Documento della Chiesa Valdese sull'Ecumenismo

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(78/SI/1982)

Il Sinodo, dopo aver esaminato il documento sull'ecumenismo predisposto dalla Commissione consultiva per le relazioni ecumeniche, emendato in base ai contributi pervenuti dalle chiese nel corso dell'anno 1981- 82 ed alle osservazioni emerse dal dibattito sinodale, lo approva e lo invia alle chiese come orientamento per la loro attività ecumenica. 

1. Le chiese valdesi e metodiste hanno ripetutamente affermato la loro volontà ecumenica, esprimendola sia con l'adesione al Consiglio Ecumenico delle Chiese, alla Conferenza delle Chiese Europee e ad altri organismi interconfessionali, sia con la partecipazione a varie iniziative ecumeniche a livello nazionale e internazionale.

Questa volontà ecumenica, ribadita in varie occasioni - benché la sua pratica non sia stata priva di ritardi, incoerenze, esitazioni e timori - viene oggi riaffermata dalle nostre chiese.

2.1. L'obiettivo fondamentale del movimento ecumenico è il ravvedimento delle chiese e il rinnovamento della loro testimonianza nel mondo. In questo processo di ravvedimento e rinnovamento si situa anche la ricerca dell'unità della chiesa. Ravvedimento, rinnovamento e unità sono tutti doni dello Spirito (Ezech. 36,24-27; Tito 3,5-7; Efes. 4,3-6).

Il confronto interconfessionale non deve mai perdere di vista il fatto che nei rapporti ecumenici il problema principale non è che cosa ci divide gli uni dagli altri, ma piuttosto che cosa ci divide gli uni e gli altri dalla vera chiesa di Gesù Cristo.

Il movimento ecumenico non coincide con il Consiglio Ecumenico delle Chiese; questo resta però lo strumento più idoneo a raccogliere le istanze ecumeniche delle chiese e a promuoverne la comunione. 

2.2. Sorto in ambito protestante per impulsi e sollecitazioni provenienti principalmente dal campo delle missioni (quella che si è soliti indicare come la prima grande assemblea ecumenica del secolo e una tappa fondamentale di tutto il movimento fu appunto una conferenza missionaria: la Conferenza Universale delle Missioni, Edimburgo, 1910) il movimento ecumenico interessa e coinvolge la grande maggioranza delle confessioni cristiane. Il movimento ecumenico e il Consiglio (che ne è la più importante espressione istituzionale) si propongono un unico obiettivo - l'unità nel rinnovamento - e lo perseguono ormai da molti decenni lungo due direttrici principali: quella del confronto e dialogo teologico in vista di convergenze dottrinali e di un futuro consenso di fede, e quella dell'impegno e del servizio cristiano in campo sociale e politico.   

2.2.1. Il metodo del confronto dottrinale, praticato da un numero crescente di chiese e confessioni, ha dato luogo a innumerevoli dialoghi bilaterali e multilaterali, i cui frutti sono stati raccolti in un gran numero di documenti teologici tendenti alla formulazione comune di aspetti importanti della dottrina e della vita cristiana, quali, ad esempio, la presenza di Cristo nella chiesa e nel mondo (elaborato da un "gruppo misto" cattolico-riformato), battesimo - eucarestia - ministeri (è il cosiddetto "documento di Lima" prodotto dalla Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico), la questione dei matrimoni misti (dichiarazione comune cattolica, riformata, luterana), e così via.

Questo lavoro prolungato e paziente di riflessione teologica comune presenta senz'altro aspetti positivi, tra i quali ricordiamo: il superamento di deformazioni polemiche, di valutazioni faziose o di veri e propri fraintendimenti delle altrui posizioni dottrinali; l'individuazione dei cosiddetti fattori non teologici delle divisioni; la ricerca di una comprensione aggiornata della teologia professata oggi dalle varie confessioni, con i motivi di permanente contrasto o divisione ma anche con lo sforzo congiunto nel far valere appieno il comune fondamento apostolico della fede; la ricerca, infine, di un nuovo linguaggio teologico che non solo unifichi - fin dove è possibile - il discorso cristiano ma soprattutto lo esprima in termini significativi e rilevanti per il mondo contemporaneo.

