Wojtyla da Atene sulla via di Damasco
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Grecia, così vicina, così lontana
   - Il nodo teologico del papato

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L'incontro con l'islam

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  SCHEDA:
  Grecia, rapporti Chiesa Ortodossa-Stato, la posizione del Cattolici

  Consuntivo essenziale dell'evento


Sul versante ecumenico, gli ortodossi in Grecia e Siria accolgono per la prima volta un papa, ma respingono il potere che il vescovo di Roma rivendica. Il dialogo con l'islam, l'altra faccia del pellegrinaggio di Giovanni Paolo II, che avviene mentre in Medio Oriente il contrasto arabo-israeliano prosegue inarrestabile.

"Raghizei o pagos 12 aionon", si incrina il ghiaccio di dodici secoli, titolava il quotidiano I Kathimerini, il 5 maggio, commentando l'incontro del giorno precedente tra il papa e Christòdoulos, arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia.

Tali parole potrebbero anche riassumere - in senso lato - l'intero viaggio che Giovanni Paolo II ha compiuto, dal 4 al 9 maggio, in Grecia, Siria e Malta. Ma le tre mete, unite idealmente per il fatto che 1950 anni fa san Paolo nei tre paesi predicò l'evangelo, e che il pontefice voleva appunto ripercorrere le "orme" dell'apostolo, hanno anche caratteristiche ben diverse. E sono state "raggiunte", tali mete, dal pontefice?

Grecia, così vicina, così lontana      torna su

Non è stata la Chiesa ortodossa greca (largamente maggioritaria nel paese), ma il presidente della repubblica, Constantinos Stephanopoulos, a invitare il papa ad Atene. Dopo essersi opposto per un paio d'anni a questa eventualità, il Santo Sinodo ellenico in dicembre 2000, e poi Christòdoulos nel febbraio scorso, facevano cadere il loro "veto", rimanendo però chiaro che Giovanni Paolo II veniva nel paese invitato, appunto, dal governo e non dalla Chiesa ortodossa; perciò all'aeroporto nessun prelato ortodosso avrebbe dato il benvenuto all'ospite.

Ad Atene, dopo un incontro con il presidente, il papa si è recato per una "visita di cortesia" da Christòdoulos. Wojtyla è stato introdotto nello studio dell'arcivescovo, che lo ha salutato con cortesia, e quindi è iniziato un incontro privato, durato circa mezz'ora. In anticamera, intanto aspettavano quattro o cinque metropoliti greci, e la delegazione vaticana. Questa era composta da quattro cardinali: Angelo Sodano, segretario di Stato; Walter Kasper e Francis Arinze, presidenti rispettivamente di due Pontifici Consigli: per la promozione dell'unità dei cristiani, il primo, per il dialogo interreligioso, il secondo; Roberto Tucci, organizzatore dei viaggi papali. Doveva esserci anche il card. Ignace Moussa I Daoud, già patriarca di Antiochia dei siri; ma questi ha dovuto da Roma raggiungere direttamente Damasco, perché una parte della Chiesa greca aveva giudicato intollerabile che nel seguito papale ad Atene ci fosse un cardinale "uniate" [gli ortodossi chiamano polemicamente "unìa", unione con Roma, quella compiuta da parti di chiese ortodosse che, staccandosi dalla Chiesa-madre ortodossa, dal XVI al secolo XIX, in Europa orientale e in Medio Oriente, hanno accettato la giurisdizione e l'autorità papale, pur conservando il rito orientale].

Terminato l'incontro privato, il primate greco ha pronunciato un discorso molto franco: "Un papa di Roma visita Atene per la prima volta nella storia. Quest'evento ci dà gioia. Ma la nostra gioia è oscurata dal fatto della nostra divisione. Ragioni ecclesiologiche e dogmatiche, esistenti da un millennio, avvelenano l'atmosfera… Gli anatemi sono stati rimossi, per grazia di Dio. Ma non le cause che li hanno provocati". Il riferimento è al fatto che Paolo VI e il patriarca ecumenico Athenagoras I nel 1965 "cancellarono" dalla memoria delle rispettive chiese le scomuniche che Roma e Costantinopoli si erano scambiate nel 1054, l'anno della irreparabile divisione tra la Chiesa latina e quella bizantina che, invano, i concili di Lione II (1274) e di Firenze (1439) tentarono di superare.

