Giovanni Cereti

Docente presso Istituto di Studi Ecumenici, Venezia 
e presso la Pontificia Facoltà teologica Marianum, Roma

Una formazione delle giovani generazioni a vivere in pace e in fraternità con tutti gli uomini nel mondo nuovo che si prepara per il terzo millennio deve insegnare a fare tesoro delle ricchezze di tutta l’umanità e quindi di tutte le culture esistenti sulla nostra terra. Questa formazione costituisce un arricchimento per la persona, che viene così messa in contatto con il patrimonio culturale e spirituale dell’umanità, e nello stesso tempo educa alla tolleranza, al rispetto di tutti, alla comprensione ed all’apprezzamento di tutte le culture.
In questa prospettiva, conoscendo il ruolo centrale svolto dalle religioni che costituiscono in qualche modo l’anima delle diverse culture, appare certamente auspicabile lo sviluppo di una formazione alla conoscenza delle religioni o forse meglio del fenomeno religioso, e questo a prescindere dall’attuale insegnamento della religione cattolica, che potrebbe essere comunque conservato a fianco di altri insegnamenti confessionali in un ambito più facoltativo e opzionale, analogo a quello in cui si trova attualmente.
Invitato ad esporre il punto di vista della chiesa cattolica intorno alle tematiche affrontate in questi giorni, mi limiterò alle seguenti osservazioni, delle quali in ogni caso porto la responsabilità a titolo personale.

  1. La prima osservazione riguarda l’insegnamento religioso nella scuola. Molti dibattiti ci sono stati e ci sono ancora oggi nella comunità cattolica intorno a quella che può essere la soluzione migliore, e mentre alcuni volevano formare soprattutto alla conoscenza del fatto e del sentimento religioso, come sentimento umano universale, altri proponevano l’insegnamento della storia delle religioni, e altri, che di fatto poi hanno prevalso, un insegnamento religioso cattolico. Questa scelta è stata anche dettata dal desiderio di non invadere indebitamente il campo di altre religioni e insieme di rispondere a quello che sembra essere il sentimento religioso della maggioranza. Non sono comunque il solo a ritenere che, nella sistemazione attuale, l’insegnamento della religione appare insufficiente e al limite controproducente. Dopo un dibattito che si è prolungato per un anno in seno a un gruppo di riflessione che si era costituito nel 1975 su questo tema, si era concluso che l’ideale era offrire la conoscenza delle Scritture sacre delle diverse religioni, e, nella situazione specifica dell’Italia, offrire un insegnamento scientifico ed obiettivo soprattutto delle Scritture sacre ebraiche e cristiane; sia perché esse costituiscono una delle due grandi sorgenti, a fianco della componente greco-latina, della nostra cultura italiana ed europea, sia perché anche in altri campi (arte, letteratura, filosofia) lo sguardo si volge soprattutto a ciò che più da vicino è vissuto nella nostra cultura. Questa proposta, che venne esposta anche in un articolo firmato da Anna Maria Marenco e da me e pubblicato sulla Rivista Il Regno nel giugno 1976, venne ripresa successivamente dal movimento Biblia e potrebbe essere meglio precisata, in un dialogo approfondito e aperto fra tutte le comunità religiose presenti sul territorio italiano, al di fuori di ogni polemica e avendo di mira solo ciò che giova al bene delle giovani generazioni.

  2. Da un punto di vista cristiano cattolico, vorrei continuare il discorso in questa linea, ricordando come il cristianesimo riconosca di avere una duplice componente: Ecclesia ex Israel, ed Ecclesia ex gentibus

    Roma - S. Sabina -  Mosaico V Sec.
    Ecclesia ex circumcisione - Ecclesia ex gentibus

    Il mosaico del V secolo, nella Chiesa di S. Sabina in Roma, è un'importante testimonianza di come le due Chiese all'epoca ancora coesistessero, l'una con in mano l'Antico Testamento, l'altro con il Nuovo, ma rivolte l'una verso l'altra in evidente atteggiamento di dialogo [Nota della Redazione]

