Il cardinale Carlo Maria Martini sogna Gerusalemme ma per ora resta ben ancorato ai problemi di Milano. In questa intervista rilasciata a "Confronti", ragiona dell'Europa, dell'ecumenismo, del dialogo interreligioso. L'Europa ha diverse radici; una politica che non guardi ai minimi è solo dominio e potenza.

Il volo non è stato prenotato e l'agenda dei prossimi mesi è bella fitta come sempre. Il cardinale Carlo Maria Martini è ancora a Milano, nonostante a metà febbraio abbia compiuto settantacinque anni, abbia conseguentemente trasmesso al papa la sua lettera di dimissioni e tante volte abbia detto di volersi ritirare a Gerusalemme. Del resto la sua non è una partenza facile sia per quello che lascia che per quello che troverebbe nella città santa. Milano ha mostrato di amare il suo arcivescovo; come si ricorderà nei mesi scorsi, quando si avvicinava la data delle sue dimissioni, circolarono vari appelli perché restasse nella "sua" diocesi: imprenditori come Cesare Romiti e Marco Tronchetti Provera, politici come il sindaco Albertini, magistrati come Borrelli, giornalisti come De Bortoli presero carta e penna per convincerlo a restare. Una bella prova di affetto per una città pragmatica e disincantata come Milano: ancora più significativa pensando alle parole di Martini sul "decadimento" della città che tanto inquietarono l'establishment cittadino.
Quanto a Gerusalemme, in questi giorni non è certo il posto in cui è più facile pensare allo studio ed al raccoglimento spirituale. Ancora milanese, quindi, il cardinale Martini ci ha concesso questa intervista che abbiamo voluto centrare sull'Europa. Per diverse ragioni: innanzitutto perché è un tema "martiniano", sviluppato anche in una serie di interventi raccolti sotto il titolo "Sogno un'Europa dello Spirito" (Piemme, 1999); poi perché è a Milano e nei suoi dintorni che si concentrano tanti euroscettici e gran parte dei nemici dichiarati dell'"Europa dei burocrati", dell'Europa "nazista" e "stalinista" come si è detto da autorevoli podi politici; inoltre perché proprio in Europa si gioca una complessa partita ecumenica, altro tema molto caro a Martini, come si ricorderà protagonista delle assemblee ecumeniche di Basilea e di Graz; infine perché in questi mesi, mentre si discute della costituzione europea, da parte cattolica emergono preoccupazioni e critiche contro un'impostazione laicista e disattenta alle radici cristiane del vecchio continente.
L'Europa, quindi, con le sue luci e le sue ombre, con le sue felici intuizioni e le sue tragedie.

Come guarda all'Europa? Con quale spirito?
Con quali preoccupazioni e quali attese?

Sin dal suo inizio, la storia dell'Europa è fatta di luci e di ombre, di intolleranze, crudeltà, guerre, ma anche di grandi gesti di eroismo, di santità e di solidarietà. È una storia simile al campo di cui si parla nel Vangelo, dove crescono insieme zizzania e buon grano. Tuttavia mi piacerebbe guardare alla storia d'Europa con l'occhio con cui la guarda il Signore, con cui la guarda la sua Provvidenza: saper trarre il bene anche dal male. L'Europa ha avuto una grande capacità di ripresa, di superare chiusure e intolleranze. In questo senso c'è stato un cammino certamente positivo. Guardo alla storia presente dell'Europa come un cammino irreversibile verso un'unità sempre maggiore, sia per necessità intrinseca all'Europa stessa, sia per esemplarità rispetto ad altre parti del mondo, sia come contributo a una pace mondiale, ed anche a quella che ormai si definisce governance mondiale dell'economia. E cioè al fatto che la globalizzazione, in quanto è inevitabile, sia guidata affinché non produca effetti perversi. Per questo occorrono realtà come l'Europa: una realtà che nasce dal consenso di uomini liberi, che mette insieme le forze e mira a ideali alti. Insomma all'Europa con fiducia.

L'Europa parla molte lingue anche sotto il profilo religioso. Esiste l'Europa cattolica, quella protestante, quella ebraica, quella islamica, quella laica… Come queste diverse identità potranno convivere costruttivamente senza produrre una Babele incomprensibile?