"Più di altri popoli ortodossi - ha proseguito Christòdoulos - il popolo greco sente intensamente nella sua coscienza religiosa e nella memoria nazionale le traumatiche esperienze, che rimangono come ferite aperte inflitte nel suo vigoroso corpo, come è noto a tutti, dalla manìa distruttiva dei Crociati e dal periodo del dominio latino, come pure dall'illegale proselitismo della "unìa" latina". Infine, l'arcivescovo ha ricordato che "l'isola apostolica di Cipro", pur "gemendo da un quarto di secolo per una spartizione barbarica, ed essendo vittima di una brutale pulizia etnica, non ha udito neppure una parola di simpatia da parte di Vostra Santità, che pure frequentemente e giustamente è intervenuto in nome di vari popoli" [la Turchia, sostenendo di volerne impedire l'unione con la Grecia, nel 1974 ha invaso Cipro che, da allora, è divisa in due parti incomunicanti. Nella parte Nord dell'isola è stata proclamata una Repubblica, riconosciuta solo da Ankara].

Il pontefice ha ascoltato questo discorso senza lasciar trasparire nessuna reazione. E quindi, dopo aver espresso la sua gioia per l'incontro, così ha proseguito: "Di certo, siamo gravati da controversie passate e presenti e da persistenti incomprensioni. Chiaramente è necessario un processo liberatorio di purificazione della memoria. Per le occasioni passate e presenti, nelle quali figli e figlie della Chiesa cattolica hanno peccato con azioni o omissioni contro i loro fratelli e le loro sorelle ortodosse, che il Signore ci conceda il perdono che imploriamo da Lui!... Alcuni ricordi sono particolarmente dolorosi e alcuni eventi del lontano passato hanno lasciato ferite profonde nella mente e nel cuore delle persone di oggi. Penso al saccheggio disastroso della città imperiale di Costantinopoli che è stata per tanto tempo bastione del cristianesimo in Oriente. È tragico che i saccheggiatori che avevano stabilito di garantire ai cristiani libero accesso alla Terra Santa, si siano poi rivoltati contro i propri fratelli nella fede. Il fatto che fossero cristiani latini riempie i cattolici di profondo rincrescimento. Come possiamo non vedervi il mysterium iniquitatis all'opera nel cuore umano? Solo a Dio spetta il giudizio e quindi affidiamo il pesante fardello del passato alla sua misericordia infinita, implorandolo di guarire le ferite che ancora causano sofferenza allo spirito del popolo greco".

E, infine, Wojtyla ha detto che "alcuni modelli di riunificazione non corrispondono più all'impulso verso l'unità che lo Spirito Santo ha risvegliato nei cristiani in tempi recenti".

Christòdoulos, al termine del discorso papale, ha applaudito e, salutandolo, ha abbracciato il papa. Nel pomeriggio, i due si sono di nuovo incontrati presso l'Aeropago, là dove Paolo aveva annunciato ai greci il "Dio ignoto" (cioè il Dio incarnato in Cristo), e qui hanno firmato una Dichiarazione comune in cui si legge: "Noi condanniamo ogni ricorso alla violenza, al proselitismo, al fanatismo in nome della religione". E, ancora:

"Ci rallegriamo del successo e del progresso dell'Unione Europea… La tendenza emergente a trasformare alcuni Paesi europei in Stati secolarizzati senza alcun riferimento alla religione costituisce un regresso e una negazione della loro eredità spirituale... Sarà nostro compito fare il possibile, perché siano conservate inviolate le radici e l'anima cristiana dell'Europa".

Prima di concludere la cerimonia il papa - cosa assolutamente esclusa dal programma - ha invitato l'arcivescovo, che ha accettato, a dire insieme un "Padre nostro".

L'indomani tutta la stampa greca esaltava le "storiche scuse" del papa per il saccheggio latino di Costantinopoli, avvenuto nel 1204, quando la quarta Crociata fu "deviata" verso Bisanzio (in un contesto, a dire il vero, in cui l'ingordigia degli occidentali fu aiutata da mene politiche degli imperatori d'Oriente). A leggere la stampa sembravano svanite le rumorose proteste dei giorni precedenti, che però non sono sembrate rappresentare la maggioranza della popolazione - divisa tra l'indifferenza e una certa simpatica curiosità verso l'ospite. Le proteste erano guidate da gruppi di monaci e da "vecchi-calendaristi" (dagli anni Trenta separatisi dalla Chiesa ortodossa greca perché questa adottò, in parte, il calendario "gregoriano"). Gli avversari della visita papale hanno diffuso manifestini con su scritto: "Il papa è l'Anticristo"; oppure: "Non abbiamo bisogno di pellegrini infallibili".