    Dal punto di vista numerico, la chiesa proveniente dai popoli pagani venne rapidamente a prevalere, e le comunità giudeo-cristiane, che oggi sappiamo essere sopravvissute almeno sino al quarto secolo, vennero progressivamente ad estinguersi. E tuttavia, come ricorda il libro del card. Martini, "Israele radice santa", per i cristiani la vera radice, la radice santa, è proprio il popolo d’Israele. È da questa radice che il cristiano riceve le Scritture del Primo Testamento, riceve Gesù, Maria, gli apostoli, la prima comunità cristiana. In particolare, il cristiano si sente radicato senza soluzione di continuità in una storia di rivelazione e di salvezza ebraico-cristiana. In questo senso, il cristiano sente l’ebraismo non come estraneo, ma come una parte preziosa e intima della propria eredità (e legittimamente, in quanto almeno una parte del popolo d’Israele è entrato nella comunità cristiana primitiva, portando con sé il proprio patrimonio di libri sacri, la liturgia, l’organizzazione delle comunità, ecc.). Marcione, che intendeva escludere la rivelazione e i libri sacri del Primo Testamento e contrapponeva al Dio d’Israele il Dio di Gesù, è stato condannato nella comunità cattolica già nel secondo secolo. In questo senso, un’autentica formazione cristiana comporta soprattutto oggi anche una formazione alla conoscenza, al rispetto e all’amore nei confronti del popolo ebraico.

  3. Il cattolicesimo e il cristianesimo si sono sentiti in un certo senso più estranei all’ebraismo post-biblico: è infatti vero che in passato l’interesse dei cristiani all’ebraismo si concludeva spesso con l’epoca del Nuovo Testamento e con gli avvenimenti dell’anno 70. Tuttavia la storia dei cristiani è sempre stata strettamente intrecciata a quella degli ebrei. Essi hanno continuato ad abitare negli stessi luoghi, hanno condiviso la stessa fede in un Dio Creatore e misericordioso, e per lunghi periodi hanno avuto modo anche di apprezzarsi reciprocamente e di convivere pacificamente. Purtroppo, con il passare dei secoli, le relazioni non sono migliorate e l’estraneità reciproca è cresciuta, sino a giungere alle tante forme di persecuzioni e di discriminazioni che la storia ci testimonia. Questa relativa estraneità o addirittura questa ostilità ha cominciato tuttavia ad essere superata con le prese di coscienza che hanno fatto seguito agli eventi degli anni trenta e quaranta del nostro secolo e che hanno determinato una radicale svolta nella coscienza dei cristiani. Anche da un male assoluto come gli eventi della Shoah Iddio ha forse saputo trarre qualche bene per la crescita della coscienza umana: e fra questo bene c’è anche il nuovo atteggiamento dei cristiani nei confronti degli ebrei, che ha portato a un riconoscimento del profondo legame che unisce la chiesa a Israele sin dalle sue origini. Questo legame è stato affermato soprattutto con la Dichiarazione Nostra Aetate del concilio Vaticano II, ma anche con molti altri documenti comparsi negli anni successivi, molti dei quali sono stati raccolti in italiano dalla prof. Lea Sestieri e dal sottoscritto nel volume "Le chiese cristiane e l’ebraismo", edito da Marietti nel 1983.

  4. Il cattolicesimo per definizione è ‘cattolico’, cioè vorrebbe essere aperto all’universale, aperto al tutto. In questo senso, anche se nel tempo esso aveva perso contatto con la radice ebraica, fa parte della autenticità cattolicità l’apertura all’ebraismo, così come a tutti gli altri valori presenti nelle diverse culture e religioni. Quindi una formazione cristiano cattolica dovrebbe essere nello stesso tempo una formazione al pluralismo culturale; e questo non in termini imperialistici, ma di scambio e di comunione: il cristiano si ritiene in comunione con tutte le ricchezze dell’umanità, avverte una profonda comunione con tutti gli uomini e con i valori di cui essi sono portatori. Nulla di ciò che è umano è sentito come estraneo, tutto appartiene alla buona creazione di Dio e per il cristiano è stato redento in Cristo. Restringere in qualsiasi modo i propri orizzonti è quindi restringere nello stesso tempo quella cattolicità a cui il cristiano ritiene di sentirsi chiamato.