Il grande rischio, però, che incombe su tutta questa impresa e che potrebbe vanificarne gli effetti benefici, è che nel dialogo le domande radicali non vengano più poste. L'attività ecumenica sembra essere intesa, in misura crescente, come riconoscimento reciproco dei "valori" presenti (o latenti) nelle diverse confessioni. Ciascuna confessione si accredita presso le altre come fondamentalmente cristiana e viene ricevuta come tale dalle altre. Nel dialogo, il riferimento alla Scrittura è sempre presente, tuttavia non sempre è decisivo. Si comincia con la Scrittura e si finisce con la tradizione. La Scrittura è una indicazione importante ma non risolutiva come dovrebbe essere. La tradizione ecclesiastica afferma i suoi diritti e il risultato è che la chiesa, così come si è venuta configurando nei secoli e com'è oggi, nelle sue varie articolazioni confessionali che si riconoscono a vicenda in virtù del proprio (più o meno cospicuo) "patrimonio cristiano", non si sente più messa seriamente in questione.

Il rischio - in sostanza - è che l'ecumenismo sfoci in una grande riaffermazione della chiesa, anziché in una vittoria dell'Evangelo, e che il giudizio di Dio, sotto il quale tutti stiamo, venga eluso e sostituito dal nostro. In tal caso non avremmo il ravvedimento delle chiese ma solo un loro riassestamento.

L'ecumenismo nel quale ci sentiamo impegnati tende a ben altro che a uno scambio di patenti di cristianesimo e a un riconoscimento reciproco di patrimoni confessionali posseduti. In un certo senso tende all'opposto, e cioè al riconoscimento comune non dei nostri "valori" ma della nostra povertà di cristianesimo vissuto e alla ricerca comune di una chiesa cristiana degna di questo nome, cioè del nome di Gesù Cristo.

2.2.2. La seconda manifestazione fondamentale del movimento ecumenico e del Consiglio è stata ed è l'azione sociale (aiuto alle chiese, assistenza ai profughi e in occasione di calamità, ecc.) e politica (libertà religiosa; programma di lotta al razzismo; iniziative antimilitariste e per la pace, ecologia, ecc.). In questo ultimo decennio il programma di lotta al razzismo, con le sue inevitabili implicazioni nelle lotte di liberazione in taluni Paesi del Terzo Mondo, è stato e continua ad essere motivo di dissensi e controversie in seno al Consiglio Ecumenico, al quale del resto alcuni gruppi cristiani rimproverano un impegno politico-sociale comunque eccessivo e per di più partigiano.

Noi riteniamo che l'impegno politico-sociale - nelle forme che gli sono proprie secondo l'Evangelo, unica norma della fede e della vita - faccia parte integrante della vocazione cristiana ed ecumenica della chiesa, anche e proprio quando comporta scelte rischiose e quindi controverse. La via dell'ubbidienza cristiana è sempre stretta. li movimento e il Consiglio ecumenico hanno reso in questo campo un servizio importante alle chiese, tenendo viva o svegliando in loro la coscienza della loro responsabilità politico-sociale, alla luce dell'Evangelo e al servizio dell'uomo.

Piuttosto si può rilevare - come è già stato fatto a più riprese - che l'opinione corrente secondo cui "la dottrina divide, l'azione unisce" è stata smentita: l'azione può dividere tanto quanto, se non più, della dottrina - nell'ambito del movimento ecumenico stesso. Le tensioni che hanno accompagnato certe iniziative del Consiglio Ecumenico non sono però negative. Esse attestano che l'unità cristiana è complessa, articolata, ricca di movimento e anche di contrasti, e soprattutto che non è a buon mercato.

