Questo incontro fra 
			esperti musulmani e cattolici a novembre è un inizio ed è positivo 
			per il solo fatto che si tiene: il dialogo è meglio 
			dell’indifferenza e del silenzio reciproco. In questi anni vi è 
			stata pure un’importante evoluzione. All’inizio le lettere dei saggi 
			domandavano solo un dialogo diciamo così, teologico. Ma questo 
			rischiava di essere infruttuoso. È stato desiderio del santo Padre e 
			del card. Tauran l’aver sottolineato che il dialogo doveva avere 
			delle sottolineature legate ai problemi della vita quotidiana e ai 
			diritti della coscienza. Su questo è anche d’accordo Tariq Ramadan, 
			uno degli invitati di parte musulmana.
			Cristiani e Islam bloccati dal 
			fondamentalismo 
			
			Il rapporto fra cristiani e musulmani 
			ha avuto una storia travagliata. Negli anni ’60, dopo il Concilio 
			Vaticano II, vi è stato un forte slancio da parte cattolica. Anche 
			da parte musulmano vi è stata un’apertura sincera e numerosa. Poi 
			sono successe due cose:
			a) col tempo il dialogo si consuma se 
			non è sostenuto da una struttura permanente. Il dialogo con gli 
			ortodossi e altre confessioni cristiane è regolare: ci si ritrova 
			ogni anno, vi sono commissioni miste… Con l’islam invece è dipeso 
			dalle circostanze: talvolta vi sono stati capi che lo desideravano, 
			altre volte responsabili che non lo sostenevano…
			b) Il secondo motivo è che negli anni 
			’70 è cominciata l’ondata del movimento fondamentalista, del quale 
			il mondo islamico soffre per primo. Questa avanzata ha frenato tutto 
			perché la sua linea è quella del rifiuto dell’altro[1]. 
			La posizione dei salafiti è in opposizione in molti punti con la 
			modernità e l’occidente che ne è la fonte; questo ha portato a un 
			rallentamento del dialogo.
			Vale la pena sottolineare che questa 
			ripresa è partita proprio dal 
			discorso di Regensburg. E questo è 
			riconosciuto anche da alcuni esperti islamici[2]. 
			Il discorso del papa è stato l’inizio di un nuovo movimento di 
			ripensamento. Se esso ha provocato una risposta positiva è perché 
			egli ha parlato con verità e senza odio. Questo conferma che se nel 
			dialogo non c’è verità, non vi è frutto.
			
			Le piste per il futuro
			
			Una cinquantina di membri 
			parteciperanno al Forum, a parità, anche se i nomi non sono stati 
			pubblicati. Ma fin da ora si può tracciare alcune prospettive per 
			aprire a una collaborazione. Io penso che possiamo fare tanti passi 
			avanti. Si deve però affrontare con pacatezza e con sincerità le 
			decine di punti di incomprensione e di frizione.
			Se si parla dei dogmi, dobbiamo 
			arrivare a chiarire la posizione cristiana di fronte all’Islam, al 
			Corano e alla persona di Maometto, cercando di capire la loro 
			posizione e dicendo loro che cosa noi crediamo e perché. Da parte 
			musulmana è importante che si chiariscano cosa significa la nostra 
			fede nella Trinità, nell’incarnazione del Verbo, l’unicità di Dio, 
			ecc.. per non lanciarci accuse false. Se invece vi sono accuse vere, 
			dobbiamo cambiare.
			In occidente vi sono polemiche 
			sull’apertura di scuole islamiche o di moschee. Ma questo non è un 
			problema che riguarda il dialogo islamo-cristiano. Le proibizioni o 
			i divieti vengono dallo Stato laico e non hanno motivazioni di 
			difesa del mondo cattolico. Il problema qui è mettersi d’accordo 
			davvero su cosa sia un luogo di culto, da non confondersi con un 
			luogo di guerriglia e di lotta. Lo Stato deve precisare quali devono 
			essere le caratteristiche di tali luoghi e se qualcuno deroga da 
			queste regole, deve avere l’autorità di togliergli tale diritto.
			