La stessa Babele, insieme all'aspetto negativo della confusione, vanta quello positivo della capacità di imparare a stare insieme tra diversi. E questo è già un aspetto interessante, che la diversità rende necessario: imparare a convivere; e per convivere bisogna avere dei punti di riferimento comuni. Penso che in Europa ci siano in abbondanza grazie a una tradizione che, pur diversificata, si concentra nel primato della persona, della sua libertà e della sua dignità. Primato che ha radici cristiane e traduzioni laiche che in fondo convergono. E tutti coloro che hanno a cuore la centralità della persona umana, dei suoi diritti e della sua dignità, della difesa del povero, del debole, dell'attenzione a coloro che sembrano non contare nulla, ai piccoli - quei piccoli che sono anche fiori del Vangelo, quei piccoli che sono i più grandi nel Regno dei cieli - in qualche modo si ritrovano nella tradizione europea che offre una occasione concreta di incontro tra linguaggi diversi. È chiaro che questi linguaggi devono imparare a dialogare. A non contrapporsi, ad andare a fondo oltre le polemiche per riuscire a far emergere questi valori che sono comuni ad ogni persona umana creata da Dio e per noi cristiani, vista nella gloria della resurrezione. Una gloria ancora in parte nascosta ma che già opera con frutti di santità, di verità, di giustizia, così come Paolo descrive il Regno di Dio. In questo senso credo che ci sia la possibilità di unire i linguaggi, anche rispettando le singole identità e non forzandole verso una unitarietà che, almeno al momento, sarebbe contro la storia.

Ma lei sa bene, Eminenza, quanto siano forti, in Europa e anche in Italia, delle spinte in direzione opposta: le piccole patrie, i localismi, i particolarismi, l'euroscetticismo…

Questo tipo di progetti e di linguaggi che appaiono in diverse nazioni europee mi preoccupano perché non sembrano cogliere il vero cammino dell'unità europea che non è né uniformità né abolizione delle nazionalità, ma piuttosto un progetto teso a mettere insieme delle differenze per scopi comuni. E per questo bisogna rinunciare a qualche proprio privilegio e tenere presenti i più piccoli e i più poveri. Se non c'è questa attenzione non c'è vera politica. C'è solo potenza e dominio. E questo fa paura, perché alla fine è quello che produce le guerre. Ma l'Europa, grazie a Dio, sembra andare in una direzione piuttosto diversa e spero che queste voci non prevalgano.

Uno dei temi oggi in discussione è quello delle radici cristiane dell'Europa. C 'è chi le rivendica; c'è chi, invece, sottolinea che l'Europa di oggi non è figlia solo della cristianità ma anche della modernità, del pensiero laico, della cultura democratica. Lei come vede il rapporto tra la tradizione religiosa e lo spirito laico della cultura europea?

L'Europa ha molte radici. Non si può negare però che soprattutto nel momento nascente, tra il sesto ed il dodicesimo secolo, il cristianesimo sia stato il collante forte che ha saputo integrare, rispettare e valorizzare altre radici, quella greca, quella romana e così via. Queste radici hanno avuto anche una storia di dialogo tra loro. Ci sono poi alcune radici cristiane che si sono poi tradotte in valori laici che hanno esaltato il primato e la dignità della persona: radici laiche e cristiane insomma non andrebbero contrapposte ma considerate in quanto convergono nel primato dell'uomo e in quanto sono espressioni di libertà che si attuano in maniera diversa ma non contrapposta, non distruggendosi l'un l'altra ma dialogando reciprocamente.

L'Europa non avvicina solo i popoli: potrebbe avvicinare anche le culture e le fedi. Qual è il suo bilancio dell'ecumenismo in Europa?

L'Europa è un luogo classico dell'ecumenismo. Così come le divisioni tra le chiese, anche l'ecumenismo è iniziato qui, è qui che ha avuto la sua prima grande storia. Grazie a Dio - dobbiamo proprio dire così perché l'ecumenismo è una grazia di Dio - possiamo dire che è un cammino irreversibile. Potrà avere degli arresti, delle sofferenze, ma è irreversibile e non può non andare avanti. Certo i passi sono lenti, non sappiamo se vedremo dei risultati soddisfacenti sotto il profilo umano, ma il fatto stesso di perseverare nella tensione ecumenica è già un dono di Dio, è già una grazia che viene dall'alto. Perciò ho fiducia in questo cammino.