Per una singolare coincidenza (anche questo viaggio era programmato da tempo) mentre il papa lasciava Atene per la Siria Christòdoulos partiva per la Russia, per una visita ufficiale alla Chiesa ortodossa del paese, guidata dal patriarca Aleksij II. Tra i temi affrontati, probabilmente, una comune valutazione del "pellegrinaggio" papale in Grecia e di quello che Giovanni Paolo II intende compiere tra pochi giorni (23-27 giugno) a Kiev e a Leopoli. Un viaggio, quest'ultimo, al quale fino ad adesso si sono formalmente opposte la Chiesa russa e la Chiesa ortodossa ucraina ad essa collegata. Mosca è contrarissima all'eventualità che il pontefice incontri due comunità che essa considera "scismatiche" (i capi della Chiesa autocefala ucraina e quelli del patriarcato di Kiev); e teme che il papa voglia incoraggiare gli "uniati" (vedi Confronti, 3/2001). Ma Wojtyla, con una lettera del 26 marzo al metropolita Volodymyr (Vladimir) di Kiev, ha confermato che a fine-giugno egli si recherà in Ucraina. Nel frattempo si apprende che, come gesto distensivo, il Vaticano favorirebbe che le reliquie di san Nicola siano portate, per un certo tempo, da Bari in Russia, ove il taumaturgo è veneratissimo dagli ortodossi. E se il papa accompagnasse le reliquie? O incontrasse Aleksij II che le viene a prendere?

Il nodo teologico del papato     torna su

Del tutto diversa da quella in Grecia la situazione delle chiese ortodosse e orientali (armene e sire) a Damasco. Queste, infatti, da trent'anni sono in buoni rapporti con Roma. In loco, poi, sono particolarmente vicini il patriarcato ortodosso di Antiochia e quello greco-cattolico melkita. Nata 250 anni fa come "uniate", la melkita è quella, tra le chiese cattoliche orientali, che più è riuscita a mantenere una sua identità mai "latinizzata". Al Vaticano II il loro patriarca, Maximos IV, disse di voler essere "la voce dell'Ortodossia assente", e non ebbe timore di denunciare la "papolatrìa". Negli ultimi cinque anni i due patriarcati ortodossi di Antiochia si sono ulteriormente avvicinati, tanto da prefigurare quasi una riconciliazione che prevedeva la comunione con Roma, ma secondo il modello esistente nel primo millennio, e dunque con effettivo potere papale fortemente ridimensionato. Una prospettiva ritenuta troppo ardita dalla Curia romana, che ha invitato i melkiti a soprassedere.

Pur accogliendo cordialmente il pontefice, il patriarca greco-ortodosso Ignazio IV Hazim non ha nascosto il dissenso teologico contro la pretesa di Roma di essere "la" Chiesa di Cristo (come, sul suo versante, ha ribadito la dichiarazione Dominus Iesus, firmata dal card. Joseph Ratzinger: vedi Confronti, 12/2000). Ha detto il patriarca: "Nessuna sede apostolica può considerarsi l'unico garante dell'ortodossia… Malgrado l'indegnità dei loro membri, le chiese ortodosse sanno che il loro insegnamento è conforme alla tradizione dei padri e alla fede dei Concili ecumenici [gli ortodossi ritengono tali solo i primi sette, dal Niceno I del 325, al Niceno II, del 787]. Crediamo dunque in tutta umiltà che la Chiesa fondata da Cristo continui a sussistere pienamente nella Chiesa ortodossa".