  5. Oggi è indispensabile questa apertura al pluralismo, nella società plurietnica, pluriculturale e plurireligiosa nella quale entriamo ogni giorno di più. Il rispetto di ogni minoranza è semplicemente un atto di giustizia dovuto. Vorrei tuttavia fare un’affermazione riprendendo indicazioni di Anna Foa di ieri, e citando un documento approvato all’assemblea di Evanston del 1954 del Consiglio Ecumenico delle Chiese. "La frustrazione delle maggioranze non è meno contraria alla giustizia dell’oppressione delle minoranze". Anche la maggioranza ha dei diritti. Come appartenente a questa maggioranza, che in ogni caso diventa sempre meno tale e che si sente sempre più in situazione di diaspora, ho per esempio la sensazione che oggi in Italia i simboli cristiani e cattolici siano irrisi, soprattutto da parte del cinema o di altri mass-media, con una libertà che non si oserebbe avere nei confronti di simboli musulmani, o ebraici, o buddisti. In Italia è necessaria una educazione al rispetto di tutti, e all’apprezzamento dei valori di tutti. Un’educazione alla verità e alla giustizia impedisce inoltre di presentare la propria comunità come avente tutti i pregi, in contrapposizione ad altre comunità di cui si mettono in evidenza soprattutto i difetti o gli errori commessi nel corso della storia; così come impedisce di contrapporre all’ideale (non realizzato) della propria comunità la realtà, spesso assai più precaria dell’ideale, delle altre comunità. Questo vale nei rapporti fra le chiese cristiane, così come nei rapporti fra tutte le religioni. Non si può essere manichei, pensando che tutto il bene è da una parte, e tutto il male dall’altra: sappiamo quanto nella storia umana tutto è profondamente mescolato e come possono esistere abissi di santità e di dedizione ma anche di intolleranza e di oppressione in tutte le tradizioni religiose.

  6. La conclusione è ancora in sintonia con quanto diceva Anna Foa: bisogna ricostruire insieme la storia, con il massimo di obiettività possibile. Questo ripercorrere insieme la storia può consentire anche una migliore conoscenza reciproca, e può aiutare a capire, ponendosi nella prospettiva dell’altro, quello che l’altro ha vissuto e vive nella sua esperienza umana e religiosa. La conoscenza reciproca costituisce sempre la premessa indispensabile per potersi apprezzare ed amare reciprocamente. In questa prospettiva, il fatto che il programma dell’Amicizia Ebraico - Cristiana per anni abbia presentato solo tematiche dell’ebraismo, per far conoscere l’ebraismo ai cristiani e non viceversa, l’ ho sentito a lungo come un fatto molto prezioso per noi ma troppo unilaterale, perché anche i cristiani desiderano essere conosciuti meglio dagli ebrei o comunque dai credenti delle altre religioni o dai non credenti. Anche se è vero che è più facile che quanti appartengono a una minoranza conoscano ciò che vive la maggioranza piuttosto che il contrario, resta comunque il fatto che è molto difficile andare al di là delle apparenze per entrare nella comprensione profonda di quello che vive e che sente l’altro. L’educazione alla multiculturalità, all’ interculturalità, deve aiutare i giovani a comprendere dall’interno quello che vivono, quello che sentono, quello che pensano coloro che appartengono alle minoranze e alle maggioranze della nostra umanità, per potere disporre tutti ad accogliere meglio e ad amare di più anche coloro che apparentemente sono diversi da noi ma che tutte le religioni insegnano a considerare come fratelli e sorelle appartenenti all’unica famiglia umana.


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