Ratzinger. In un’intervista
          del 2001 il futuro Papa lanciava una sfida ai pensatori di oggi: non
          censurate la questione. «Oggi si sostituisce al vero il consenso. Si
          valuta il bene e male in base al principio della maggioranza»
        
        Dopo il declino della critica,
        lungamente sollevata, secondo cui la religione varrebbe come oppio dei
        popoli, quali interrogativi e problemi verosimilmente interpellano con
        maggior vigore la coscienza umana e religiosa del XXI secolo? «È
        difficile fare previsioni, perché potrebbero sempre entrare in scena
        improvvisi cambiamenti della coscienza storica. All'inizio del XX secolo
        chi avrebbe potuto prevedere che negli anni Venti il liberalismo sarebbe
        stato improvvisamente considerato una ideologia borghese ormai superata,
        al cui posto erano subentrati l'esistenzialismo, la filosofia dei valori
        e nuovi abbozzi della metafisica? All'inizio degli anni Sessanta chi
        avrebbe potuto prevedere che nel 1968 sarebbe sopraggiunta una svolta
        che a sua volta rigettava l'esistenzialismo come filosofia borghese e
        invece implicava di rivolgersi con passione al marxismo? Allo stesso
        modo anche noi oggi non possiamo prevedere i possibili cambiamenti della
        coscienza collettiva. Come appare dalla situazione attuale, ci saranno
        da un lato una riabilitazione del mito e delle forme di religiosità di
        impronta mitica, in cui l'essere umano cerca l'esperienza della comunità,
        dell'unità di anima e corpo, dell'unitotalità e la fuoriuscita dai
        vincoli del mondo della tecnica come momenti di libertà, di oblio, in
        sintesi di felicità. A tale riguardo potrebbe ulteriormente aumentare
        la frattura fra il mondo del razionale e i mondi dell'esperienza
        irrazionale. Ciò significherebbe poi in ambito filosofico un ulteriore
        allontanamento dalla metafisica e un consolidamento del dominio del
        positivismo come unica forma della razionalità, per cui la capacità di
        comprendere che cosa sia la ragione e che cosa sia razionale si riduce
        sempre più. Ma vedo anche possibili nuovi risvegli della fede
        cristiana, di una cattolicità viva, e da ciò giungeranno anche nuovi
        impulsi per la filosofia. Come negli anni Venti del secolo scorso la
        fenomenologia husserliana all'improvviso aveva aperto le porte per un
        rinnovamento della metafisica e il personalismo aveva mutato il quadro
        della filosofia, così una fede rinnovata aprirà di nuovo alla
        filosofia le porte delle domande primigenie dell'essere umano - domande
        fondamentali e mai risolte - sulla sua origine e il suo futuro, sulla
        vita e la morte, su Dio e l'eternità». 
         Il liberalismo filosofico,
        di cui è nota la considerevole diffusione ai vari livelli della cultura
        occidentale, continua a sostenere che il primo e fondamentale
        "bisogno umano" debba ravvisarsi nella libertà. Considerando
        questo assunto, si fa strada la riflessione se non siano presenti
        nell'uomo bisogni, domande, esigenze almeno (e forse più) fondamentali
        di quello vertente sulla libertà, la quale dal liberalismo filosofico
        è intesa solo come libertà di scelta. Non sembra questa una seria
        restrizione del problema?  