 

Unità in Cristo

3.1. L'unità in Cristo appare, nel Nuovo Testamento, come una diversità o molteplicità. Non è la diversità o molteplicità delle chiese che deve preoccupare, ma la loro divisione. Lo Spirito Santo ama la diversità (e la produce: 1 Cor. 10), ma non la divisione. li problema è come salva- guardare la possibilità di essere e rimanere diversi senza dividersi, come cioè ricondurre la diversità in un contesto di unità anziché di divisione.

3.2. L'unità della chiesa è innanzitutto unità in Cristo con Dio (Giov. 17,21). Questa unità non è fine a se stessa, ma è in vista della fede del mondo (Giov. 17,23). Il mondo, con le sue attese, le sue sfide, i suoi problemi, non è semplice spettatore degli sforzi unitari dei cristiani, ma il loro diretto interlocutore. Una unità cristiana che non sia significativa per il mondo non merita di essere perseguita. Si può essere uniti anche senza o contro il Signore: è accaduto molte volte nella storia del suo popolo. Non basta che la chiesa sia unita per essere una presenza cristiana significativa. Bisogna vedere come essa è unita, su quali basi, e quali divisioni essa supera e vince. Solo un'unità della chiesa come quella descritta in Galati 3,28 (e passi analoghi) in cui vengono abbattute le barriere fondamentali che separano gli esseri umani tra loro (barriere di razza, sesso, classe, cultura, ecc.) può essere significativa per il mondo e invitarlo alla fede.

3.3. Anche la cristianità apostolica ebbe il suo problema "ecumenico". Esso non fu però costituito dai rapporti più o meno armonici tra i vari tipi di comunità cristiana che coesistevano nel primo secolo: secondo il Nuovo Testamento la consistenza non fu sempre pacifica ma fu sempre reale, profonda. Il problema "ecumenico" del primo secolo fu costituito dal rapporto tra la chiesa nel suo insieme e il popolo di Israele. La "divisione" fondamentale che la coscienza cristiana neotestamentaria do- vette affrontare fu la frattura interna (I'"induramento parziale" di cui parla l'apostolo Paolo in Romani 11,25 definendolo un "mistero") prodottasi in Israele di fronte alla persona e, in particolare, alla croce e risurrezione di Cristo - una frattura interna al popolo di Dio, dolorosa e drammatica ("ho una grande tristezza e un continuo dolore nel cuor mio... "; " ... vorrei io stesso essere anatema, separato da Cristo... ", Rom. 9,2-3) e allo stesso tempo immensamente feconda (" ... se la loro caduta è la ricchezza del mondo e la loro diminuzione la ricchezza dei gentili, quanto più lo sarà la loro pienezza"; " ... tutto Israele sarà salvato", Rom. 11,12.26).

Molto presto nella chiesa si è perso coscienza del fatto che un aspetto essenziale dell'unità del popolo di Dio è l'unità tra chiesa e sinagoga. La storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei nei venti secoli che stanno alle nostre spalle è quanto mai dolente, con colpe enormi da parte dei cristiani che - forse - contro nessun popolo hanno peccato tanto quanto contro gli ebrei.

Sarà necessaria una svolta non piccola nella coscienza cristiana contemporanea per comprendere che Israele come comunità di fede è parte integrante della questione ecumenica. Le nostre chiese dovranno diventare sensibili al messaggio - sin qui negletto - dei capitoli 9, 10 e 11 della Lettera ai Romani, ricuperando questa "dimensione perduta" della loro vita e testimonianza: il rapporto con la comunità ebraica.

3.4. In anni recenti l'orizzonte del movimento ecumenico si è ampliato fino a includere il problema dei rapporti tra fede cristiana e altre grandi religioni (definite nell'ambito del Consiglio Ecumenico: "fedi vi- venti") operanti nel mondo di oggi. Le nostre chiese sono, in generale, impreparato a questo nuovo genere di rapporti. Si può per altro prevedere che le occasioni di incontro e confronto con credenti di altre fedi aumenteranno nel prossimo futuro.

Le nostre chiese sono invitate a porsi in atteggiamento di apertura fraterna e cordiale, nella certezza che Cristo è il "Salvatore del mondo" (Giov. 4,42), che "lo Spirito soffia dove vuole" (Giov. 3,8) e che Dio, Padre di tutti gli uomini, opera anche fuori dei confini visibili della chiesa.

