Roma, Parrocchia di Ognissanti - Le radici ebraiche della fede cristiana
     17 gennaio 2003 - Vittoria Scanu

 


L’ebraicità di Gesù

La madre di Gesù è una giovane ebrea, figlia di genitori ebrei che osservano gli insegnamenti della legge mosaica e partecipano al culto divino. Giuseppe, lo sposo di Maria, è un ebreo della stirpe di Davide. Gesù è quindi nato in una famiglia di ebrei osservanti ed è nato a Betlemme di Giudea, come aveva predetto il profeta Michea (5,1).

Il fatto che Gesù appartenga al popolo ebraico non è marginale, ma è essenziale, perché “Israele è il popolo sacerdotale di Dio, colui che ‘porta il Nome del Signore’. È il popolo di coloro a cui Dio ha parlato quale primogenito” e al quale Egli ha rivelato il suo disegno di redenzione per tutta l’umanità.

Ad Israele Dio ha donato la Torah, la sua Parola viva ed eterna che i Maestri ebrei definiscono il “bacio” di Dio agli uomini. Con Israele Dio ha stretto un’Alleanza perenne. “Voi siete miei testimoni, miei servi, che io mi sono scelto perché mi conosciate e crediate in me…Io, io sono il Signore, fuori di me non v’è Salvatore” (Is 43,10-11).

La professione di fede che gli ebrei fanno due volte al giorno, lo Shemà, così recita: Adonaj è il nostro Dio. Adonai è unico!”.

Adonaj è il Dio unico di Israele! Egli è il Dio dei Patriarchi, il Dio dei Profeti, il Dio dell’ebreo Gesù.

L’evangelista Matteo ritiene così importanti le origini ebraiche di Gesù da iniziare il suo Vangelo con la “Genealogia di Gesù Cristo (= Unto, Messia) figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda…”, e così fino ad arrivare a Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù.

Sempre Matteo, al capitolo 2 del suo Vangelo, narra che Gesù è ritenuto dai Magi il re dei Giudei: “Nato Gesù, al tempo del re Erode, alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: Dov’è il re dei Giudei che è nato? ” (Mt 2,1-12).

Vediamo ora brevemente qualche episodio significativo sull’ebraicità di Gesù:

  1. - Otto giorni dopo la sua nascita, Gesù viene presentato dai suoi genitori al tempio di Gerusalemme dove viene offerto al Signore e circonciso, secondo la Legge di Mosè (Lc 2,21). La circoncisione (Berith Milah = patto della circoncisione), anche ai nostri giorni, sancisce l’appartenenza di ogni bambino ebreo al popolo dell’alleanza.
  2. - Quando poi Gesù raggiunge l’età stabilita dalla Legge, diventa “figlio del precetto” col rito del bar-mizvah, che segna l’ingresso nel mondo degli adulti di ogni ragazzo ebreo. Il Vangelo di Luca riporta l’episodio di Gesù giovinetto che fu ritrovato dai suoi genitori nel tempio di Gerusalemme “seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava” (2,46); è quanto avviene anche ai nostri giorni per i ragazzi ebrei che entrano nella maggiore età. Divenuti “figli del precetto”, si diventa responsabili dei propri atti e si ha l’obbligo di osservare le mizvoth (= i 613 precetti), gli insegnamenti dati da Dio a Israele tramite Mosè, sul monte Sinai, inclusi i dieci comandamenti. Ai piedi del Sinai gli ebrei dissero: “Tutto ciò che ha pronunziato il Signore, eseguiremo e obbediremo” (Es 24,7). Luca conclude la narrazione di Gesù al tempio tra i dottori, con questa nota: “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (2,52). Egli era un vero Israelita che “eseguiva” e “obbediva”.
  3. - I Vangeli raccontano anche che Gesù, come tutti gli ebrei osservanti, si recava a Gerusalemme, tre volte l'anno, per le feste di Pèsach (Pasqua), Shavuòt (Pentecoste) e Sukkòt (Capanne).

  4. - Gesù era un Maestro ebreo, un Rabbino che conosceva perfettamente la Torah, i Profeti e gli altri Scritti. Egli citava spesso i testi sacri, e recitava i Salmi. Il Rabbi di Nazaret frequentava il Tempio di Gerusalemme e partecipava alla liturgia sinagogale.

    Luca, nel suo Vangelo, dice che Gesù “insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi”. Poi aggiunge: “ Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:

    Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore.

    Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui”.

    Gesù, nella sinagoga della sua città, ha letto il testo d’Isaia che annunciava la venuta del Messia, redentore d’Israele. Questa profezia si è compiuta nella persona dell’ebreo Gesù, perché: “la salvezza viene dai Giudei” (Gv 4,22).

  5. - Gesù, come tutti i maestri della Torah, insegnava stando seduto, e parlava “come uno che ha autorità”, suggellando i suoi detti con la parola: “Amen!” ( “così è!”, “senza alcun dubbio!”).

    Gli insegnamenti di Gesù non provengono da qualche filosofia peregrina, ma sono tratti dalla Scrittura e dalla Tradizione ebraiche. Egli stesso dirà: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento”.

    Noi, come gli apostoli e i discepoli di Gesù, crediamo in “colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti”. E quando recitiamo i Salmi, ci rivolgiamo a Dio con le stesse parole con cui il Figlio di Dio conversava col Padre suo. I Salmi con cui la Chiesa prega sono i Salmi di Israele; sono gli stessi con cui pregava e prega il popolo ebraico.

    Il Padre Nostro, la preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, così cara a noi cristiani, ha le sue fonti ebraiche, tant’è che un ebreo non avrebbe alcuna difficoltà a recitarla con noi. La Liturgia cristiana è intessuta di Sacra Scrittura.

La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II dice: "Massima è l'importanza della Sacra Scrittura nella celebrazione liturgica. Da essa infatti si attingono le letture da spiegare poi nell’omelia e i salmi da cantare; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i gesti liturgici" (SC I, 24).

Possiamo anche affermare che la struttura complessiva della Messa, la preghiera eucaristica, la benedizione del pane e del vino sono di derivazione ebraica, attualizzate con significato nuovo, pasquale. È nel contesto della pasqua ebraica che l’ebreo Gesù ci ha lasciato il memoriale della sua pasqua.

Gesù è sempre stato ebreo. Egli ha sempre vissuto da ebreo osservante, fino alla morte. Sulla sua croce i Romani hanno scritto: “Gesù nazareno, re dei Giudei”.

Quindi, come ha detto Giovanni Paolo II nella Sinagoga di Roma: «La religione ebraica non ci è "estrinseca" ma, in un certo senso, è "intrinseca" alla nostra religione. Noi abbiamo dunque verso di lei dei rapporti che non abbiamo con nessun'altra religione. Voi siete i nostri fratelli preferiti e, in un certo senso, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori».

Il Rabbi di Nazaret, è “nostro fratello maggiore”. Egli è la Parola di Dio che si è fatta carne nel grembo di una fanciulla ebrea. È il nostro Maestro che, come ai discepoli di Emmaus, svela alla Chiesa il senso profondo delle Scritture d’Israele. Il Verbo che si è fatto carne è davvero il “bacio” di Dio all’umanità assetata di amore.


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