			Lo stesso vale per le scuole. In 
			Francia, ad esempio, vi sono delle regole che lo Stato chiede per 
			riconoscere qualunque scuola, anche quella islamica. Occorre ormai 
			giungere a precisare delle norme. Finora non se n’è sentito il 
			bisogno perché vi era un sottofondo comune ovvio. Ma ora, con la 
			nostra società pluralista e globalizzata, queste norme occorre 
			farle. Ad esempio lo Stato deve precisare se nel proprio territorio 
			è il governo che regala il terreno per costruire il luogo di culto o 
			no; se è lecito o no pregare per strada…
			Non so quanto questo dialogo potrà 
			essere fruttuoso: il numero considerevole di partecipanti (in tutto 
			più di 50) rischia di non far procedere le discussioni in modo 
			profondo e fruttuoso.
			
			La libertà religiosa
			
			Entrambe le religioni poi pretendono 
			di portare un messaggio di verità e sono chiamate a proclamarlo e 
			diffonderlo nella missione. Ma per fare questo occorre puntualizzare 
			le modalità. Utilizzare mezzi indegni della religione o illeciti va 
			escluso. I musulmani, ad esempio, accusano i cristiani di fare 
			proselitismo facendo “favori” ai poveri e chiedendo in cambio la 
			conversione. Ma anche permettere ad una religione di diffondersi, 
			frenando lo sviluppo dell’altra è ingiusto. Tutto questo è da 
			condannare. Anche l’idea che si promuove nel mondo musulmano, “la 
			verità ha tutti i diritti, la menzogna non ha nessuno diritto”, è 
			ingiusta In base a questo si esclude di fatto la possibilità per le 
			religioni non islamiche di potersi diffondere[3]. 
			A questo è legato il disprezzo verso gli apostati – come quando è 
			avvenuto il battesimo di Magdi Cristiano Allam [vedi 
			sua Lettera Aperta al Papa] – che vengono visti 
			come dei traditori, invece che cercatori della verità. Anche avere 
			delle scuole è importante per entrambe le religioni e quindi questo 
			diritto va difeso e non va denigrato come proselitismo.
			
			Conclusione
			
			La mia impressione è comunque che 
			questo dialogo può essere fruttuoso se rispetta 3 dimensioni:
			1) occorre che esso inizi e continui 
			anche per anni.
			2) Che alla fine siano stilati 
			documenti comuni concreti, che siano poi diffusi il più possibile;
			3) Che si dia la massima autorità a 
			tali documenti. Da parte cattolica è facile: basta che il cardinale 
			o un’alta autorità li firmi. Da parte musulmana deve esserci un 
			accordo fra le personalità religiose e i politici islamici. Le leggi 
			che limitano la libertà religiosa sono fatti dai governi islamici, 
			non dai saggi musulmani. Ognuno che partecipa a questi dialoghi, 
			tornando al suo Paese, deve interessare il suo governo e altre 
			associazioni musulmane. Più ancora le decisioni che dipendono dagli 
			Stati dovrebbero essere votati dall’ “Organizzazione della 
			Conferenza Islamica” (OCI). Se non succede questo, diviene 
			scoraggiante. L’autorità del documento è un fatto importante.
			Ma la prima e più urgente necessità è 
			quella della libertà religiosa: il diritto di ogni religione a 
			proclamare e diffonderla con mezzi legittimi e leciti e non con 
			quelli illeciti, che devono essere elencati. Questo è un principio 
			spirituale – perché tocca la dignità dell’uomo – e anche un 
			principio teologico, perché tocca il principio dell’uomo creato a 
			immagine di Dio, libero e perciò libero anche di fare degli errori. 
			Mi auguro che da questo incontro venga prestissimo un documento 
			comune sulla libertà religiosa.
			-------------------------------------
			
			[1] 
			Da questo punto di vista vale la pena precisare che mettersi in 
			dialogo non significa “mettere da parte le proprie credenze”. Noi 
			cattolici, anche se crediamo che la Chiesa cattolica porta la 
			verità, crediamo pure che vi sono semi del Verbo, della verità anche 
			in altre posizioni.
			
