Fede, Speranza, Carità nella prospettiva del dialogo interreligioso 
     Catechesi di Giovanni Paolo II 29 novembre 2000

 

 

(Lettura: Ap 7,4.9-10)

Dopo ciò apparve una moltitudine immensa, che nessuno pareva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello»

1. Il grandioso affresco dell'Apocalisse, or ora a noi offerto, è affollato non solo dal popolo d'Israele, simbolicamente rappresentato dalle dodici tribù, ma anche da quell'immensa moltitudine di genti di ogni terra e cultura, tutte avvolte nella candida veste dell'eternità luminosa e beata. Prendo lo spunto da questa evocazione suggestiva per accennare al dialogo interreligioso, tema divenuto molto attuale ai nostri tempi.

Tutti i giusti della terra elevano la loro lode a Dio, giunti al traguardo della gloria, dopo aver percorso la strada erta e faticosa dell'esistenza terrena. Sono passati "attraverso la grande tribolazione" e hanno ottenuto la purificazione mediante il sangue dell'Agnello, "versato per molti, in remissione dei peccati" (Mt 26,28). Tutti, quindi, partecipano della stessa fonte di salvezza che Dio ha effuso sull'umanità. Infatti, "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Gv 3,17).

2. La salvezza è offerta a tutte le nazioni, come attesta già l'alleanza con Noè (cfr Gn 9,8-17), che testimonia l'universalità della manifestazione divina e della risposta umana nella fede (cfr CCC 58). In Abramo, poi, "si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gn 12,3). Queste sono in cammino verso la città santa, per godere di quella pace che cambierà il volto del mondo, quando si forgeranno le spade in vomeri e le lanci in falci (cfr Is 2,2-5).

Con emozione si leggono in Isaia queste parole: "Gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri (…). Li benedirà il Signore degli eserciti: Benedetto sia l'Egiziano mio popolo, l'Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità" (Is 19,23.25). "I capi dei popoli - canta il salmista - si sono raccolti con il popolo del Dio di Abramo, perché di Dio sono i potenti della terra: egli è l'Altissimo" (Sal 47,10). Anzi, il profeta Malachia sente salire dall'intero orizzonte dell'umanità come un respiro di adorazione e lode verso Dio: "Dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti" (Ml 1,11). Si domanda, infatti, lo stesso profeta: "Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio?" (Ml 2,10).

3. Una certa forma di fede si apre dunque nell'invocazione a Dio, anche quando il suo volto è "ignoto" (cfr At 17,23). Tutta l'umanità tende verso l'autentica adorazione di Dio e la comunione fraterna degli uomini sotto l'azione dello "Spirito di verità operante oltre i confini visibili del corpo mistico" di Cristo (Redemptor hominis, 6).

Sant'Ireneo ricorda a tal proposito che quattro sono le alleanze stabilite da Dio con l'umanità: in Adamo, in Noè, in Mosè e in Gesù Cristo (cfr Adversus haereses, 3,11,8). Idealmente protese, le prime tre, verso la pienezza di Cristo, esse scandiscono il dialogo di Dio con le sue creature, un incontro di svelamento e di amore, di illuminazione e di grazia che il Figlio raccoglie in unità, sigilla nella verità, conduce alla perfezione.

4. In questa luce la fede di tutti i popoli sboccia nella speranza. Essa non è ancora illuminata dalla pienezza della rivelazione, che la pone in rapporto alle promesse divine e ne fa una virtù ‘teologale'. Tuttavia i libri sacri delle religioni aprono alla speranza nella misura in cui schiudono un orizzonte di comunione divina, delineano per la storia una meta di purificazione e di salvezza, promuovono la ricerca della verità e difendono i valori della vita, della santità e della giustizia, della pace e della libertà. Con questa tensione profonda, che resiste anche in mezzo alle contraddizioni umane, l'esperienza religiosa apre gli uomini al dono divino della carità ed alle sue esigenze.

In questo orizzonte si colloca il dialogo interreligioso al quale il Concilio Vaticano II ci ha incoraggiati (cfr Nostra Aetate, 2). Tale dialogo si manifesta nell'impegno comune di tutti i credenti per la giustizia, la solidarietà e la pace. Si esprime nelle relazioni culturali, che gettano un seme di idealità e di trascendenza nelle terre spesso aride della politica, dell'economia, dell'esistenza sociale. Trova un momento qualificato nel dialogo religioso, nel quale i cristiani portano la testimonianza integra della fede in Cristo, unico Salvatore del mondo. Per la stessa fede essi sono consapevoli che il cammino verso la pienezza della verità (cfr Gv 16,13) richiede l'umiltà dell'ascolto per cogliere e valorizzare ogni raggio di luce, sempre frutto dello Spirito di Cristo, da qualunque parte venga.

5. "La missione della Chiesa è quella di far crescere il Regno del Signore nostro e del suo Cristo di cui è serva. Una parte di questo ruolo consiste nel riconoscere che la realtà iniziale di questo Regno si può trovare anche oltre i confini della Chiesa, per esempio nei cuori dei seguaci di altre tradizioni religiose, nella misura in cui vivono valori evangelici e rimangono aperti all'azione dello Spirito" (Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, Dialogo e annuncio, 35). Ciò vale specialmente - come ci ha indicato il Concilio Vaticano II nella dichiarazione Nostra Aetate - per le religioni monoteistiche dell'ebraismo e dell'islam. Con questo spirito nella bolla di indizione dell'anno giubilare ho formulato questo auspicio: "Possa il Giubileo favorire un ulteriore passo nel dialogo reciproco fino a quando un giorno, tutti insieme - ebrei, cristiani, musulmani - ci scambieremo a Gerusalemme il saluto della pace" (Incarnationis mysterium, 2). Ringrazio il Signore per avermi dato, nel mio recente pellegrinaggio nei Luoghi Santi, la gioia di questo saluto, promessa di rapporti improntati ad una pace sempre più profonda e universale.

Giovanni Paolo II

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