4. In Italia l'ecumenismo impegna attualmente le nostre chiese in due direzioni principali: quella dei rapporti con le altre Chiese evangeliche e quella dei rapporti con il cattolicesirno romano.

5. Mentre i rapporti con le chiese aderenti alla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia sono costanti e organici, i rapporti con le altre Chiese evangeliche non sono ancora sufficientemente intensi. Ci troviamo ancora in Italia nella situazione di un mondo evangelico fortemente minoritario e, nello stesso tempo, estremamente frazionato. Questo frazionamento non impedisce tuttavia la fraternità e il senso comune di appartenenza tra chiese che si richiamano all'unica autorità della Sacra Scrittura e all'unica signoria di Gesù Cristo.

In questi ultimi anni si registra una maggiore volontà di dialogo, d'incontro e di confronto tra le Chiese evangeliche, consolidata da battaglie comuni (ad es. quella per la libertà religiosa, quella contro la superstizione e l'alienazione religiosa, ecc.). Tale fraternità si traduce sul piano teologico nella comune affermazione della salvezza per grazia mediante la fede e si esprime in incontri di base tra singoli e talora tra comunità. Tuttavia, va riconosciuto che un vero dialogo ecumenico tra le Chiese evangeliche è ancora discontinuo e limitato ad alcune aree denominazionali.

Le ragioni di questo stato di cose sono molteplici; spesso vi sono alla base pregiudizi e una scarsa conoscenza reciproca. Tre questioni in particolare dovrebbero essere studiate e chiarite:

a) l'area di consenso effettivamente esistente tra le Chiese evangeliche;
b) i cosiddetti fattori non teologici della divisione o della rinuncia a un cammino unitario;
c) i punti di maggiore tensione o differenziazione teologica.

Ci si propone pertanto di intensificare la ricerca, in accordo con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, di occasioni d'incontro su questi temi con le denominazioni evangeliche non aderenti alla Federazione stessa.


Cattolicesimo e protestantesimo

6.1. Cattolicesimo e protestantesimo, pur richiamandosi allo stesso Signore, sono due modi diversi di intendere e vivere il cristianesimo. È vero che il dialogo interconfessionale ha smantellato vari pregiudizi e colmato non poca ignoranza reciproca, creando atteggiamenti meno globalmente negativi degli uni verso gli altri, ma non ha potuto rimuovere il motivo centrale del dissenso: un modo diverso di concepire la presenza di Dio nel mondo, e quindi un diverso modo di essere chiesa. Queste diversità fanno ancora apparire cattolicesimo e protestantesimo come alternativi e non complementari. D'altra parte, le confessioni sono in movimento (grazie anche al movimento ecumenico) e in queste condizioni bisogna evitare di assolutizzare "le cose che stanno dietro" (Filippesi 3,13) e imprigionare in esse anche "quelle che stanno davanti". Occorre invece essere aperti alle cose nuove che Dio suscita. Ma questo atteggiamento di apertura non può diventare una semplice scommessa sul futuro. La speranza non rende confusi ma neppure ciechi.

6.2. Il Concilio Vaticano Il ha indubbiamente avviato nel mondo cattolico un processo di rinnovamento di vaste proporzioni. Oggi questo movimento non sembra più così dirompente come nell'immediato dopo- concilio, ma è ancora vivo. È vivo non soltanto nel "cattolicesimo di base" o del "dissenso", ma anche in ampi settori del cattolicesimo detto "ufficiale". È vivo nelle coscienze di molti cattolici - "laici", teologi, sacerdoti, talvolta vescovi - nei quali non solo si è venuta formando una maggiore consapevolezza critica nei confronti della propria realtà, ma anche soprattutto, ha avuto luogo un vero e proprio risveglio di energie cristiane e di esigenze evangeliche autentiche. Ne è conseguita una diffusa volontà di rinnovamento a vari livelli (liturgico, biblico, ecumenico, ecc.), una capacità d'inventiva e di iniziativa cristiana in rapporto, ad esempio, a nuove forme di vita comunitaria e di servizio al prossimo, un coraggio nuovo di testimonianza e di impegno in molte situazioni critiche del nostro tempo.