			
			[2] 
			Vedi Tarik Ramadan: “Dopo aver provocato un’ondata di shock, le 
			parole di Papa Benedetto XVI pronunciate a Ratisbona due anni fa 
			avranno avuto senza dubbio conseguenze più positive che negative nel 
			lungo termine. Aldilà della polemica, questa conferenza ha provocato 
			una presa di coscienza generale sulla natura delle rispettive 
			responsabilità sia dei cristiani che dei musulmani in occidente”. 
			Cfr Il Riformista, 31 ottobre 2008).
			[3] 
			Tutti i giorni nel mondo musulmano vediamo proclamata la fede 
			musulmana (per radio, televisione, sui giornali, con i megafoni 
			della moschea), mentre un cristiano non può nemmeno portare una 
			croce visibile perché è vietata “la diffusione della menzogna”.
			
			
			
			Articolo di Tariq Ramadan su "Il 
			Riformista"                       
			 torna 
			su
			
			Dopo aver provocato un’ondata di shock, le parole di Papa 
			Benedetto XVI pronunciate a Ratisbona due anni fa avranno avuto 
			senza dubbio conseguenze più positive che negative nel lungo 
			termine. Aldilà della polemica, questa conferenza ha provocato una 
			presa di coscienza generale sulla natura delle rispettive 
			responsabilità sia dei cristiani che dei musulmani in occidente. 
			Poco importa se si tratta di un gesto maldestro o di una presa di 
			posizione di principio da parte del più alto rappresentante della 
			Chiesa cattolica; ciò che conta ormai è determinare i settori nei 
			quali è necessario un dibattito di fondo tra cattolicesimo e islam. 
			I riferimenti alla jihad e alla violenza dell’islam nel discorso del 
			Papa hanno scioccato i musulmani, sebbene si trattasse di una 
			citazione dell’imperatore bizantino Manuele II il Paleologo.
			
			Riteniamo dunque sia necessario aprire un dibattito sui fondamenti 
			teologici rispettivi e il substrato comune delle due religioni. 
			L’appello degli eruditi musulmani attraverso il mondo intorno alla 
			“Parola comune” andava esattamente in questa direzione: le nostre 
			tradizioni hanno la stessa origine, uno stesso unico Dio, che ci 
			chiama a rispettare la dignità e le libertà umane.
			
			Rimettono in questione allo stesso modo le finalità dell’agire umano 
			ed esigono che noi rispettiamo un’etica. In un mondo che sta 
			attraversando una crisi economica mondiale senza precedenti, in cui 
			la politica, la finanza, il rapporto verso l’uomo e l’ambiente 
			mancano in maniera crudele di coscienza e di etica, è impellente che 
			il dialogo cristiano-musulmano si interessi ai fondamenti teologici 
			ed alle questioni dei valori e dei fini.
			
			Non si tratta di creare una nuova alleanza tra religioni contro 
			l’ordine “secolarizzato” o “immorale”, ma piuttosto di contribuire 
			in maniera costruttiva ai dibattiti in modo che le logiche 
			economiche o di guerra non distruggano ciò che resta di umanità 
			negli esseri umani. Il nostro dialogo costruttivo riguardo ai valori 
			e le finalità comuni è molto più importante e imperativo delle 
			nostre rivalità sul numero di fedeli, il proselitismo e la 
			competizione sterile sul possesso esclusivo della Verità.
			
			Gli spiriti dogmatici che in entrambe le religioni, si accaparrano 
			la verità lavorano a conti fatti contro gli interessi delle loro 
			rispettive religioni. Chiunque affermi di essere l’unico depositario 
			della verità e che «la menzogna sono gli altri»… sta già errando. Il 
			nostro dialogo deve lottare contro le tentazioni dogmatiche 
			avvalendosi di un dialogo profondo, critico e sempre rispettoso. Un 
			dialogo la cui serietà ci impone umiltà.
			
