Bagdad, il ponte dei cristiani
Daniele Zappalà, da Parigi, su "Avvenire" del 15 ottobre 2005

La nuova Costituzione e il dialogo con l'islam: parla l'esperto Joseph Yacoub. «Una presenza antichissima che ora è a rischio»


«I cristiani d'Iraq nutrono un profondo amore per la loro terra, l'antica Mesopotamia, e molti dei rifugiati in Giordania e Siria sperano già di tornare». Per Joseph Yacoub, professore all'Università Cattolica di Lione e autore di un saggio sul destino dei cristiani iracheni presto disponibile anche in Italia per Jaca Book (s'intitolerà Cristiani in Iraq e uscirà nell'aprile 2006), gli equilibri futuri dell'Iraq dipenderanno moltissimo dalla presenza della comunità cristiana: «Per tutto ciò che porta dentro di sé, compreso un progetto di coesistenza civile, essa incarna molte delle speranze del Paese».
Professor Yacoub, cosa distingue a livello storico i cristiani d'Iraq?
«Si tratta di una cristianità autoctona, apostolica e missionaria. È nata in terra mesopotamica ed è erede degli antichi fondatori della civiltà assira, babilonese e caldea che sono divenuti cristiani e non hanno mai lasciato il territorio. Sono stati gli apostoli a predicare per primi il cristianesimo in Iraq, a cominciare da Tommaso. È per questo che il 3 luglio, festa di san Tommaso, coincide con la data di fondazione della Chiesa di Mesopotamia. In terzo luogo, fin dai primi secoli la comunità ha diffuso il messaggio cristiano nel continente asiatico dal Mediterraneo orientale fino alla Cina. Questa chiesa ha conosciuto la sua età aurea fra il VII e il XII secolo, quando ha abbracciato un'estrema varietà di popoli e meticciati culturali contando oltre 60 milioni di fedeli. Altra specificità è quella di parlare la lingua di Cristo, l'aramaico, che resta la lingua liturgica. Quella mesopotamica è in assoluto una delle più antiche liturgie e la comunità, poi, fu la prima ad entrare in comunione con Roma a partire dal 1552».
A livello sociale, che ruolo hanno svolto i cristiani nei decenni del regime baathista?
«Sociologicamente, molti cristiani appartengono ai ceti medi colti. Dunque, tanti insegnanti, avvocati, medici, professionisti, giornalisti. Sui 5 milioni di abitanti di Baghdad, mezzo milione è cristiano, con circa una quarantina di chiese. Se come minoranza sono rimasti ai margini della vita politica, a parte alcuni casi, i cristiani sono da sempre uno straordinario ponte di cultura e civiltà. Sono stati loro a tradurre in arabo il pensiero greco passando per l'aramaico, così come spesso il pensiero arabo verso l'Occidente. Quest'apertura al mondo e la presenza fra loro di tanti poliglotti, li ha trasformati in un fattore di dialogo fra Occidente e Oriente. Questo ruolo è vero a maggior ragione oggi. Personalmente, resto sempre colpito dalla mole di pubblicazioni, fra cui tante traduzioni, dovute nonostante tutte le difficoltà ai cristiani di Baghdad ma anche di Mosul e di altri villaggi. Pubblicazioni dalla prospettiva umanistica e universale».
Nell'attuale fase, l'identità bimillenaria di questa comunità è a rischio?
«È inutile negare l'evidenza. La situazione resta abbastanza inquietante. I cristiani pagano come gli altri l'attuale confusione e come minoranza, per di più, restano politicamente senza difesa. Negli ultimi anni, molti hanno preso la via dell'esilio. È però vero che i responsabili civili e religiosi incitano la popolazione a restare, per evitare una dispersione che questa volta rischia di essere irreversibile. Esiste oggi un ruolo attivo dei cristiani per evitare che il Paese assuma un orientamento troppo nettamente islamista. Penso soprattutto alla Costituzione irachena adottata lo scorso agosto e su cui ci sarà il referendum proprio oggi. In mezzo agli articoli positivi, ve ne sono altri che preoccupano».
Si dice che i diritti dei cristiani e delle altre minoranze non siano sufficientemente tutelati. È d'accordo?
«Ci sono punti positivi, a cominciare dal fatto che i cristiani siano menzionati e che i diritti religiosi siano esplicitamente garantiti. Il testo dice inoltre che l'aramaico, definito come "lingua siriaca", sarà una lingua ufficiale nelle unità amministrative dove i cristiani rappresentano una maggioranza compatta, cioè soprattutto nella Valle di Ninive. Ma c'è anche una certa ambiguità, dato che la Costituzione difende talvolta punti di vista fra loro contrari, in particolare per quanto riguarda lo status dell'islam».
In che senso?
«L'islam è la religione ufficiale di Stato e si sostiene che si tratta della fonte principale della legislazione e che nessuna legge potrà essere adottata se si oppone alle costanti dei precetti dell'islam. Nello stesso articolo, il comma successivo prevede un analogo divieto di adozione per leggi contrarie ai principi democratici. C'è ambiguità e in proposito il Consiglio dei vescovi cattolici d'Iraq riunitosi sotto la presidenza di monsignor Emanuel Delly, patriarca della Chiesa caldea, ha espresso un mese fa timore e inquietudine rispetto all'articolo 2 della Costituzione».
Esiste il rischio di introduzione della sharia nel Sud a forte maggioranza sciita?
«Sì, se il primo comma prevarrà nelle future interpretazioni sul secondo. Un altro articolo inquietante prevede poi che la Corte suprema federale sia costituita da giuristi ma anche da esperti in giurisprudenza islamica. I responsabili cristiani hanno chiesto la soppressione di queste disposizioni, ma ci sono solo 5 deputati cristiani. Nella comunità, permane dunque uno stato di attesa e si confida anche in segnali dalla comunità internazionale. In quest'ottica, la diaspora è oggi molto attiva anche attraverso più di 400 siti internet».
 

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