Dinamite contro le chiese a Mosul


Dopo gli attentati in agosto e in ottobre, all’inizio del ramadan, un nuovo attacco contro la comunità cristiana: «Ci hanno radunati tutti in una stanza. Poi siamo stati portati fuori e abbiamo sentito gli scoppi» Sventato in extremis il rapimento delle studentesse di un liceo di Baghdad: gli estremisti puntavano al rinvio del voto - precedente di agosto
Patriarca Caldeo Delly  - Nunzio apostolico a Bagdad

Dinamite contro due chiese a Mosul, nel Kurdistan iracheno. Non autobombe fatte detonare a distanza, come era avvenuto in agosto e a metà ottobre per l'inizio del ramadan nella stessa Mosul e a Baghdad, ma un assalto terroristico in pieno giorno con un messaggio intimidatorio ancora più brutale. 

Verso le 16,30 un commando è entrato in azione in una chiesa caldea nel centralissimo quartiere di Shifaa: «Uomini armati sono entrati nella chiesa e hanno radunato tutti i presenti in una stanza. Poi hanno posto delle cariche di esplosivo in diverse zone dell'edificio. Poi siamo stati portati fuori e hanno fatto esplodere le cariche. Abbiamo sentito tre esplosioni», ha raccontato padre Raghid Aziz Kara. 

Quasi contemporaneamente nella vicina chiesa armena del quartiere Wahda, che avrebbe dovuto essere inaugurata l'Epifania, un secondo commando costringeva a uscire il custode e altre due persone nell'edificio per poi far detonare altre cariche esplosive. Ingenti i danni, ma per fortuna nessun ferito. Cronache da pulizia etnica che rientrano in una vasta strategia della tensione in vista delle elezioni del 30 gennaio. Lo conferma la notizia che la Guardia nazionale ha sventato il sequestro delle studentesse di un liceo femminile a Baghdad nel quartiere di Daura. Solo un rastrellamento avvenuto lunedì mattina quando un gruppo di ribelli aveva già occupato la scuola ha evitato una Beslan irachena.

I guerriglieri, come contropartita, chiedevano proprio il rinvio delle elezioni. Un appuntamento ritenuto improrogabile, come ribadito ancora lunedì da Bush, ma su cui anche il governo provvisorio di Baghdad è stato costretto ad ammettere qualche difficoltà. Le elezioni «si terranno, come previsto, a partire dal 30 gennaio ma saranno probabilmente scaglionate su 15 o 20 giorni», ha dichiarato il premier ad interim Iyad Allawi in un'intervista al quotidiano belga Le Soir. Si tratterebbe di fissare date diverse per ogni provincia «in modo da installare disposi tivi di sicurezza adeguati», ha precisato. Il premier ritiene stabilizzate 14 o 15 delle 18 province: se registra violenze a Mosul, nella provincia di Anbar e in alcune zone di Baghdad, tutto è calmo «a Sadr city (il quartiere sciita della capitale), a Najaf e a Karbala dove la ricostruzione è in corso». Al momento - lo rileva la France presse - in molte zone rurali non è giunta nessuna istruzione sulla compilazione delle liste elettorali e sulle modalità di voto, ma il premier provvisorio ostenta ottimismo: «I terroristi non sono così resistenti. Gli stiamo spezzando le reni».

Un ottimismo certo non condiviso da tutti nella comunità internazionale, a partire dal presidente russo Vladimir Putin che incontrando ieri al Cremlino lo stesso Allawi ha affermato: «Non riesco a immaginare come sia possibile organizzare elezioni in un Paese sotto occupazione straniera. Non posso immaginare come voi possiate normalizzare la situazione in modo da evitare la disintegrazione».

Intanto continua a crescere il costo in vite umane di questo infinito dopoguerra: con il marine caduto ieri nella provincia di al-Anbar è salito a mille il numero dei militari americani caduti in combattimento dall'inizio del conflitto. Un prezzo alto anche per il Pentagono tanto che il generale John Abizaid, comandante delle forze americane nella regione, ha dichiarato al Washington Post che già all'inizio del prossimo anno potrebbero cambiare i compiti delle forze statunitensi a fronte di un rafforzamento delle forze di sicurezza irachene. Bilanci difficili e scomodi anche per il super alleato Tony Blair: quarantaquattro diplomatici e pari di sua Maestà hanno sfidato il premier inglese a rendere pubblico il numero delle vittime civili in Iraq. «Il governo - scrivono - ha il dovere di proteggere i civili», ma Blair ha sinora respinto tutti i bilanci senza mai fornirne uno proprio.