E ancora: "I rappresentanti della Sua Chiesa, Santità, l'hanno detto insieme a noi nella dichiarazione di Balamand, del 1993 (vedi p. 17). Lì abbiamo affermato insieme che "l'uniatismo non poteva essere un modello dell'unità". Da allora il consenso è sembrato venir meno e le posizioni irrigidirsi. Occorre vigilare affinché non si riaprano ferite non ancora ben cicatrizzate. Diverse chiese ortodosse si lamentano della ripresa di un proselitismo che esse definiscono aggressivo". E infine Ignazio IV ha invocato un dialogo anche su un punto che a noi appare cruciale, quello degli anatemi lanciati dal Concilio Vaticano I [nel 1870] contro coloro che non riconoscono l'infallibilità del papa. Siamo noi forse l'oggetto di questi anatemi che sottendono un'ecclesiologia diversa dalla nostra? Sarebbe importante esplicitarne la portata reale nella comprensione teologica attuale della Chiesa cattolica".

Nella sua risposta il papa non ha toccato direttamente i temi elencati dal patriarca, ma ha notato: "Tra il patriarcato greco-ortodosso e il patriarcato greco-cattolico di Antiochia è stato avviato un processo di riavvicinamento ecumenico per il quale rendo grazie al Signore di tutto cuore… Esorto tutte le persone coinvolte a continuare questa ricerca dell'unità, con coraggio e prudenza, con rispetto ma senza confusione". Wojtyla ha anche auspicato che, magari attraverso "tappe intermedie", le chiese d'Oriente e d'Occidente arrivino a stabilire, insieme, una data comune per la Pasqua. Proposito che il patriarca greco-cattolico Gregorio III Laham si è detto deciso ad attuare con Ignazio IV.

Pur in due diversi contesti, dunque, sia ad Atene che a Damasco con il viaggio papale sono caduti, o si sono almeno indeboliti, i "fattori non teologici" - psicologici, anche - che tanto hanno pesato sulla reciproca divisione tra Oriente ed Occidente. Ma, diradati questi fattori - fatto senz'altro positivo - emergono nitidamente i reali problemi che ostacolano il cammino. E il primo di questi è, appunto, il ruolo del vescovo di Roma in una Chiesa riconciliata. Non è ovviamente una questione di persone (Wojtyla, a tratti quasi sfinito per la fatica, ha commosso molti ortodossi), ma di strutture. L'autorità papale, così come si è ingigantita nel secondo millennio, e come ha trovato una formulazione teologica nel Vaticano I - formulazione che il Vaticano II ha addolcito, ma senza intaccarla - rimane inaccettabile per l'intera Ortodossia. Dalla Grecia e dalla Siria rimbalza dunque a Roma, pesa sull'ultimo scorcio del pontificato in atto, e si riflette sul prossimo conclave, una domanda ineludibile.

L'incontro con l'islam       torna su

A ricevere il pontefice, all'aeroporto di Damasco, vi era il presidente Bashar Al-Assad che, oltre ad esaltare la Siria come "un'oasi di tolleranza e di carità, un rifugio degli oppressi e un luogo di incontro delle religioni", in particolare islam e cristianesimo, ha posto immediatamente il viaggio papale nel teso contesto politico del Medio Oriente: "Vediamo i nostri fratelli in Palestina farsi uccidere e morire. Constatiamo che la giustizia è schernita: i territori sono occupati in Libano, nel Golan e in Palestina… Vediamo aggredire i Luoghi Santi dell'Islam e della Cristianità in Palestina… Diciamo che noi teniamo ad una pace giusta e globale, quella che restituisce i territori ai loro proprietari in virtù delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu, con il ritorno dei rifugiati nel loro Paese e l'instaurazione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale".

Fin qui, l'analisi della responsabilità della tensione in Medio Oriente - addossata allo stato d'Israele - ribadiva il noto punto di vista di Damasco. Ma, a questi dati, il presidente siriano ha aggiunto un attacco agli ebrei come i "torturatori di Cristo". Accusa agghiacciante che, come tale, sorprendentemente non ha trovato una risposta, in Siria o a Malta, nei discorsi del papa (che si è limitato ad esprimere il suo dolore sia per la bambina palestinese di quattro mesi uccisa dai raid israeliani il 7 maggio, che per i due ragazzi israeliani lapidati il giorno dopo da integralisti palestinesi). Ma, per quest'aspetto del discorso di Assad, rinviamo ad un commento ad hoc (p. 20).

Rispondendo al presidente, il papa ha detto che, per risolvere i problemi del Medio Oriente, "è ora di ritornare ai princìpi della legalità internazionale: interdizione dell'acquisizione dei territori mediante la forza, diritto dei popoli a disporre di se stessi, rispetto delle risoluzioni dell'Onu e delle Convenzioni di Ginevra".