			Bisogna altresì tuffarsi nella Storia e iniziare un dialogo sulle 
			civiltà. La paura del presente a volte ci fa interpretare il passato 
			con una prospettiva falsato: il Papa aveva sorprendentemente 
			affermato che le radici dell’Europa erano greche e cristiane quasi a 
			voler scongiurare la minaccia attuale della presenza musulmana in 
			Europa. Come ho detto dopo la sua conferenza a Ratisbona, le sue 
			parole sono riduttive e bisogna ritornare ai fatti del passato così 
			come alla storia delle idee.
			
			Ci si rende conto allora che questa contrapposizione tra islam e 
			occidente è una pura proiezione, quasi uno strumento ideologico, 
			destinato a creare delle entità che mettiamo in opposizione o che 
			invitiamo a dialogare. Eppure vi è molto islam in occidente e molto 
			occidente nell’Islam ed è importante che si apra una riflessione 
			interna e critica: occidente ed Europa devono aprire un dibattito 
			dall’interno come devono farlo l’islam e i musulmani in modo da 
			riconciliarsi con la diversità e la pluralità del loro rispettivo 
			passato.
			
			Questo dovere di memoria è imperativo per la coscienza collettiva 
			che vuole evitare le polarizzazioni emotive e vuole considerare come 
			si deve la pluralità intellettuale e filosofica che la costituisce. 
			Ci si rende conto allora che il dibattito sulla ragione e la fede e 
			la verità della razionalità, ha attraversato le civiltà e non è una 
			specificità greca o cristiana o ancora una prerogativa dei Lumière. 
			I propositi del Papa a Ratisbona hanno quindi aperto dei cantieri 
			che bisogna esplorare e sfruttare positivamente in modo da costruire 
			dei ponti e impegnarci tutti insieme nel contributo comune alle 
			questioni sociali, culturali ed economiche dei nostri tempi.
			
			È con questo spirito che parteciperò a tali dibattiti i prossimi 4, 
			5 e 6 novembre a Roma e all’incontro con il Papa previsto per il 6. 
			Si tratta di affrontare le nostre rispettive e condivise 
			responsabilità e di impegnarci insieme per rendere il nostro 
			universo più giusto nel rispetto delle credenze e delle libertà. 
			Bisognerà dunque anche parlare della libertà di coscienza, dei 
			luoghi di preghiera e dell’“argomento della reciprocità”: tutte le 
			questioni devono essere abbordate in un’atmosfera di fiducia e 
			rispetto.
			
			Tuttavia è importante che ognuno si sieda attorno al tavolo con 
			umiltà, che consiste nel non pensare che soltanto egli sia il 
			depositario della verità: il rispetto che impone l’ascolto 
			dell’altro e di riconoscere la propria differenza e infine la 
			coerenza che richiama ognuno di noi ad avere spirito critico 
			riconoscendo le contraddizioni che possono esistere tra gli ideali 
			dei messaggi e la messa in pratica dei fedeli.
			Umiltà, rispetto e preoccuparsi della coerenza sono le condizioni 
			per il successo.
			
			
			
			Ed ecco l’intervista a padre Samir.                     
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			«Non sono d’accordo con Tariq Ramadan quando dice che l’affermazione 
			del Papa secondo la quale le radici dell’Europa sono greche e 
			cristiane viaggia su una prospettiva falsata. Secondo Ramadan sono 
			parole riduttive. Io credo che abbia ragione il Papa. Se si parla di 
			radici, per l’Europa sono cristiane e greche. Non islamiche. Greche 
			nel senso di pre-cristiane (Platone e Aristotele), di un sapere 
			razionale. Anche nel mondo arabo il nostro Rinascimento (IX e X 
			secolo), si verificò soltanto quando iniziò un movimento 
			intellettuale tra musulmani e cristiani basato sulla ragione. 
			Comunque, secondo me, le radici europee sono cristiane e 
			pre-cristiane, e in questo senso greche; il che non significa che 
			non ci sono stati “influssi” musulmani sull’occidente a partire dal 
			XII secolo, ma non sono “radici”».
			Così il gesuita Samir Khalil Samir, egiziano di origine, nato al 
			Cairo nel 1938, tra i massimi esperti di islam e di mondo arabo. 
			Oggi insegna all’Université Saint Joseph di Beirut e al pontificio 
			Istituto Orientale. Dal Libano offre il proprio punto di vista 
			intorno all’articolo di Tariq Ramadan uscito ieri sul Riformista e 
			nel quale l’intellettuale musulmano, spiegando cosa andrà a dire al 
			Papa il 6 novembre al termine del primo incontro del Forum 
			islamo-cristiano, mette i propri paletti sul dialogo tra islam e 
			occidente.
			
