A est non c’è solo il lato violento dell’islam. La fecondità del terzo millennio nascerà dall’incontro dell’Occidente cristiano con l’Asia. Parla il teologo ortodosso Olivier Clément

«Nel XX secolo il cristianesimo s’è approfondito come non mai. Il Dio della denuncia e della condanna ha fatto posto al Dio che non cessa di darci la forza della resurrezione e della vita»
«Il mondo non ha ancora visto né sentito niente». Lo assicura Olivier Clément, teologo ortodosso, e si riferisce al ruolo dei cristiani in un mondo segnato da contrasti d'identità e dal vuoto lasciato dall'ideologia comunista.

Professore, lei è «un passatore» tra due mondi ieri opposti. Come ha vissuto il passaggio al nuovo millennio?

«In realtà l'inizio del nuovo millennio rappresenta la naturale continuazione della vera cesura storica, rappresentata dagli avvenimenti del 1989, in particolare dalla caduta del muro di Berlino. Come uomo del XX secolo, ho assistito al crollo della seconda delle grandi ideologie che lo avevano contraddistinto: il comunismo, ateismo razionalista, che aveva l'ambizione di costruire un uomo nuovo. Il vuoto, lasciato dalle ideologie nichiliste è stato colmato da quella che è stata poi definita la globalizzazione. Si sono prodotti contrasti d'identità in numerosi campi, tra cui uno di quelli che più mi sta a cuore è quello delle relazioni ecumeniche tra le Chiese d'Oriente e d'Occidente. Da un lato sembrava inevitabile non pensare più soltanto in termini di nazioni e nemmeno d'Europa, ma dall'altro ciascuno è ormai tentato di rinchiudersi in ciò che ha ritenuto essere il meglio di sé. Anche a costo di trasformarlo nel peggio di sé. Da qui un rifiuto della mondializzazione che si spiega con la paura di finire annegati in un'universalità mediocre, una sottocultura, soprattutto nordamericana. L'esempio dell'islam ci fa capire (eccome!) quanto questi contrasti siano tuttora in corso. Io stesso, prima di molti miei amici musulmani, ho visto cambiare l'islam, che è diventato ormai sinonimo di rottura e di rifiuto».

Gli attentati dell'11 settembre 2001 si inseriscono sulla scia di questi nuovi contrasti. Qual è la sua analisi in merito?

«Si attendeva da anni il ritorno della guerra, sotto una forma o un'altra. Ma l'islam non può essere ridotto a questi atti di distruzione, se non per coloro che inquadrano la loro analisi nell'ottica di un i mminente scontro tra civiltà. Il che non farebbe altro che accentuare i drammi. Ciò che mi spaventa veramente, oggi, è l'odio profondo accumulato nei confronti dell'America. Gli attentati dell'11 settembre avrebbero potuto essere l'occasione per chiedersi quali potevano essere le cause di questi sentimenti. Ma non è stato così, anzi è successo il contrario».

Che impressione le hanno fatto le argomentazioni di Bush, che ha invocato una nuova lotta del Bene contro il Male e ha stigmatizzato un asse del Male con accenti fondamentalisti?

«Si tratta di uno stravolgimento di un discorso religioso legato alla crescita, negli Stati Uniti, di un tipo di protestantesimo che vede nella vittoria d'Israele l'annuncio della parusia. Si tratta altresì di un ritorno al sogno degli immigranti del XVII secolo che, attraversando l'Atlantico, pensavano di diventare in qualche modo un nuovo popolo eletto. Come abitante di quella che è stata definita la vecchia Europa, io dico no a questo uso delle credenze religiose come fonte di violenza. Il fatto di ricorrere al discorso sul Bene e sul Male mi sembra dunque abbastanza spaventoso. Se colui che lo utilizza si considera il difensore del Bene, potrebbe benissimo pensare che tutto gli è permesso per difenderlo. Al centro della nostra attenzione devono essere due veri e propri cancri: uno è più lento ed è quello che divora l'Africa, l'altro è violento e rapido ed è quello che alimenta il dramma palestinese».

In un contesto simile, in che modo i cristiani, ormai minoritari, soprattutto nei Paesi di più antica cristianità, possono inserirsi nella modernità ed ambire a orientarla?

«Sono fermamente convinto di una cosa: il cristianesimo è ancora giovane, il mondo non ha ancora visto niente. Essendo in minoranza, i cristiani devono aggrapparsi allo spirituale, al di là della storia, e allo stesso tempo devono testimoniare una spiritualità profetica e creatrice, capace di illuminare la storia stessa. Abbiamo la fortuna di beneficiare dell'ap porto di un secolo in cui il cristianesimo si è approfondito come non era mai accaduto. L'immagine che ci si fa di Dio è cambiata considerevolmente. Il Dio della denuncia, della condanna ha lasciato il posto a un Dio che è una sorta di pienezza e d'amore e di pace, costantemente crocifisso egli stesso su tutto il male del mondo e che, allo stesso tempo, non cessa di darci la potenza della resurrezione, della vita. La morte successiva del Dio della cristianità chiusa e dell'uomo dell'umanesimo chiuso ci permette quindi, oggi, di riaffermare con forza rinnovata il mistero del Cristo e della divino-umanità. I pensatori russi avevano già anticipato questo movimento. Per un lungo periodo l'accento era stato posto sul divino, anche a costo di schiacciare l'umano e la libertà. Poi l'umano ha minacciato di schiacciare il divino. Ora andiamo verso l'incontro del divino e dell'umano. L'unico umanesimo valido è il divino-umanesimo. Ciò significa che il fine dell'uomo è Dio e che il fine di Dio, se posso osare dirlo, è l'uomo. Proprio in questo divino-umanesimo si trova una delle chiavi del nuovo millennio».