6.3. Proprio per questo motivo le osservazioni critiche che seguono non intendono in alcun modo promuovere o incrementare nelle nostre chiese una fatua buona coscienza confessionale, propria di credenti soddisfatti di sé e convinti - più o meno segretamente - di essere i veri cristiani, o quanto meno i cristiani migliori.

La qualità piuttosto modesta, per non dire mediocre, della nostra esistenza cristiana, globalmente considerata, ripropone l'esigenza ancora elusa di riforma delle nostre stesse chiese, prima di chiederla o proporla alle altre.

6.4. Una nuova fase dei rapporti tra cattolici ed evangelici in Italia è iniziata soltanto poco più di vent'anni fa, perché è col Concilio Vaticano II che nel nostro paese il cattolicesimo ha avviato (non senza resistenze, ritardi e controtendenze) un rapporto nuovo con l'ecumenismo. Considerando la brevità dei tempi può stupire la quantità (e talora la qualità) dei risultati sin qui raggiunti, anche se, l'iniziativa ecumenica è ancora, nelle chiese, opera di minoranze. Comunque, una riflessione teorica sui rapporti tra evangelici e cattolici in Italia non può prescindere da una serie di fatti concreti: i numerosi contatti e incontri ecumenici organizzati da comunità locali un po' dappertutto, in occasioni e con modalità diverse, e in particolare per lo studio comune della Bibbia; la traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente (TILC) e la sua diffusione; la collana di testi ecumenici pubblicata in condizione dalla Claudiana (evangelica) e dalla LDC (cattolica); l'équipe redazionale di "COM- Nuovi Tempi", settimanale interconfessionale fin dalla fondazione e quella - pure interconfessionale - della rivista "IDOC Internazionale"; il notevole lavoro di promozione, animazione e formazione ecumenica svolto dal Segretariato Attività Ecumeniche (SAE) a livello locale e nazionale; lo scambio interconfessionale ormai permanente sul piano della discussione e produzione scientifica nelle varie discipline in cui si articola la teologia cristiana.

Altri aspetti del lavoro ecumenico in Italia potrebbero essere menzionati, ma i pochi accenni ora fatti basteranno a evocare una realtà di ecumenismo vissuto che, pur nella modestia delle sue proporzioni, deve essere tenuta presente.

6.5. La realtà delle Comunità di base meriterebbe un discorso a parte, che qui può essere solo abbozzato. È evidente che il "cattolicesimo di base" rappresenta su vari punti un superamento in direzione evangelica di certe posizioni tradizionali. Per questo i rapporti tra chiese evangeliche e cattolici "di base" sono stati fin dall'inizio e restano oggi ancora particolarmente significativi. Rimangono, naturalmente, delle differenze (anche di natura teologica) e forse anche delle reciproche diffidenze. Comunque, le Comunità di base introducono una nuova e inedita articolazione nel panorama ecumenico italiano: esse non possono essere assimilate né al cattolicesimo né al protestantesimo tradizionali. Le comunità cattoliche "di base" sono un partner ecumenico a sé, che dovrebbe essere sempre presente nel cammino ecumenico.

6.6. La straordinaria complessità del cattolicesimo rende arduo ogni tentativo di individuarne i tratti essenziali e costitutivi. Ogni valutazione rischia di essere o di venir giudicata parziale. In generale, valutando un'altra confessione o denominazione è sempre bene chiedersi se dietro una dottrina, una norma, una struttura, ecc. è riconoscibile una esigenza evangelica a cui quella dottrina, norma, struttura, eccetera cercano di rispondere (e se quindi è riconoscibile una esigenza evangelica in coloro che la accettano e praticano) oppure no. Vi sono infatti nelle chiese e nelle confessioni risposte sbagliate (o inadeguate) a esigenze giuste. Le risposte vanno modificate, le esigenze vanno mantenute.