			È sempre intorno all’Europa e all’occidente che Samir non condivide 
			Ramadan: «Ramadan dice che “vi è molto islam in occidente e molto 
			occidente nell’islam”. E che è importante “si apra una riflessione 
			interna e critica: occidente ed Europa devono aprire un dibattito 
			dall’interno come devono farlo l’islam e i musulmani”. Dicendo così 
			Ramadan identifica L’Europa e l’occidente con il cristianesimo, 
			riconoscendone implicitamente le radici cristiane. Ma, secondo me, è 
			anche riduttivo identificare oggi l’Europa con il cristianesimo. 
			Perché l’Europa non è necessariamente cristiana: lo sono le sue 
			radici».
			
			Infine la questione della verità. «Per Ramadan si deve avere 
			l’umiltà di non pensare di essere i soli depositari della verità e 
			che gli altri siano menzogneri. Vorrei ricordare che la Chiesa 
			cattolica ritiene di essere depositaria della verità, ma non 
			riconosce gli altri come menzogneri. Anzi, sostiene che ovunque vi 
			siano dei semi di verità. Ritenere gli altri menzogneri è un 
			atteggiamento fondamentalista».
			
			
			
			Attenti all´islam modello Ramadan 
			(1)                 
			 torna su
			di Olivier Clément
			
			La questione delle liceali velate in Francia e la polemica del 
			crocifisso in un'aula scolastica italiana sono, malgrado le 
			apparenze, strettamente collegate e pongono il problema del 
			comportamento dei musulmani in questi due paesi. [...] 
			
			Occorre sottolineare subito che i due casi, il francese e 
			l´italiano, sono provocazioni lanciate da intellettuali o 
			pseudo-intellettuali convertitisi di recente all'islam. [...] Sono 
			dunque delle eccezioni, ma provocate appositamente e senza dubbio 
			rivelatrici.
			
			In Francia, le due sorelle rifiutate dal loro liceo non solo a causa 
			del velo ma più in generale per lo stile dei loro vestiti e per il 
			loro comportamento sono figlie di un avvocato agnostico di origine 
			ebraica, di nome Lévy. È stato lui ad incoraggiarle, per dimostrare 
			l'intolleranza della nostra società.
			
			In Italia, il padre dei due bambini che si è dichiarato 
			scandalizzato dal crocifisso appeso sui muri della loro scuola si 
			chiama Adel Smith e si è convertito all'islam nel 1982. [...]
			
			Mi sembra che queste provocazioni isolate siano chiare testimonianze 
			di un nuovo corso all'interno delle motivazioni ideologiche delle 
			comunità musulmane. Certo, sono sempre esistite e resistono tuttora, 
			in Francia, correnti fondamentaliste di odio e rifiuto totale della 
			cultura occidentale. Ma queste istanze d'altri tempi non sono mai 
			state capaci di annientare e nemmeno di utilizzare le strutture 
			giuridiche e mentali della nostra società.
			