Il pontefice - primo papa nella storia a farlo - ha quindi visitato, naturalmente togliendosi anche lui le scarpe, una moschea. Non una qualsiasi, ma quella, bellissima, degli Omayyadi, al cui interno si trova il memoriale che, secondo la tradizione, custodirebbe la testa di Giovanni il Battista, considerato un "profeta" anche dal Corano. Il gran mufti Ahmad Kuftaro, 86enne, ha dato il benvenuto al papa, con un discorso dai toni irenici, fortemente invitando al dialogo tra cristiani e musulmani. Nella sua risposta il pontefice ha detto: "Auspico vivamente che i responsabili religiosi e gli insegnanti musulmani e cristiani presentino le nostre due comunità come comunità in un dialogo rispettoso e mai più come comunità in conflitto. È essenziale che ai giovani vengano insegnate le vie del rispetto e della comprensione, affinché non siano portati ad abusare della religione stessa per promuovere o giustificare odio e violenza".

Wojtyla si è recato quindi a Quneitra, città del Golan conquistata dagli israeliani nel 1967, nella guerra dei "sei giorni" e, dopo un parziale accordo con la Siria, abbandonata nel '74, rimanendo in mano ad Israele la maggior parte del Golan stesso. Prima di lasciare la città, gli israeliani l'hanno ridotta in rovine. E tra le rovine della chiesa greco-ortodossa il papa, ribadendo quanto detto all'arrivo a Damasco, ha elevato una preghiera a Dio per la pace in Medio Oriente. Una pace che, però, anche nei giorni del viaggio papale è apparsa più lontana che mai, essendo inarrestabile la spirale degli scontri tra l'esercito israeliano e i palestinesi, con il loro corollario tragico di vittime innocenti.

David Gabrielli


SCHEDA
GRECIA, RAPPORTI CHIESA ORTODOSSA-STATO, LA POSIZIONE DEI CATTOLICI
  
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"Nel nome della santa, consostanziale e indivisibile Trinità": queste le parole che aprono la Costituzione oggi vigente in Grecia. Al suo articolo 3, il testo afferma: "La religione prevalente in Grecia è quella della Chiesa di Cristo orientale ortodossa. La Chiesa ortodossa di Grecia, riconoscendo nostro Signore Gesù Cristo come suo capo, è inseparabilmente unita nella dottrina con la Grande Chiesa di Cristo di Costantinopoli e con ogni altra Chiesa di Cristo della stessa dottrina, osservando incrollabilmente i santi, apostolici, sinodali canoni e le sacre tradizioni. Essa è autocefala ed è amministrata dal Santo Sinodo dei vescovi…". E l'articolo 13 dice: "La libertà di coscienza religiosa è inviolabile. Il godimento dei diritti civili e delle libertà non dipende dalle convinzioni religiose dell'individuo… Il proselitismo è proibito".

La salvaguardia di questi due princìpi - l'Ortodossia come religione "prevalente", e la libertà di religione - non è sempre facile. Così, quando, per adeguare la legislazione all'Unione Europea di cui la Grecia fa parte, il governo propose che la menzione dell'appartenenza religiosa fosse cancellata dalla carta di identità, un anno fa la gerarchia ortodossa, con l'arcivescovo Christòdoulos in testa, guidò clamorose e affollatissime proteste di piazza. Ma, infine, la riforma voluta dal governo è passata.

La gerarchia cattolica (che guida una piccola minoranza di 50mila fedeli greci, per lo più latini, ma con duemila "uniati") aveva cercato di contrastare la posizione della Chiesa ortodossa, sostenendo che la menzione della religione sulla carta di identità era un altro modo per discriminare (sul lavoro, o anche nella carriera) chi ortodosso non era.

