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La Santa Sede risponde alle accuse di Israele

    La dichiarazione di Navarro Valls – Il brusco comunicato del Ministro israeliano degli Esteri.

Ieri sera dalle montagne di Les Combes (Valle d’Aosta), dove si trova il papa per un periodo di vacanza, il direttore della Sala stampa vaticana, Joaquin Navarro Valls, ha risposto con una dichiarazione scritta alle accuse del governo israeliano contro Benedetto XVI. La protesta di Israele è dovuta al fatto che il papa domenica all’Angelus ha citato l'Egitto, la Turchia, l'Iraq e il Regno Unito fra i paesi colpiti negli ultimi giorni dal terrorismo e non Israele, colpito dieci giorni fa dall'attentato di Netanya. 

Le accuse del governo israeliano sono state fatte anche con una protesta verbale presentata ieri convocando al Ministero degli Esteri il delegato apostolico di Gerusalemme, mons. Pietro Sambi.

"Sorprende – dice la dichiarazione della Santa Sede - che si sia voluta distorcere così pretestuosamente l'intenzione del Santo Padre, essendo ben noti i numerosissimi interventi della Chiesa, del magistero dei sommi pontefici e da ultimo del Papa Benedetto XVI a condanna di ogni forma di terrorismo, da qualsiasi parte  essa venga e contro chiunque sia rivolta"

Navarro fa anche ''presente che le parole di Benedetto XVI si  riferivano espressamente agli attentati di 'questi giorni'''. ''Ovviamente – ha aggiunto il portavoce vaticano - anche il grave attentato di Netanya dell'altra settimana, a cui si riferiscono i rilievi da parte israeliana, rientra nella generale condanna senza riserve del terrorismo”.

Ieri il Ministero israeliano degli Esteri ha diramato una nota a tutti i giornali israeliani, in un attacco senza precedenti a papa Benedetto XVI. Presentiamo di seguito la nota. La traduzione dall’ebraico è a cura di AsiaNews):

“A: tutte le redazioni

L’ambasciatore del Vaticano è stato redarguito oggi 25 luglio al Ministero degli Esteri ed è stata espressa ira verso di lui a proposito delle parole di Benedetto XVI nel suo sermone di domenica 24 luglio, in cui egli ha condannato i recenti attacchi terroristici “avvenuti in varie nazioni, fra cui Egitto, Turchia, Iraq e Gran Bretagna”, e in modo esplicito [egli] si è astenuto dal condannare il tremendo attacco terrorista avvenuto in Israele la scorsa settimana.

Azioni terroristiche che colpiscono ebrei in Israele – compreso l’attacco della settimana scorsa che ha causato la morte e il ferimento di molti adolescenti e bambini – sono stati spesso condannati dai leader dell’area illuminata [ sic! - ndr: probabile errore ortografico: forse si voleva dire “del mondo civile”]. Il deliberato silenzio di condanna di questo gesto da parte del papa grida fino al cielo; al di là della macchia morale che questo comporta, questa cosa non può non essere interpretata che come un dare legittimità agli attacchi terroristi contro Israele. Tale ruggente pretesa da parte del Papa che nulla è accaduto rafforza gli elementi estremisti che si oppongono alla pace e indebolisce i moderati.

Da questo nuovo Papa – che dall’inizio del suo pontificato ha sottolineato l’importanza che per lui hanno le relazioni della Chiesa con il popolo ebraico -  ci saremmo aspettati un comportamento diverso, specialmente quest’anno, 40 anni dopo la Dichiarazione ‘Nostra Aetate’.