        «In effetti ci troviamo di fronte a una
        pericolosa unilateralizzazione delle domande fondamentali sull'esistenza
        umana. Il concetto stesso di libertà viene ridotto indebitamente. In
        generale il concetto di libertà non solo è ridotto a quello di libertà
        di scelta, ma è anche concepito da un punto di vista esclusivamente
        individualistico; per fare un esempio, nel senso in cui una volta era
        stato formulato dal giovane Marx: La libertà consiste "nel fare
        oggi questo, domani quello... proprio a seconda di come ne ho
        voglia". Ma in tal modo si dimentica che l'umanità ci è data solo
        nel nostro essere l'uno con l'altro e che la mia libertà può
        funzionare solo in unione con la libertà degli altri. Siamo collegati
        l'un l'altro in un sistema di prestazioni reciproche: solo così
        nutrimento, salute, lavoro e tempo libero possono essere assicurati. La
        mia libertà è sempre una libertà dipendente, una libertà con gli
        altri e attraverso gli altri. Senza la sinergia con le altre libertà,
        la mia libertà annienta se stessa. Dunque, la libertà in primo luogo
        deve tener conto del reciproco essere l'uno con l'altro. Non può essere
        arbitrarietà, ma ha bisogno dell'ordinamento delle libertà e
        dell'osservanza delle sue regole. Se così è, segue subito la duplice
        domanda: chi stabilisce queste regole? E qual è il criterio secondo cui
        vengono istituite? Alla prima domanda oggi rispondiamo rinviando alla
        democrazia come forma regolatrice delle libertà, e ciò è giusto.
        Tuttavia rimane la seconda domanda, perché devono pur esserci dei
        criteri per il giusto ordinamento delle libertà. Ora, noi diciamo: è
        la maggioranza che decide. Ma ci possono anche essere maggioranze
        malate, e il secolo scorso lo ha dimostrato. Ci può essere una
        maggioranza che decide che una parte della popolazione deve essere
        sterminata perché ostacola il godimento della propria libertà. Oppure
        che un popolo confinante deve essere combattuto perché restringe il
        proprio spazio vitale. Ci sono norme che nessuna maggioranza può
        abrogare. Così è davvero necessario porre la domanda: quali sono i
        beni che nessuno può distruggere senza distruggere l'essere umano e in
        tal modo anche la libertà? La domanda sull'incondizionatamente buono e
        sull'incondizionatamente malvagio non può essere elusa, se ci deve
        essere un ordinamento della libertà che sia degno dell'uomo». 
         Nonostante
        la fine catastrofica dell'"ateismo scientifico-dialettico" di
        origine marxista, permane nella cultura occidentale postmoderna una
        forte obiezione nei confronti del cristianesimo. Come valutare
        l'atteggiamento che intende prescindere sistematicamente da Dio nel
        campo civile, procedendo «etsi Deus non daretur»? Sarebbe questo il
        canone centrale di ogni autentica morale laicista?  
        «In effetti
        sembra che attualmente il pensiero continui a svilupparsi in questa
        direzione. Dopo che il marxismo, di fronte alla svolta del 1989,
        continua ancora oggi a trovarsi in una pausa di riflessione, le
        filosofie simili a quella del razionalismo critico di Popper
        corrispondono maggiormente al senso contemporaneo di ciò che si può
        considerare razionale. La verità in quanto tale - così si pensa - non
        può essere conosciuta, ma si può avanzare a poco a poco solo con i
        piccoli passi della verificazione e della falsificazione. Si rafforza la
        tendenza a sostituire il concetto di verità con quello di consenso. Ma
        ciò significa che l'uomo si separa dalla verità e così anche dalla
        distinzione tra il bene e il male, sottomettendosi completamente al
        principio della maggioranza. Il cammino in questa direzione comincia già,
        naturalmente, nell'idealismo tedesco, quando si parte dal presupposto
        che l'uomo possa conoscere non la realtà in quanto tale ma solo la
        struttura della sua coscienza. Nel frattempo filosofie come quelle di
        Singer, Rorty, Sloterdijk indicano ulteriori radicalizzazioni nella
        stessa direzione: l'uomo progetta e "monta" il mondo senza
        criteri prestabiliti e così supera necessariamente anche il concetto di
        dignità umana, sicché anche i diritti umani diventano problematici. In
        una siffatta concezione della ragione e della razionalità non rimane
        spazio alcuno per il concetto di Dio. E tuttavia la dignità umana alla
        lunga non può essere difesa senza il concetto di Dio creatore. Essa
        perde così la sua logica. Naturalmente noi non possiamo e non ci è
        consentito di costringere alcuno a credere in Dio. Tanto più urgente è
        allora il compito di far di nuovo valere il concetto di Dio creatore
        nella sua razionalità e di tenerlo presente nel conflitto della ragione». 