			La nuova ideologia è ora ben definita. Il suo portavoce, perlomeno 
			in Francia e in tutta l'Europa occidentale, si chiama Tariq Ramadan. 
			Ramadan non si nasconde né tesse complotti. Pur affermando la sua 
			fede musulmana, si presenta come un grande intellettuale 
			occidentale. Giovane, bello, parla con maestria e chiarezza la 
			lingua dell'intellighenzia dell'Europa occidentale, è docente di 
			filosofia, di letteratura francese e d´islamologia presso 
			l´università di Ginevra. Allo stesso tempo impegnato in contesti 
			associativi musulmani, come quello dei "Giovani musulmani di 
			Francia", si è assicurato un ruolo di esperto nell´ambito delle 
			commissioni che ruotano attorno al parlamento europeo. La sua 
			presenza mediatica non cessa di crescere. È autore di una quindicina 
			di opere tra cui "Les musulmans dans la laïcité", "Aux sources du 
			renouveau musulman", "Les musulmans d´occident et l´avenir de 
			l´islam". È regolarmente invitato a partecipare a trasmissioni 
			televisive o radiofoniche. Fa circolare tra i giovani musulmani 
			brevi testi redatti in francese o in arabo. 
			
			Propone un islam "riformista" e "totalizzante". Il suo scopo sembra 
			essere quello di far emergere un corpo di valori a partire dalla 
			sorgente islamica, un corpus dalla vocazione universale che prenderà 
			il posto dei valori della civiltà occidentale. Ciò che conta per lui 
			è arrivare ad affermare l'identità musulmana e a presentarla come la 
			fonte della vera universalità.
			
			Partendo dalla constatazione che il fulcro dei movimenti storici è 
			costituito ai giorni nostri dall'insieme Europa-America del Nord, 
			con i paesi musulmani relegati alla periferia, Ramadan nota come 
			oggi però siano numerosi i musulmani, soprattutto gli intellettuali, 
			che sono entrati a far parte di questo centro. Li invita dunque a 
			rimodellarlo e, a poco a poco, a islamizzarlo: "Il riferimento 
			all'ebraismo e al cristianesimo si sta diluendo, se non sta 
			addirittura del tutto scomparendo" ("Les musulmans d´occident e l´avenir 
			de l´islam", Actes Sud-Sinbad, 2003). "Solo l'islam può compiere la 
			sintesi tra cristianesimo e umanesimo, e colmare il vuoto spirituale 
			che colpirà l'occidente" ("Islam, le face à face des civilisations", 
			Tawhid, 2001).
			
			Ancora: "Il Corano conferma, completa e rettifica i messaggi che 
			l´hanno preceduto" ("Les messages musulmans d´occident"). Alcune 
			personalità cristiane la cui opera benefica non può essere 
			misconosciuta - Madre Teresa, suor Emanuelle, l'Abbé Pierre, dom 
			Helder Camara - sono eccezioni che mostrano solamente che tutti gli 
			uomini perbene sono implicitamente musulmani, poiché il vero 
			umanesimo ha fondamento nella rivelazione coranica. Così, sia 
			direttamente sia attraverso la mediazione di questo umanesimo, la 
			"Città musulmana" potrà instaurarsi sulla terra. "Oggi i musulmani 
			che vivono in occidente devono unirsi alla rivolta degli ´altromondisti´ 
			dal momento in cui, per l´islam, il sistema capitalista neoliberale 
			è un universo di guerra [...]. La rivelazione coranica è esplicita: 
			chi si occupa di speculazione o cura gli interessi finanziari entra 
			in guerra contro il trascendente" ("Pouvoirs", 2003, n. 164).
			
			Tariq Ramadan poi insiste - giustamente - sulla ricchezza 
			intellettuale forse troppo a lungo ignorata dei grandi pensatori 
			musulmani come Al-Kindi, Al-Farabi, Avicenna, Averroè, ma si 
			dimentica di situarli in rapporto al pensiero greco, ebraico e 
			cristiano, e ce li presenta come la vera origine dell´umanesimo.
			
			Jacques Jomier ha riassunto in modo efficace lo scopo che anima 
			Tariq Ramadan: "Il suo problema non è modernizzare l'islam, ma 
			islamizzare la modernità" ("Esprit et Vie", 17 febbraio 2000). Non 
			ci si deve dimenticare che Ramadan è nipote di Hassan Al-Banna, il 
			fondatore in Egitto del movimento islamista dei Fratelli Musulmani, 
			un uomo che egli considera un eminente rappresentante dell´islam 
			"riformista", capace di suscitare all´interno della modernità una 
			cultura alternativa endogena" ("Peut-on vivre avec l´islam?", Favre, 
			1990).
			