Il ruolo delle religioni continua comunque ad essere oggetto di discussione anche in Europa, quando si tratta di inserire i valori cristiani nel preambolo della Costituzione. Come si spiega il perdurare di queste paure?

«È il frutto della storia. La prospettiva è però notevolmente falsata. Laicità significa rispetto di tutti gli approcci. L'anticlericalismo che culmina in un certo laicismo non è altro che uno di questi approcci, e il fatto che si tratti dell'approccio dominante è ancora più incomprensibile. Oggi la laicità non arriva al fondo di se stessa e non si rimette in causa, in quanto ideologia, in nome del rispetto dell'altro. Il problema riguarda anche i cristiani, che devono iniziare a rispettare la fede, e l'assenza di fede, degli altri. La posta in gioco, secondo me, è una certa lealtà nei confronti della verità dell'uomo. Non si può tentare di capire l'uomo se si evita il religioso e l'antireligioso. E in fin dei conti tutta la storia è una storia di religione o di rifiuto della religione. Bisogna interpretare la parola religione non come religione dominante su questo o quel territorio, ma come un'apertura verso il mistero. Bisogna rispondere alle domande dell'uomo di oggi, ormai orfano. Egli non ha radici all'infuori dello spazio-tempo. Si sente perduto in un universo illimitato, discende dalla scimmia e va verso il nulla. Bisogna approfondire la storia senza fuggire da ciò che è religioso, mostrando ai bambini e ai giovani in particolare, che rischiano oggi più che mai di diventare degli "immemori", che il senso del religioso non è qualcosa di assurdo, superato, bensì qualcosa che essi stessi possono provare di fronte alla morte, per tradurre la bellezza e vivere d'amore».

In questo millennio appena iniziato ciò che colpisce l'osservatore è l'eccesso di spiritualità e di guru. Qual è il contenuto del ritorno di Dio sul pianeta delle religioni?

«Dio non fa in continuazione viaggi di andata e ritorno. Ciò non ha senso. Tuttavia, l'idea di un ritorno di Dio può aiutarci ad intavolare la conversazione con i nostri contemporanei, ed è quindi un'occasione da non perdere. Per fare che cosa? Per dare una nuova iniezione di spiritualità alla religiosità, cercando di promuovere il dialogo delle religioni e delle culture tra loro, invece di rifugiarsi in una spiritualità senza contenuto, una sorta di world religion acchiappatutto, servita à la carte. I cristiani sono chiamati ad approfondire ciò che è loro dato e ciò che è Rivelazione, invece di essere tentati da questa "pappetta senza creatore", che potrebbe alimentare qualsiasi tipo di abuso e di menzogna. Per questo millennio credo molto nella crescente fecondità di un incontro tra l'Oriente e l'Occidente. E non solo dal punto di vista dell'ecumenismo tra cattolicesimo ed ortodossia. Parlo dell'incontro tra il mondo cristiano e l'Asia. Mi colpisce molto il fatto di sapere che in una città come Montpellier ci sono duecento persone che formano un gruppo induista. Così come mi è capitato, durante un soggiorno in Giappone, di condividere le mie idee con scintoisti dotati di una sensibilità tutta cristiana. Senza rimettere in causa i fondamenti stessi del cristianesimo, questo incontro ha varie possibilità di riuscire a nutrire uno straordinario approfondimento».

Su quali punti in particolare?

«Ritengo che l'India e il buddismo siano più sensibilizzati dal cristianesimo di quanto non si creda. In India, Paese che conosco bene, si parla di tre vie: quella dell'azione, quella della conoscenza e quella dell'amore. Attualmente la via dell'amore è in crescita. Lo stesso fenomeno si verifica con il buddismo. Anche se secondo il buddismo classico l'uomo è un aggregato permanente, al giorno d'oggi alcuni buddisti non esitano a parlare della persona, nel senso della rivelazione biblica e cristiana. Il cristianesimo, per esempio, porrà maggiormente l'accento sui percorsi della vita interiore, il corpo. Questa spiritualità del terzo millennio non sarà tanto rifiuto quanto piuttosto trasfigurazione - una spiritualità pasquale, una spiritualità della resurrezione».
Robert Migliorini
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[Fonte: settembre 2003, Avvenire, per gentile concessione del quotidiano «La Croix»]

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