Turchia, cinque ragazze affogano: gli imam impediscono di salvarle

Affoghiamo, salvateci: gridavano a squarciagola cinque ragazze, ma dalla riva alcuni integralisti islamici si sono rifiutati di soccorrerle, perché «Allah non vuole che uomini estranei tocchino una donna». Sono questi i nostri nuovi partners europei? Sicuramente non è bene fare di ogni erba un fascio; ma non si può nemmeno sottovalutare l'esistenza di questa visione della realtà, con cui sembra impossibile dialogare.  
>> Annebbiati dal catalogo dei precetti <<

É successo in Turchia, quando le ragazze, sedicenni, secondo quanto riferisce il giornale Hurriyet, erano andate al mare, nei pressi del villaggio di Urla, vicino a Izmir. Pur non sapendo nuotare avevano voluto fare il bagno e, su prescrizione dei loro insegnanti, erano entrate in acqua vestite. 

Quando hanno cominciato ad annaspare per il peso degli indumenti, si sono avvicinati alcuni uomini che stavano per gettarsi in mare e cercare di salvarle, ma i loro insegnanti (imam) hanno impedito loro di soccorrerle, gridando «Dio non vuole». 

Gli inquirenti hanno dovuto ricostruire la storia, avvenuta la settimana scorsa, basandosi su indagini tardive, perché i familiari delle ragazze non hanno sporto denuncia ed hanno coperto con l'omertà i responsabili della scuola, facendo passare la storia per un incidente. Il padre di una delle ragazze annegate ha commentato l'episodio di omissione di soccorso (un crimine anche in Turchia) affermando: «La morte di mia figlia è stata volontà di Dio».

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Giuseppe Anzani

Quelle cinque ragazze annegate nel mare di Smirne a due passi dalla riva, mentre agli uomini che volevano salvarle veniva impedito di tuffarsi perché toccarle sarebbe stato impuro secondo il precetto religioso, sono un'immagine che ci pesa sul cuore come una doppia tragedia. La prima tragedia è la morte. La seconda è il seme di morte piantato nell'anima di persone «religiose», un seme che chiama questo delitto come obbedienza al volere di Dio. Ci vengono i brividi.

Sarebbe anche troppo semplice, fra costernazione e indignazione, fermarci al confronto tra culture, religioni e civiltà. C'è qualcosa di più radicale che ci percuote: è la «religione», è quel nome di Dio pronunciato a suggellare una disumana crudeltà. Sappiamo peraltro che parlare da cristiani a quegli imam di Smirne parrebbe loro un vaniloquio di infedeli. Ma da uomini a uomini dobbiamo parlare, col linguaggio della ragione e poi con le ragioni del cuore, che sono le risorse della comune e unica «humanitas», nostra e loro. E dire umanamente della religione e della fede, del sacro e del tremendum, del puro e dell'impuro, del precetto e della coscienza, dell'esperienza umana che si rapporta a Dio.

È su questo sentiero terrestre che possiamo analizzare insieme i nostri vissuti religiosi, così connaturati all'intera storia delle generazioni umane, per saggiarne l'autenticità o i sedimenti corrotti. Serve anche a noi per primi, la fatica di questo cammino. Con l'avvertenza che parlare di Dio è per le forze umane un balbettio, e ricercarne il volere è anche immergersi nel profondo dell'interiorità, dov'è l'impronta della sua mano creatrice.

La prima insidia è questa: che nulla falsifica la religiosità come una immagine di Dio deturpata dai cattivi fantasmi delle nostre crudeltà. Scriveva il poeta R.M. Rilke: «nell'interminabile notte con insistente bussare ti cerco, o Dio; una parete sottile è fra noi, costruita dalle immagini». Non per nulla la prima Parola del decalogo ammonisce «Non ti farai falsi volti di Dio». E quale volto ha un Dio cinico e burocrate che vuole la morte di cinque ragazze perché portarle a riva è un contatto impuro? Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi, dice la Sapienza; e aggiunge che tutto il creato è puro. L'impurità è ciò che esce dal cuore degli uomini; il giuridicismo religioso, il formalismo ipocrita dei sepolcri imbiancati, il primato del sabato sull'uomo e contro l'uomo, il fondamentalismo sono la prima offesa a Dio, sono il territorio di una empietà primaria.

Dio è «il Misericordioso» dice il Corano. La sottomissione non è quella degli schiavi, ma delle creature amate nelle braccia della misericordia. Sicché quando il sacro prende l'aspetto terrificante che impone l'umiliazione e la distruzione dell'uomo («tantum religio potuit suadere malorum»), la ragione e il cuore e la coerenza teologale ci avvertono che ci stiamo allontanando da Dio. La legge è la legge, si usa dire. Ma la legge di Dio sull'uomo, uscito dalle sue mani, ha un articolo unico che si chiama amore. Quando il baricentro della religiosità non sta nella fede e nell'amore ma trasloca nei cataloghi dei precetti, dei divieti e delle trasgressioni e vi si seppellisce, vi è il rischio di adorare piccoli idoli in luogo di Dio. Lui ha messo nel cuore degli uomini la legge come via della vita, non come soffocazione. E se i dottori della legge soffocano l'uomo in nome di Dio non conoscono Dio né fanno la sua gloria. È l'uomo vivente, infatti, la gloria di Dio.
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[Fonte: "Avvenire" del 29 e 31 luglio 2004]

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