Noi ci aspettiamo ora che il nuovo Papa - che ha proposto il ‘dialogo fra le tre religioni che riconoscono Abramo come loro padre’ – condannerà l’attacco terrorista che ha crudelmente colpito gli ebrei allo stesso modo in cui egli ha condannato gli altri attentati terroristi”.
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[Fonte: AsiaNews 26 luglio 2005]

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Le ragioni di una crisi
[Mattia Bianchi, su korazym.org - 26 luglio 2005]                              torna su

 

Il governo Sharon ha protestato ieri formalmente con il Vaticano dopo le parole pronunciate domenica all'Angelus da Benedetto XVI. Il papa aveva condannato i recenti attentati terroristici in diversi paesi, citandone esplicitamente quattro, l'Egitto, la Turchia, l'Iraq e il Regno Unito, ma non Israele. Ieri mattina il nunzio apostolico a Gerusalemme monsignor Pietro Sambi è stato convocato al ministero degli esteri per ricevere una ''protesta verbale''. In segno di protesta Israele ha inoltre annullata la riunione che rappresentanti israeliani e del Vaticano avrebbero dovuto tenere oggi a Gerusalemme sulla questione delle proprietà della Chiesa in Terrasanta.

Immediata la risposta della Santa Sede. ''Sorprende che si sia voluta distorcere così pretestuosamente l'intenzione del Santo Padre, - ha detto il direttore della Sala Stampa Joaquin Navarro-Valls - essendo ben noti i numerosissimi interventi della Chiesa, del magistero dei sommi pontefici e da ultimo del papa Benedetto XVI a condanna di ogni forma di terrorismo, da qualsiasi parte essa venga e contro chiunque sia rivolta''.

L'agenzia del Pime Asianews è andata oltre. 'L'attacco senza precedenti lanciato ieri dal Ministero israeliano degli esteri contro la persona di Benedetto XVI - si legge in una nota - è una cortina fumogena per nascondere la decisione dello stesso ministero di abbandonare i negoziati con la Santa Sede, in programma lo stesso giorno''. Tali negoziati – esplicitamente richiesti dall’Accordo Fondamentale fra Israele e Santa Sede del 1993, il trattato internazionale che è  la “magna charta” di tutti i rapporti fra lo stato ebraico e la Chiesa cattolica – hanno lo scopo di giungere a un nuovo trattato per confermare il diritto della Chiesa all’esenzione dalle tasse (un diritto che dura da secoli) e quelli di proprietà, entrambi erosi dallo stato israeliano fin dalla sua fondazione. 

I negoziati erano cominciati in modo ufficiale l'11 marzo 1999. Ma negli ultimi anni, ricorda Asianews, Israele è stato riluttante perfino a incontrare la delegazione della Santa Sede e dialogare sui termini degli accordi. Il 28 agosto 2003 la delegazione israeliana ha abbandonato in blocco il tavolo dei negoziati e vi è tornato solo un anno dopo, in seguito a pressioni della Chiesa e del governo degli Stati Uniti. Dopo essersi accordati per alcuni, pochi incontri nel 2005, Israele si è detta d'accordo a incontrarsi il 19 luglio scorso; all'ultimo momento ha cancellato l'incontro per fissarlo al 25 luglio. Fonti ecclesiali a Gerusalemme, spiega l'agenzia cattolica, affermano che con ogni evidenza i rappresentanti di Israele ''temevano le conseguenze di una nuova cancellazione all'ultimo momento e così hanno pensato di inscenare una critica all'Angelus del papa, solo per nascondere le loro impreparazioni e mancanze sulle obbligazioni da loro prese riguardo ai negoziati con la Santa Sede''.

Di recente, alcune personalità vaticane hanno parlato apertamente delle continue mancanze di Israele nel mettere in atto le obbligazioni prese con la Santa Sede. In tutto questo periodo, né l'Accordo Fondamentale del 1993, né l'Accordo sulla Personalità giuridica del 1997 sono stati ancora tramutati in legge. L'anno scorso il governo ha ufficialmente informato la Corte suprema di Israele che esso non si considerava per nulla vincolato all'Accordo Fondamentale. Nonostante tutte le proteste da parte della Santa Sede, la posizione di Israele non è cambiata. Esperti sulle relazioni fra stato e Chiesa affermano che la crisi delle relazioni fra Israele e Santa Sede diviene sempre più profonda e rischia di oscurare le celebrazioni del 40/mo anniversario della dichiarazione Nostra Aetate, programmate in tutto il mondo. La dichiarazione conciliare Nostra Aetate (pubblicata il 28 ottobre 1965) ha dato un nuovo impulso ai rapporti fra Chiesa cattolica ed ebraismo.

