L'embrione è già qualcuno
Luigi Alici, su impegnoreferendum.it

Per una coincidenza singolare, proprio nell’anno in cui sono in cantiere innumerevoli iniziative di bilancio e di verifica intorno al tema della laicità della politica, a quarant’anni dal Concilio, il panorama sociale e civile italiano è messo duramente alla prova dalla imminente consultazione referendaria, che vorrebbe abolire parti significative della legge 40/2004 sulla fecondazione assistita.

La questione investe direttamente il valore della vita umana e la possibilità di riconoscerla o meno come principio vincolante della nostra civiltà: i quattro quesiti referendari, dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale, rappresentano una eventualità indolore e ininfluente, dinanzi alla quale non esistono obiezioni culturalmente dignitose, oppure c’è di mezzo qualcosa di più? E in questo caso le obiezioni provenienti dalla fede cristiana, in cui si riconosce la maggioranza del popolo italiano, non possono sommarsi a quelle che maturano sul terreno della argomentazione razionale e della sensibilità etica? Perché escludere che il valore antropologico della proposta cristiana possa essere confermato criticamente dalle scienze umane e naturali?

Nel segno della laicità, proviamo ad imboccare proprio questa seconda strada, segnalando almeno due motivi per non peggiorare la legge 40; motivi che non sono il frutto oscurantista di una ossessione cattolica, ma nascono sul terreno di una riflessione serena e civile. Per il primo motivo, mettiamola così: il minimo che si possa dire dell’embrione umano (ma proprio il minimo) è che sia "uno" che ha cominciato ad essere "qualcuno". Spingiamoci ancora più avanti: ammesso (e non concesso!) che questa affermazione non abbia un valore sostanziale, ma solo prudenziale, non basterebbe forse un "ragionevole dubbio" per farci fare un passo indietro? Il ragionevole dubbio (molto laico, del resto!) di "inter-ferire" sulla crescita e sul futuro di una terza persona non basta per tracciare una linea di demarcazione fra il lecito e l’illecito? Chi invece ritiene che l’identità personale dell’embrione sia controversa ha l’onere della prova: deve cioè introdurre un altro criterio di identificazione, meno "naturale" e più "artificiale", che sia esso stesso al di là di ogni ragionevole dubbio. Spostando sempre più avanti le lancette dell’orologio in cui "comincia" la vita umana, siamo proprio sicuri che l’abbandono dell’evidenza biologica, criticamente convalidata, in favore di compromessi puramente convenzionali, riduca questi margini di dubbio, anziché aumentarli, e quindi garantisca un fondamento certo e un consenso etico più diffuso? Siamo sinceri: in questi tempi non si sentono molti argomenti in tale direzione, mentre dilagano stereotipi libertari, presunti casi pietosi e denunce - davvero poco liberal - contro l’invadenza dei porporati.
Un secondo motivo, ancor più generale, riguarda l’abuso di un luogo comune, ormai considerato intoccabile come un vero e proprio tabù; lo si potrebbe formulare così: "Se tu non vuoi…, perché devi impedire che io possa…?".

Sembra questo il pilastro su cui si costruisce ogni deriva libertaria. Ebbene, se a questa affermazione non si potesse opporre nessuna obiezione di principio, allora non resterebbero che le voci confessionali delle chiese, portatrici di una nobile, ma anacronistica religione di nicchia, recalcitranti dinanzi ad ogni strappo della secolarizzazione. Ma è proprio vero che trasformare in opzioni dei vincoli fondamentali che compaginano la convivenza sia socialmente irrilevante e possa essere contrastato solo da una cultura illiberale?

Rendere facoltativa la monogamia allarga semplicemente il paniere delle opzioni, o, al contrario, equivale di fatto ad introdurre la poligamia? Privatizzare i vincoli paesaggistici, l’istruzione scolastica obbligatoria, la cartamoneta, il divieto di praticare la tortura su un consenziente non cambia drasticamente il "paesaggio morale" in cui una società si riconosce se non vuole cadere nell’anomia?
Se è questa la posta in gioco, sarà bene ricordare che la Costituzione parla di "dovere civico" solo per l’esercizio di voto (art. 48), mentre ammette per la materia referendaria, che diventa oggetto di consultazione per iniziativa popolare, un doppio quorum (art. 75): prima si verifica se ha votato la maggioranza degli aventi diritto, poi si contano i sì e i no; in questo modo alla maggioranza dei non votanti (solo per i referendum, si badi bene) viene riconosciuto il potere democratico di invalidare il peso dei voti espressi.

Di conseguenza, appare perfettamente legittimo avvalersi, in forme civili e motivate, dell’opportunità del non voto; se esiste un modo lecito ed efficace per realizzare uno scopo buono, perché vi si dovrebbe rinunciare? Qual è, in fin dei conti, il cattolico adulto? Quello che valuta responsabilmente la posta in gioco e non si lascia suggestionare da nessuna sindrome adolescenziale, per cui un figlio sarebbe disposto a fare quello che i genitori pensano solo a condizione che essi non lo dicano.

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