Eppure oggi c'è un problema che si annuncia molto serio: le tensioni tra Roma e Mosca dopo la decisione vaticana di elevare al rango di diocesi le sue amministrazioni ecclesiastiche in Russia. Oggi appare un ostacolo al dialogo ecumenico.

Purtroppo è un momento doloroso. Sarebbe stato auspicabile che non sorgessero questi malintesi e queste sofferenze. Solo pochi giorni fa sono stato a Belgrado, a visitare la chiesa serba, molto legata a quella russa. E ho potuto vedere che, pur avvertendo anche loro queste sofferenze, sono stato comunque accolto con grande amabilità ed apertura sia dalla Facoltà teologica ortodossa, sia dal patriarca, dai monasteri, dai vescovi. Vuol dire che questo non impedisce il cammino: da molti anni sono buon amico del patriarca Alessio, che ho conosciuto al tempo delle nostre comuni responsabilità europee, e so che è un uomo che vuole il dialogo. Rispetto al problema che lei pone, ci sono vari aspetti da approfondire: se ne è parlato in diversi congressi ecumenici europei. Uno di essi è quello della giurisdizione canonica che in Russia, ad esempio, non riguarda solo la presenza cattolica ma anche quella delle chiese riformate. Mi riferisco all'idea di alcune chiese che sul loro territorio vi sia una unica giurisdizione canonica e che le altre presenze religiose siano al massimo ospiti. Pur rifiutando tutti il proselitismo - che è voler conquistare fedeli avvalendosi di ogni mezzo, persino del denaro - riteniamo che la libertà religiosa debba essere invece promossa. Certo, date le particolari sensibilità si deve operare con molta prudenza e forse certi passi dovrebbero aspettare il momento opportuno per essere mossi. Ma il cammino deve essere quello della libertà religiosa che deve essere garantita a tutti.

La giornata di preghiera di Assisi del 24 gennaio ha rilanciato il tema e la sfida del dialogo interreligioso: non è un tema facile per un'Europa che ad Est comprende i Balcani ed a Sud guarda al Vicino Oriente. Eminenza, è davvero convinto che il dialogo interreligioso possa agevolare la via della pace?

Queste cose avvengono e sono drammatiche. Ma avvengono perché non c'è sufficiente dialogo, perché non ci si crede abbastanza. Certo, non solo per questo ma anche per questo. È quindi importante che le religioni si conoscano, si stimino, si apprezzino, collaborino per quanto possono per la pace, la salvaguardia del creato, la giustizia. E così si creeranno alcune premesse per impedire il moltiplicarsi dei fatti di sangue che hanno anche altre radici, diverse da quelle religiose. Solo così, come si è voluto dire ad Assisi, si toglierà ogni pretesto religioso per qualunque atto di violenza o di terrorismo, assolutamente inaccettabile. Del resto, recentemente è uscito un decalogo della pace (si veda la scheda in questa pagina) che ribadisce quegli impegni presi ad Assisi: non solo non tollerare lo scontro tra le religioni, ma neanche la giustificazione di un qualunque atto di violenza di una parte religiosa. Se tutto questo è promosso avrà qualche frutto, anche se ci sono forze negative che vogliono distruggerli.

Eminenza, tante volte lei ha espresso la sua intenzione di ritirarsi a Gerusalemme. Qual è il senso di questo desiderio?

Non ha delle ragioni logiche. Ha delle ragioni carismatiche: come dice il Salmo, "ciascuno è nato in essa" e io, quando vado a Gerusalemme, quando alla sera contemplo le mura intorno alla città sento chiaramente che "io sono nato qui", che le "mie radici sono qui". Per questo desidero passare gli ultimi anni della mia vita presso queste radici, in silenzio e in preghiera, riprendendo i miei studi biblici. Questo è qualcosa che sento: la affido alla Provvidenza sperando che mi sarà possibile realizzarla.

In questi giorni a Gerusalemme si spara. Non ha paura?

Non mi preoccupano i rischi per la mia persona: mi preoccupano le sofferenze della gente.


A cura di Paolo Naso

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[Fonte: confronti.net - aprile 2002]


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