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Dura presa di posizione della Santa Sede, che rigetta in una nota le accuse di parte Israeliana e ricorda gli innumerevoli interventi di Giovanni Paolo II contro il terrorismo in quella terra.
- A Radio Vaticana (29 luglio 2005), padre David Jaeger e Janiki Cingoli -              
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Una insostenibile e pretestuosa accusa: così la Sala Stampa della Santa Sede stigmatizza, con una nota, le critiche rivolte a Benedetto XVI e Giovanni Paolo II da un funzionario del Ministero degli esteri israeliano, intervistato dal Jerusalem Post, sul mancato riferimento all’attentato di Netanya, all’Angelus del 24 luglio scorso. Ce ne parla Alessandro Gisotti:

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“Penosa sorpresa”: questo l’amaro sentimento espresso dalla Sala Stampa della Santa Sede in risposta alle pretestuose accuse lanciate contro Giovanni Paolo II, colpevole, secondo un funzionario del Ministero degli esteri israeliano, di non aver condannato gli attentati degli anni passati in Israele. Addirittura, si sostiene che il governo israeliano “sarebbe in passato intervenuto ripetutamente presso la Santa Sede” richiedendo un cambio di atteggiamento con il nuovo Pontificato. Accuse insostenibili. “Gli interventi di Giovanni Paolo II contro ogni forma di terrorismo e contro singoli atti di terrorismo nei confronti di Israele – sottolinea la nota – sono stati numerosi e pubblici”. Documenti di pubblico dominio che “fanno apparire tali dichiarazioni come destituite di ogni fondamento”.

In realtà, Giovanni Paolo II “ha espresso molte volte e in occasioni di diversa natura il proprio pensiero in merito, sia in riferimento allo Stato di Israele ed ai suoi diritti, sia in riferimento agli obblighi nei confronti del popolo palestinese, nella chiara coscienza che la violenza e il terrorismo non portano alla pace”.  Al riguardo, la Sala Stampa elenca oltre venti interventi di Papa Wojtyla a condanna del terrorismo in Terra Santa. D’altro canto, si legge nella nota, “non sempre ad ogni attentato contro Israele è stato possibile far seguire subito una pubblica dichiarazione di condanna, e ciò per diversi motivi, tra l’altro per il fatto che gli attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde”.

E ancora, prosegue la dichiarazione della Sala Stampa vaticana: “Così come il Governo israeliano comprensibilmente non si lascia dettare da altri ciò che esso deve dire  nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive da alcun’altra autorità circa l’orientamento ed i contenuti delle proprie dichiarazioni”. Anche nel ricordare gli inalienabili diritti del popolo palestinese, ricorda la Sala Stampa vaticana, il Pontefice ha “ripetutamente stigmatizzato con parole inequivocabili l’inammissibilità dei metodi violenti che, mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione civile israeliana, hanno impedito le iniziative di pace poste in atto, lungo i trascorsi cinque lustri, da sagge forze politiche sia israeliane sia palestinesi”. “Le affermazioni contrarie alla verità storica – conclude la nota – possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti, e certo non servono a migliorare la situazione”.