"Menzione" a parte, la gerarchia cattolica - anche con alcuni ricorsi, vinti, alla Corte europea dei diritti umani - ritiene che di fatto la Chiesa cattolica (come altre minoranze) è "discriminata" in Grecia. In particolare, mons. Nikòlaos Foskolos, arcivescovo di Atene e presidente della Conferenza episcopale greca (Ceg), in una conferenza-stampa a conclusione della visita papale, dopo aver espresso grande gioia per lo "storico evento", ha lamentato la permanente anomalìa che fin qui impedisce alla Chiesa cattolica in Grecia di godere della piena personalità giuridica. Dopo aver lasciato capire che, finora, proprio Christòdoulos ha fatto pressioni sul governo ellenico perché non concedesse questa "personalità", il prelato ha auspicato che, con il nuovo clima creato dalla visita papale, le richieste dei cattolici siano accolte. La cosa, comunque, non si presenta facile: molti ortodossi, infatti, ritengono che se, per certi aspetti, la situazione attuale penalizza la Chiesa cattolica, per altri però la favorisce, in quanto questa, secondo molti ortodossi, non avrebbe quegli "obblighi" (anche in materia fiscale) che la Chiesa ortodossa invece ha.

A parte i cattolici greci, nel Paese - secondo fonti della Ceg - ci sono altri 250mila cattolici, tra cui 60mila dalla Polonia, 45mila dalle Filippine. Si tratta, soprattutto, di donne cattoliche, sposate con ortodossi.

In Grecia (10,5 milioni di abitanti) vi sono anche 200mila musulmani, cinquemila ebrei, e piccole comunità protestanti. Staccatisi dalla Chiesa ortodossa negli anni Trenta, vi sono inoltre gruppi di "vecchio-calendaristi", suddivisi in vari rami. Secondo la Chiesa ufficiale i dissenzienti sono oggi pochi, ma essi dicono di arrivare a mezzo milione.

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[Fonte: David Gabrielli su Confronti.net]

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Interessante ed emblematico l'excursus delle varie tappe del viaggio: una settimana intensa, a partire da Atene dove il Pontefice incontra il presidente della Repubblica, l'arcivescovo e Primate e i vescovi della Grecia, e dove, nell'Aeropago che evoca la presenza dell'Apostolo Paolo, viene letta una dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e di Sua Beatitudine Christodoulos che condanna ogni ricorso alla violenza e al proselitismo e al fanatismo in nome della religione, toccando inoltre alcuni dei temi più rimarchevoli del nostro tempo, dall' evoluzione sociale e scientifica, alla globalizzazione ed all'Unione Europea. 

Poi la Siria: l'incontro con i Patriarchi e i vescovi cattolici, il Patriarca Greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente e Capo supremo della Chiesa Siro-Ortodossa universale, ed il clero: i religiosi, le religiose ma anche i laici impegnati nelle chiese ortodosse e cattoliche, che "amano chiamarsi sorelle". Proprio a Damasco Giovanni Paolo II compie un gesto mai compiuto da nessun Papa: si toglie le scarpe, ed entra in una Moschea; visita il Memoriale di san Giovanni Battista, luogo in cui alcune fonti tramandano che l'imperatore Teodosio avrebbe fatto seppellire il teschio del santo; incontra la Comunità Musulmana e con disarmante solennità, con a fianco il Gran Mufti, chiede "il perdono dell'Onnipotente per tutte le volte che i musulmani e i cristiani si sono offesi reciprocamente", invitando caldamente ad offrire il perdono gli uni agli altri.

Ed ancora: nella diroccata chiesa greco-ortodossa di Quneitra, cittadina sulle Alture del Golan, il Papa pronuncia una preghiera da lui scritta per la pace e, dimostrando ancora una volta la sua attenzione e partecipazione a quanto avviene su scala globale, esprime tutto il suo dolore per la bambina di 4 mesi appena uccisa a Gaza; inoltre, con l'entusiasmo e la premura di sempre incontra i giovani, chiedendo loro di "ricercare costantemente l'intimità con il Signore della vita". 

E infine Malta. Qui si compie la beatificazione di don Giorgio Preca, Fondatore della Società della Dottrina Cristiana, di Ignazio Falzon, religioso che mise la sua vita al servizio dell'opera catechetica, e di suor Maria Adeodata Pisani, di padre maltese, che attraverso la preghiera, il lavoro e l'amore profuso quotidianamente, promosse il rinnovamento spirituale nel monastero benedettino di Malta in cui visse. Il Papa affida loro gli abitanti di quest'isola ai quali riconosce "la vocazione di edificare ponti fra i popoli del bacino del Mediterraneo, fra l'Africa e l'Europa". 

Termina così il viaggio profetico di Giovanni Paolo II, con un saluto e un ringraziamento a tutte le terre visitate e con un instancabile appello al rispetto, al confronto ed al dialogo fra le culture e le religioni.

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