 

La differenza di fondo

6.7. La differenza di fondo tra cattolicesimo e protestantesimo può essere espressa in molti modi, ma nessuno è esauriente. Al di là delle schematizzazioni, è necessario cercare di individuare il nodo del dissenso cattolico-protestante, che finora è il più profondo tra quelli verificatisi in venti secoli di storia cristiana.

L'ambito in cui questo dissenso appare con maggiore evidenza è nella dottrina della chiesa, che per altro affonda le sue radici in un modo diverso di intendere e vivere il rapporto tra Dio e l'uomo. La Chiesa cattolica si propone, in riferimento a Cristo, come compagine sacerdotale e gerarchica, agisce in rappresentanza vicaria di Cristo per la salvezza del mondo, assumendo così una posizione centrale e diventando il perno del rapporto tra Dio e il mondo.

Espressione di questa centralità della chiesa è il culto di Maria oggi vigorosamente rilanciato, che distoglie la pietà e la speranza dei credenti dall'unico centro della fede, Gesù Cristo.

6.8. Il protestantesimo esprime in modo diverso la propria esperienza di fede in rapporto a Dio e di servizio in rapporto al mondo. Eccone alcuni aspetti:

a) La santità di Dio, che non cede la sua gloria ad altri. Anche e proprio nel dono incondizionato di sé egli resta il Signore e come tale vuole essere annunciato, attestato, creduto e ricevuto. Non lo possiamo raffigurare né oggettivare, né nella chiesa né altrove. Non ha vicari né rappresentanti. Ha dei testimoni. Nessuno tiene Dio nelle sue mani ("consacrate" o no). Ciascuno è nelle mani dì Dio.

b) Il primato dell'Evangelo, cioè del messaggio biblico intorno a Cristo, alfa e omega della nostra fede. L'Evangelo è Lui. Il primato dell'Evangelo, attestato nell'Antico e nel Nuovo Testamento, sottopone la .chiesa all'autorità della Sacra Scrittura, letta e ubbidita nella comunione della chiesa, assistita dallo Spirito Santo. Nessuna autorità, ecclesiastica o laica, può eguagliare o superare l'autorità della Scrittura.

c) La chiesa come comunità di graziati, cioè di persone che hanno ricevuto e ricevono nell'annuncio evangelico il perdono gratuito dei peccati e con esso la riconciliazione con Dio e con il prossimo, e il dono della vita nuova. La chiesa non trasmette la grazia, la riceve; non ne dispone, l'annuncia. (come fa ad annunciarla se non l'ha ricevuta e, se l'ha ricevuta, come fa a non trasmetterla? n.d.r.)

d) La sovranità della Parola di Dio, che si esprime anche nella libertà di riformare la chiesa. La chiesa deve favorire (o quanto meno non bloccare) la libertà di riforma nel suo seno, deve cioè organizzare e condurre la sua vita comunitaria in modo da non "incatenare" essa stessa la Parola di Dio (cfr. Il Timoteo 2,9).

e) La libertà e dignità incomparabile del cristiano "Iaico", fondata sul sacerdozio universale dei credenti (1 Pietro 2,9). Una differenza di "natura" tra "clero" e "Iaicato" è inammissibile. Ogni cristiano, uomo o donna che sia, può accedere a tutti i ministeri, se vi si sente chiamato e la chiesa lo riconosce.

f) L'assemblea dei credenti (ai vari livelli in cui essa si esprime), e non il ministero, come perno istituzionale della chiesa. I ministeri ne costituiscono l'articolazione, non la matrice. Si promuove quindi una ecclesiologia di assemblee e non di ministri.

g) La chiesa vive nel mondo al servizio di Dio e del prossimo. Essa rispetta, anzi promuove, la laicità delle strutture pubbliche.

La sua testimonianza avviene con la parola e con la vita. Resta esclusa per la chiesa qualunque posizione di dominio, di privilegio, di potere politico o economico, che in qualche modo coarti la libertà della persona e imponga direttamente o indirettamente il cristianesimo, trasformando l'Evangelo in Legge.