L’attacco da parte del funzionario israeliano nei confronti di Giovanni Paolo II ha destato scalpore, tuttavia la polemica avrebbe anche altre motivazioni. Lo sottolinea, al microfono di Alessandro Gisotti, padre David Jaeger, francescano israeliano, ritenuto tra i maggiori esperti giuridici sui rapporti Chiesa-Stato in Israele:
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R. - Bisogna capire innanzitutto che la causa di tutta questa crisi manufatta è banalissima: il fatto che da tempo il governo d’Israele non stia ai patti stipulati proprio con Giovanni Paolo II. Quindi, non è adempiente dell’accordo fondamentale siglato con la Santa Sede. Specificamente vengono in mente due gravissimi fatti. Il primo, nell’autunno dell’anno scorso, il governo d’Israele ha ufficialmente informato la Corte Suprema d’Israele di non ritenersi vincolato dall’accordo fondamentale. Il secondo fatto è che è divenuto difficilissimo persino fissare degli appuntamenti per i negoziati.

D. – Padre Jaeger, può soffermarsi su questo punto…

R. – L’ultimo appuntamento era stato fissato per il 19 luglio, nel quale il governo d’Israele doveva portare un documento che esponesse per iscritto la sua attuale posizione. Immediatamente prima di quella data il governo informa di non voler stare all’appuntamento. Accetta, però, in extremis di fissarne uno nuovo per il 25 luglio. Si vede che i funzionari che avrebbero dovuto stendere il documento non erano pronti neanche per quella data. Non potendo, però, trovare alcun pretesto per annullare questo appuntamento, inventavano quella scusa, che è assurda, oltre ad essere violenta, cruda, senza precedenti, contro il Papa regnante. Annullavano poi l’appuntamento rifiutandosi di fissarne un altro, diventando a mio avviso, giuridicamente, forse formalmente inadempienti del trattato. Come spiegare ora l’inadempimento dei patti presi nei riguardi di Giovanni Paolo II, il più grande amico che il popolo ebraico abbia mai avuto, il Papa che ha allacciato i rapporti con Israele, anche assumendosi alcuni rischi, come si sa?

D. – Quali sono gli sviluppi possibili, secondo lei?

R. – Si richiedono da parte israeliana, a mio avviso, due passi. Il primo, sarebbe una richiesta di scusa senza riserve e senza qualificazioni al Papa regnante e alla memoria del Papa precedente. Questa è una cosa che loro possono fare, in modo molto facile. Io infatti non credo che il primo ministro abbia mai preso conoscenza di tutto quanto abbiano detto i funzionari. Secondo, un impegno del governo israeliano di stare ai patti, di rispettare i patti presi, che sono due accordi, due trattati internazionali. Se il governo d’Israele adesso prendesse queste due iniziative, a mio avviso, il rapporto si potrebbe salvare. E chi sia stato responsabile di questa crisi manufatta, gratuita, si assumerà le proprie responsabilità.
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E l’auspicio che questo momento di tensione tra Santa Sede ed Israele si sciolga quanto prima viene espresso da Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, che – intervistato da Alessandro Gisotti – sottolinea l’atteggiamento sempre limpido tenuto da Giovanni Paolo II nei confronti del popolo ebraico:
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R. – È indubbio che l’atteggiamento di Papa Wojtyla sia per quello che riguarda il rapporto con il mondo ebraico, sia anche rispetto alla specificità della condanna del terrorismo, è stato un atteggiamento limpido. Non ritengo che sia fondata questa posizione del funzionario israeliano. Occorre comprendere, però, alcune cose riguardo all’attentato di Netanya. Questo attentato ha rotto un po’ la tregua che si era venuta consolidando da parte dei gruppi palestinesi armati ed è avvenuto nel momento in cui sta per essere avviato il ritiro da Gaza.

D. – C’è quindi, secondo lei, questo aspetto di fondo… un momento di particolare tensione?

R. – È un momento di particolare tensione in cui la sensibilità è molto alta. La mia opinione, molto sommessa, perché io non sono certo uno che può dare né consigli agli israeliani né consigli alla Santa Sede, è che forse conviene un po’ cercare di abbassare i toni di questa polemica e cercare di lavorare in positivo per cogliere appieno le chances di questa finestra di opportunità che pare aprirsi in questo momento con questo ritiro e con la possibilità, molto contrastata – ripeto – tra le due parti e non solamente dentro di Israele di riprendere questo cammino verso la pace. 

   
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