			A suo avviso occorre evitare ogni forma di contrasto: intorno al 
			1995 Ramadan esaltava l'esperienza del Sudan di Hassan Al-Turabi. 
			Oggi non è più così, (ma suo fratello Hani, che finanzia la casa 
			editrice Tawhid, non ha queste riserve, che riguardano in 
			particolare i processi e le sentenze contro le donne adultere in 
			Nigeria). Tariq Ramadan preferisce appellarsi alla libertà di 
			coscienza guidata dal giudizio che dona la rivelazione coranica. 
			"Alcuni studiosi musulmani, con argomentazioni prese dal Corano e 
			dalla Sunna, hanno proibito la musica e perfino il disegno e la 
			fotografia (e dunque la televisione e il cinema). È un´opinione tra 
			le tante, e come tale deve essere rispettata [...]. Ma altri, tra 
			cui noi, dovrebbero determinare un approccio selettivo in questo 
			campo, così come in altri" ("Les musulmans d´occident e l´avenir de 
			l´islam"). Lo stesso si può dire riguardo alla questione del velo: 
			bisogna lasciare alla donna la libera scelta, ma mostrandole il vero 
			significato di essa. 
			
			Che fare di fronte a questa nuova situazione? [...] In Francia, dove 
			la comunità musulmana è molto numerosa e dove le polemiche 
			imperversano a destra come a sinistra, il parlamento è vicino a 
			votare una legge che impedirà l'affissione di segni religiosi nelle 
			aule scolastiche. Questa prospettiva inquieta i cattolici, secondo i 
			quali una legge di questo tipo apparirebbe ai musulmani come una 
			forma di stigmatizzazione e rifiuto da parte della comunità 
			nazionale. [...] Ma pare che gli islamici più intelligenti stiano 
			segretamente aspettando proprio una legge che favorisca questa 
			esclusione, che sarebbe la prova palese dell'innata islamofobia 
			della società francese. [...] Il pensiero di Tariq Ramadan regala 
			alle provocazioni attuali una portata inattesa. Da parte nostra, 
			siamo chiamati a un cristianesimo più profondo e più lucido, capace 
			al tempo stesso di accogliere e di illuminare ogni cosa.
			
			Nota 1. Su Hassan Al-Turabi
			
			Olivier Clément cita, tra i pensatori musulmani apprezzati negli 
			anni Novanta da Tariq Ramadan, il sudanese Hassan Al-Turabi.
			
			Anche Al-Turabi è stato in gioventù vicino ai Fratelli Musulmani. Ha 
			studiato filosofia in Europa, alla Sorbona di Parigi. Sa parlare un 
			linguaggio molto famigliare alla cultura europea. Vede 
			nell´occidente una società post-cristiana, e nell´islam un 
			inveramento del cristianesimo. Si dice fautore del dialogo tra le 
			religioni.
			
			Ma Al-Turabi per tutti gli anni Novanta è stato molto più che un 
			intellettuale. In Sudan è stato l´eminenza grigia dei militari al 
			potere. Ha tentato di creare un nuovo stato islamico che fosse 
			modello per l´intero mondo musulmano. Ha ospitato Osama Bin Laden ed 
			è stato mentore dello stratega di Al-Qaeda, l´egiziano Ayman 
			Al-Zawahiri. Fino al 2000 e alla sua caduta in disgrazia presso il 
			regime militare è stato l´ideologo islamista più presente sulla tv 
			Al-Jazeera.
			
			Nel 1994 ottenne d´essere ricevuto in udienza privata da un ignaro 
			Giovanni Paolo II, in Vaticano.
			