6.9. Notevoli differenze tra cattolicesimo romano e protestantesimo esistono sul piano dell'etica. Esse riguardano non soltanto la diversità delle indicazioni date sui terni dell'etica sessuale, coniugale e familiare e di quelle relative all'etica sociale, politica e professionale, ma gli stessi criteri in base ai quali il cristiano giunge alla scelta etica.

Mentre l'etica cattolica è fondamentalmente un'etica dell'ubbidienza alle indicazioni del magistero che interpreta una legge immutabile iscritta nella natura e nel dogma, quella protestante è fondamentalmente un'etica della libertà nella responsabilità, nel quadro della chiamata a tradurre nell'oggi l'appello evangelico alla vita nuova.

Tali orientamenti di fondo non esauriscono tuttavia la complessità dell'attuale situazione etica nelle diverse confessioni, tanto più che i vari contesti sociali e culturali in cui tutte le chiese si trovano ad operare e il loro diverso rapporto con la società civile condizionano in misura talvolta rilevante i loro comportamenti concreti.

A questo proposito va rilevato come in larghi settori del cristianesimo contemporaneo regni da un lato un diffuso conformismo e, dall'altro - specialmente nelle generazioni più giovani - una perdita di punti di riferimento e di criteri orientativi delle scelte etiche. Ne consegue l'urgenza, largamente condivisa, di rifondare il discorso etico cristiano nelle sue premesse e nei suoi contenuti.

Si può infine constatare che in anni recenti si sono verificate nella riflessione etica convergenze significative, sia sul piano dell'etica personale, sia nel modo di affrontare problemi di interesse generale come quello della pace, della corsa agli armamenti, dei rapporti tra paesi industrializzati e paesi cosiddetti "in via di sviluppo".

Permane tuttavia una divergenza di fondo: la fonte immediata della norma etica per il cattolico rimane sempre il magistero della Chiesa, pur con i suoi adattamenti storici, mentre per il protestante tale fonte è l'Evangelo della grazia che illumina la coscienza.

6.10. Un motivo di divergenza, che non è strettamente teologico ma ha rilevanza teologica, è costituito in Italia da quel complesso intreccio di fattori di varia natura (religiosi, tradizionali, politici e culturali) che si suole indicare con l'espressione "cultura cattolica". Questa realtà, che pesa fortemente sulla vita del nostro Paese, si contrappone a una visione laica della società civile, propria del protestantesimo, e mantiene in vita quell'insieme di rapporti tra chiesa e Stato che si esprime nel sistema concordatario.

6.11. L'ecumenismo cattolico ufficiale si è mosso in questi ultimi decenni su due direttrici:

a) la politica ecumenica vaticana ha privilegiato i rapporti bilaterali con le singole chiese;
b) il pontefice romano si è riproposto come "pastore ecumenico" in vista di una unità di tutte le Chiese imperniata su Roma.

La prima tende ad assumere come misura del dialogo ecumenico la distanza da Roma delle singole confessioni, introducendo un criterio estraneo alla coscienza che le Chiese hanno della propria identità, e ignorando la comunione di fede che tali Chiese hanno stabilito nel movimento ecumenico e nel Consiglio Ecumenico delle Chiese.

La seconda gioca sull'equivoco - non sempre chiaramente riconosciuto - tra l'esigenza di una rappresentanza simbolica visibile dell'unione tra le chiese, e la concezione di un papato come esercizio di un potere reale di giurisdizione su tutta la chiesa (e in prospettiva sulla futura chiesa unita), come è stato chiaramente riaffermato di recente dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, a commento del documento della Commissione mista cattolici-anglicani (ARCIC).

Finché questa volontà egemonica di Roma non sarà superata, la coscienza unitaria fra le Chiese potrà ben difficilmente progredire e l'ecumenismo con la Chiesa cattolica romana resterà come paralizzato.