Patriarca Delly: “Distrutto il più bel simbolo della Chiesa caldea irachena”
                                                                                                           
torna su

I terroristi “hanno distrutto il più bel simbolo della Chiesa caldea in Iraq” e ora fra i cristiani la paura “è aumentata” perché temono il ripetersi di “simili episodi di violenza".

Il patriarca cattolico caldeo Emmanuel Delly commenta con amarezza il nuovo episodio di violenza in Iraq: “Nel pomeriggio (erano le 16.30 a Mosul, ndr) un gruppo di terroristi ha attaccato il vescovado caldeo. Hanno piazzato una bomba e lo hanno fatto saltare in aria. L’edificio è andato completamente distrutto”.

Mons. Delly sottolinea che quello di Mosul era “il più bel vescovado del nord dell’Iraq”. Il commando “è penetrato all’interno dell’edificio e ha fatto uscire i sacerdoti e gli operai che stavano lavorando”, poi lo hanno fatto “saltare in aria”.

Il patriarca cattolico conferma che non ci sono morti né feriti, ma si dice molto preoccupato per questo gravissimo episodio di violenza. Egli sottolinea l’impotenza del governo iracheno che “di fronte a simili episodi non può fare nulla” e conferma la paura fra la gente. “I cristiani sono ancora più preoccupati perché temono il ripetersi di altri episodi di violenza simili a questo. Mi auguro che la Madonna ci dia il coraggio di continuare il nostro cammino”.

Fonti cristiane di Mosul riferiscono che anche i musulmani della città hanno in grande considerazione la chiesa colpita: “Durante la guerra Iran – Iraq” racconta una donna cristiana di Mosul “ho visto con i miei occhi molte donne musulmane pregare davanti alla statua della Madonna per i loro figli al fronte”.

La diocesi cattolica caldea di Mosul, guidata da mons. Paulos Faraj Rahho, conta 35 mila fedeli e 12 parrocchie. I preti diocesani sono 22, 8 i religiosi e 20 le religiose.

Nunzio a Bagad: attacco grave e vigliacco                           torna su

 “Sono attacchi gravissimi e vigliacchi contro istituzioni e simboli cristiani che non hanno la possibilità di difendersi”. Lo afferma mons. Fernando Filoni, nunzio apostolico a Baghdad commentando ad AsiaNews l’attacco all’arcivescovado e alla chiesa cattolica di rito armeno a Mosul.

Mons. Filoni sottolinea che la chiesa armena “doveva essere inaugurata in occasione del Natale” e questo dimostra l’assoluta “mancanza di rispetto per i luoghi sacri e per le persone” che è al fondo delle violenze dei terroristi.

Il nunzio apostolico afferma che il vescovado di Mosul “già da tempo era oggetto di minacce” che oggi si sono “puntualmente concretizzate”, ad ulteriore dimostrazione “dell’assurdità” e della premeditazione di questi episodi.

“I terroristi” sottolinea mons. Filoni “non hanno alcun rispetto per i luoghi sacri”. Riferendosi agli attacchi americani a Fallujah, essi “hanno minacciato che per ogni moschea attaccata sarebbe stata distrutta una chiesa. Questi atti nascondono una violenza esasperata” che colpisce in particolare “chi non ha modo di difendersi”.

Il nunzio non crede che ci sia un legame fra l'inasprimento delle violenze e l'Avvento e ribadisce che “questa gente vuole solo colpire” i luoghi sacri; per il futuro egli dichiara di “non poter ipotizzare se e quando ci saranno nuovi attacchi”, ma sottolinea che in Iraq “di questi tempi il clima non è buono”.

_____________
[Fonti: Avvenire; AsiaNews del 7 dicembre 2004]

  | home | | inizio pagina |