			Nota 2. Su Giacomo Biffi
			
			Il proposito di una islamizzazione dell´Europa attribuito da Olivier 
			Clément a Tariq Ramadan ha molto in comune con l´allarme lanciato 
			dal cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, in conclusione 
			di una sua celebre - e contestata - conferenza del 30 settembre 
			2000. Eccone i tre paragrafi finali:
			
			"In un'intervista di una decina d'anni fa, mi è stato chiesto con 
			molto candore e con invidiabile ottimismo: ´Ritiene anche lei che 
			l'Europa o sarà cristiana o non sarà?´. Mi pare che la mia risposta 
			di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di 
			oggi.
			"Io penso - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o 
			diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la ´cultura 
			del niente´, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello 
			scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere 
			l'atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno 
			tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa ´cultura del 
			niente´ (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) 
			non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'islam, che 
			non mancherà. Solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come 
			unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione 
			dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a 
			questo inevitabile confronto.
			"Purtroppo né i laici né i cattolici pare si siano finora resi conto 
			del dramma che si sta profilando. I laici, osteggiando in tutti i 
			modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l'ispiratrice più 
			forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi 
			valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo 
			tardi. I cattolici, lasciando sbiadire in se stessi la 
			consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all'ansia 
			apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente 
			preparano (umanamente parlando) la propria estinzione. La speranza è 
			che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a 
			un efficace risveglio sia della ragione sia dell'antica fede".
			
			(1) Note di InternEtica. 
			
				- Per Grazia di Dio il Papa è uscito dall'ambiguità di passate 
				affermazioni ecclesiali sul mito dell’unico Dio dei tre Credo 
				monoteisti, cristiano/ebreo/mussulmano, che poi tanto unico non 
				è. Basta ricordare che l'ebraismo attuale è quello talmudico 
				nato dopo la distruzione di Gerusalemme che ha rifiutato Cristo, 
				mentre l'Islam nasce da correnti cristiano eretiche (nestoriani), 
				elementi ebraici, 
				conditi con vangeli gnostici e detti degli uomini del deserto e anch'esso rifiuta la Divinità di Cristo e il Mistero della SS 
				Trinità, che è Dio personale in relazione vitale con l'uomo. 
				Come ha ripetuto Benedetto XVI agli Ebrei la settimana scorsa, 
				il dialogo comincia con il riconoscimento delle diversità e il 
				rispetto reciproco, e non dai preconcetti e dalle voglie 
				ireniche di un sincretismo del tutto fa brodo (da Chiesa 
				universale di conio massonico, aggiungiamo noi) 
 
				- Tariq Ramadan è il nipote del fondatore dei Fratelli 
				musulmani ed è molto legato ad essi. Pensiamo sia inutile dire 
				chi sono i Fratelli musulmani. È uomo abilissimo ad adattare i 
				suoi discorsi al pubblico a cui si rivolge. È stato capace di 
				affermare con grande apparente sincerità una cosa e dire 
				esattamente il contrario, il giorno dopo, davanti ad un pubblico 
				differente. È stato per esempio impossibile al giornalista della 
				televisione svizzera strappare a Ramadan una condanna chiara 
				della lapidazione delle donne prevista dalla sharia. Escluso 
				dall`università di Ginevra e non accettato da altre in seguito, 
				riesce comunque ad avere un pubblico che lo ascolta e una certa 
				influenza, grazie al suo innegabile talento di comunicatore, 
				Ramadan è “un beau parleur”. Sì Tariq Ramadan è un abile 
				comunicatore, che non ispira alcuna fiducia. 
				 
			
			
          
          
          v. anche:
			Un 
			buon inizio in amicizia, Samir K. Samir, 7 novembre 2008
			Il 
		Vaticano si prepara all'incontro, 12 febbraio 2008
			138 Musulmani 
			scrivono al Papa
			
			Testo integrale della 
	lettera in formato .pdf
			La reazione della Chiesa
			Commento Pontificio Istituto Studi Arabi
			Cautela di Benedetto XVI
			Commento di Samir K. Samir 9 
	gennaio 2008
			Commento di Samir 
			K. Samir 12 ottobre 2007