Quanto a noi, continuiamo a ritenere che il papato, chiunque lo eserciti, rimanga un ostacolo insormontabile sulla via dell'unità cristiana, in quanto è la chiave di volta di una concezione gerarchica e piramidale della chiesa che a noi pare in contrasto palese con le indicazioni che l'Evangelo dà sulla chiesa: un'assemblea di credenti in cui i ministeri non creano gerarchie ma le smantellano e la signoria di Cristo non suscita primati ma solo fraternità.

6.12. Vi sono nei rapporti tra le chiese alcuni nodi che rivelano più e meglio di altri qual è il livello di ecumenismo raggiunto nei rapporti reciproci. Uno di questi test è la questione dei matrimoni interconfessionali. La legislazione canonica cattolica, tuttora vigente nel nostro paese, oltre a imporre molti pesi alla coscienza della parte cattolica, continua a negare valore a un matrimonio interconfessionale contratto davanti a un ministro evangelico o in sede civile, e a ritenere sempre obbligatoria la dispensa del vescovo. Finché la chiesa cattolica continuerà a considerare la fede evangelica come un "impedimento" al legittimo costituirsi di un matrimonio fra cristiani, la sua credibilità ecumenica rimarrà fortemente discutibile. Consideriamo la questione dei matrimoni misti come un test fondamentale. Se non si riesce a impostare ecumenicamente questa questione, non se ne potranno risolvere ecumenicamente altre.

6.13. Considerando la situazione minoritaria del protestantesimo in Italia, è stata posta la questione se esso non debba storicamente considerarsi come un fenomeno di "dissenso" del cattolicesimo italiano.

Malgrado la nostra esiguità numerica e, soprattutto, le difficoltà che incontriamo a realizzare con piena fedeltà la nostra vocazione, riteniamo che, come nei secoli passati, anche oggi Dio ci chiami a essere e presentarci come chiesa - sia pure in forma di diaspora, come lo era del resto la cristianità primitiva - con tutto il peso storico, teologico e vocazionale che questo termine implica; e cioè come una delle espressioni della chiesa di Dio nel mondo, quindi come una sua comunità, della cui esistenza dobbiamo rendere conto a lui, prima che ad altri o a noi stessi.

Soltanto in questo modo potremo servire in qualche misura al rinnovamento della testimonianza cristiana in mezzo al nostro popolo.

L'obiettivo ecumenico

7. L'obiettivo che le chiese si sono prefisse con il dibattito sull'ecumenismo e sui rapporti con il cattolicesimo romano è quello di ridefinire la loro linea ecumenica, dato che l'ecumenismo costituisce senza dubbio un aspetto importante della loro vocazione nel tempo presente.

7.1. Il problema ecumenico di fondo è sapere se le differenze esistenti oggi fra le diverse confessioni e denominazioni cristiane possono essere non già appianate del tutto, ma almeno ricondotte alle proporzioni di un dissenso compatibile con una coscienza unitaria ecumenica che tragga dall'Evangelo la sua ispirazione e la sua norma, e conduca a una presa di coscienza rinnovata, anche se differenziata, della responsabilità comune di annuncio e di servizio nel mondo e per il mondo. Si potrebbe così giungere a una situazione ecumenica analoga a quella documentata nel Nuovo Testamento, in cui differenze anche profonde non sembrano avere impedito alle diverse componenti della prima chiesa cristiana (o ai diversi tipi di cristianesimo che si rispecchiano nel Nuovo Testamento) di darsi la "mano fraterna di associazione" (Gai. 2 9). A questo proposito, sarà bene ricordare che la coscienza unitaria nel 'cristianesimo apostolico poté essere mantenuta pérché non v'era allora un potere centrale che si ponesse come perno istituzionale e dottrinale dell'unità.

7.2. Lo Spirito soffia dove vuole e l'Evangelo non è incatenato: esso è realmente all'opera in tutte le confessioni (ed anche fuori). Questo dato di fatto, elementare ma fondamentale, rende il dialogo ecumenico non solo possibile ma necessario, ed è la ragione vera della speranza ecumenica.  

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