltre, modo di riaffermare la sincera apertura con cui la Chiesa si rivolge ai credenti dell'Islam, ai quali ci unisce l'adorazione dell'unico Dio.

Sento come una grazia particolare quella di aver potuto incontrare, soprattutto nei loro campi di missione, i Vescovi cattolici di Grecia, di Siria, di Malta, e, insieme con loro, i sacerdoti, i religiosi e le religiose e numerosi fedeli laici. Sulle orme di Paolo, il successore di Pietro ha potuto confortare e incoraggiare quelle Comunità, esortandole alla fedeltà e al tempo stesso all'apertura e alla carità fraterna.

2. Sull'Areopago di Atene sono risuonate le parole del celebre discorso di Paolo riportate negli Atti degli Apostoli. Sono state lette in greco e in inglese, e questo è stato di per sé suggestivo: la lingua greca, infatti, era la più parlata nell'area mediterranea all'inizio del primo millennio, come oggi potrebbe essere considerata quella inglese a livello globale. La "buona notizia" di Cristo, Rivelatore di Dio e Salvatore del mondo ieri, oggi e sempre, è destinata a tutti gli uomini e le donne della terra, secondo il suo esplicito mandato.

In questo inizio del terzo millennio, l'Areopago di Atene è diventato in un certo senso l'"areopago del mondo", da dove il messaggio cristiano della salvezza viene riproposto a tutti coloro che cercano Dio e sono «timorati» nell'accogliere il suo inesauribile mistero di verità e d'amore. In particolare, mediante la lettura della "Dichiarazione congiunta" che, al termine di un incontro fraterno, ho firmato insieme con Sua Beatitudine Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, è stato rivolto alle genti del continente europeo un appello a non dimenticare le radici cristiane.

Il discorso di Paolo all'Areopago costituisce un modello di inculturazione e come tale conserva intatta la sua attualità. Per questo l'ho riproposto nella Celebrazione eucaristica con la Comunità cattolica in Grecia, richiamando il mirabile esempio dei santi Fratelli Cirillo e Metodio, originari di Salonicco. Essi, ispirandosi con fedeltà e creatività a quel modello, non esitarono a diffondere il Vangelo tra i popoli slavi.

3. Dopo la Grecia, mi sono recato in Siria, là dove, sulla via di Damasco, Cristo risorto apparve a Saulo di Tarso, trasformandolo da feroce persecutore in apostolo instancabile del Vangelo. È stato un andare alle origini - come per Abramo -, un risalire alla chiamata, alla vocazione. Questo pensavo visitando il Memoriale di San Paolo. La storia di Dio con gli uomini parte sempre da una chiamata, che invita a lasciare se stessi e le proprie sicurezze per incamminarsi verso una nuova terra, fidandosi di Colui che chiama. È stato così per Abramo, Mosè, Maria, Pietro e gli altri Apostoli. Così anche per Paolo.

La Siria è oggi un Paese abitato prevalentemente da musulmani, che credono in un unico Dio e cercano di sottomettersi a Lui sull'esempio di Abramo a cui essi volentieri si riferiscono (cfr Nostra aetate, 3). Il dialogo interreligioso con l'Islam diventa sempre più importante e necessario, all'inizio del terzo millennio. In tal senso è stata davvero incoraggiante la calorosa accoglienza riservatami dalle autorità civili e dal Gran Mufti, il quale mi ha accompagnato nella storica visita alla Grande Moschea degli Omayyadi, dove si trova il Memoriale di san Giovanni Battista, assai venerato anche dai musulmani.

A Damasco il mio pellegrinaggio ha assunto soprattutto un forte carattere ecumenico, grazie particolarmente alla visita che ho avuto la gioia di compiere nelle rispettive Cattedrali a Sua Beatitudine Ignace IV, Patriarca greco-ortodosso, e a Sua Santità Mor Ignatius Zakka I, Patriarca siro-ortodosso. Nella storica Cattedrale greco-ortodossa della Dormizione della Vergine Maria, poi, abbiamo celebrato un solenne Incontro di preghiera. Con intima commozione ho visto così realizzarsi uno degli scopi principali del pellegrinaggio giubilare, quello cioè di "radunarci nei luoghi della nostra origine comune, per testimoniare Cristo nostra unità (cfr Ut unum sint, 23) e confermare il reciproco impegno verso il ristabilimento della piena comunione" (Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza, 11).

4. In Siria non potevo non rivolgere a Dio una speciale supplica per la pace in Medio Oriente, spinto anche, purtroppo, dalla drammatica situazione attuale, che diventa sempre più preoccupante. Mi sono recato, sulle Alture del Golan, nella chiesa di Quneitra semidistrutta dalla guerra, e là ho elevato la mia supplica. In un certo senso, il mio spirito è rimasto là, e la mia preghiera continua e non cesserà fino a quando la vendetta cederà il posto alla riconciliazione e al riconoscimento dei reciproci diritti.

Questa speranza si fonda sulla fede. È la speranza che ho affidato ai giovani della Siria, che ho avuto la gioia di incontrare proprio la sera prima di lasciare Damasco. Porto nel cuore il calore del loro saluto, e prego il Dio della pace, perché i giovani cristiani, musulmani ed ebrei possano crescere insieme come figli dell'unico Dio.

5. L'ultima tappa del mio pellegrinare sulle orme di Paolo è stata l'Isola di Malta, dove l'Apostolo trascorse tre mesi, dopo il naufragio della nave che lo conduceva prigioniero a Roma (cfr At 27,39-28,10). Per la seconda volta, anch'io ho sperimentato la calorosa accoglienza dei Maltesi, e ho avuto la gioia di proclamare Beati due figli del loro popolo - Don Giorgio Preca, Fondatore della Società della Dottrina Cristiana, e Ignazio Falzon, laico catechista - insieme con Suor Maria Adeodata Pisani, religiosa benedettina.

Ancora una volta ho voluto indicare la via della santità quale via maestra per i credenti del terzo millennio. Nel vasto oceano della storia, la Chiesa non teme le sfide e le insidie che incontra nella sua navigazione, se tiene fermo il timone sulla rotta della santità, verso la quale l'ha indirizzata il Grande Giubileo del Duemila (cfr Novo millennio ineunte, 30).

Che così sia per tutti, grazie anche all'intercessione di Maria, a cui facciamo costante ricorso durante questo mese di maggio, a Lei consacrato. La Vergine aiuti ogni cristiano, ogni famiglia ed ogni comunità a proseguire con rinnovato slancio nel suo impegno di quotidiana fedeltà al Vangelo.

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