        
        Osservatori di varia estrazione sostengono che è in atto un
        abbandono interno alla Chiesa delle "prove" della verità del
        cristianesimo, della sua pretesa alla verità. A suo parere, si può
        assegnare validità a tale diagnosi, secondo la quale la prassi attuale
        del cattolicesimo riterrebbe secondaria la verità dei propri contenuti? 
        
        «Probabilmente è vero che importanti settori del cattolicesimo
        attualmente nel dialogo con i non credenti accantonino la domanda sulla
        verità considerandola priva di prospettive e quindi sterile e vogliano
        focalizzare il dibattito sull'utilità sociale della fede. Per
        specifiche fasi della discussione questo può essere ammesso oppure può
        costituire l'unica via percorribile. Ma se complessivamente si volesse
        lasciar cadere la pretesa alla verità e in tal modo si intendesse
        declassare il cristianesimo da "verità" a (utile) abitudine
        ("tradizione"), questo significherebbe la rinuncia del
        cristianesimo a se stesso. Il cristianesimo sarebbe certo perfettamente
        inglobato nel sistema del mondo moderno, però avrebbe perso la sua
        anima. Dunque Cristo non potrebbe più dire: "Io sono la verità",
        ma sarebbe retrocesso all'ordine di grandezza di un uomo con una
        significativa esperienza religiosa oppure a quello di un riformatore
        della società che purtroppo ha fallito. Del resto la Chiesa proprio
        grazie all'altezza della sua pretesa rende un servizio alla società;
        essa non permette di rimanere ancorati alle filosofie del consenso o
        alle tecniche sociali; la Chiesa ci esorta sempre di nuovo a porci la
        domanda sulla verità, solo così la statura dell'uomo può essere
        preservata». 
         Come mantenere la pretesa cristiana alla verità, se si
        assume che l'idea stessa di verità non sia applicabile alla religione,
        la quale verterebbe solo sulla pietà e i costumi ed escluderebbe la
        conoscenza?  
        «Se la fede cristiana è solo una tradizione religiosa,
        anche se certamente una tradizione significativa, non è più
        comprensibile il motivo per cui dovrebbe essere impartita agli altri. Al
        contrario, la verità è per tutti una sola, e se Cristo è la verità,
        allora riguarda tutti; allora è una colpa occultarla agli altri. Se si
        definisce il cristianesimo una religione europea si dimentica che non è
        nato in Europa e che nei primi secoli si è diffuso in modo uniforme sia
        in Europa sia in Asia; la missione nestoriana aveva raggiunto l'India e
        la Cina; l'Armenia e la Georgia sono antiche terre cristiane. Anche
        nella penisola arabica c'era una rilevante presenza di cristiani;
        presenza che fu notevolmente indebolita dal successo dell'islam, ma che
        ciò nonostante non si riuscì a far scomparire. Oggi l'opposizione più
        forte al cristianesimo proviene dall'Europa e dalla sua filosofia post-cristiana, mentre nei paesi extraeuropei la fede trova un sostegno
        sempre più forte. A questo si obietta che il cristianesimo, nella
        manifestazione concreta che ha assunto, ha ricevuto la sua impronta
        soprattutto dalla filosofia greca e dai suoi sviluppi nel pensiero
        medievale nonché dal pensiero europeo moderno, per far derivare da ciò
        il diffuso postulato della de-ellenizzazione e del puro ritorno alla
        Bibbia. In questa prospettiva si dimentica però in primo luogo che la
        filosofia greca nell'incontro con il messaggio cristiano ha subito un
        profondo processo di ri-fusione. In opposizione a ciò ci fu una
        reazione in campo filosofico che si contrappose a questa trasformazione
        cristiana e alla nuova sintesi delle culture, con l'intento di
        preservare l'elemento autenticamente greco. Ma qui si dimentica anche
        che già nell'Antico Testamento ha avuto luogo un incontro tra il
        pensiero greco e l'antica tradizione biblica: il processo dell'incontro
        fra le culture è quindi già avviato nella Bibbia stessa».
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