«Guerra d'estate, pace d'inverno»
Gianni Riotta, Corriere della Sera 18 agosto 2006


A cena con Hezbollah?

La guerra d’estate è finita, ma la pace d’autunno richiederà drammatiche fatiche per durare almeno fino all’inverno. Hezbollah, il Partito di Dio dello sceicco Nasrallah, ritiene di aver vinto la battaglia, piegando l’orgoglioso esercito di Israele. Le sue bandiere gialle garriscono sul fiume Litani, che l’esercito libanese di Fouad Siniora attraversa su vetusti blindati. Le sue armi sono custodite in depositi sicuri, i suoi ministri hanno votato per il dispiegamento delle truppe, ma a patto che gli arsenali non vengano toccati.

Siniora vede con ansia il Partito di Dio atteggiarsi a patrono della ricostruzione, con l’offerta a chi ha perduto la casa sotto le bombe israeliane, di un anno di affitto e coupons per i mobili, sponsor l’Iran. Walid Jumblatt, leader druso, teme che l’Onu arrivi tardi. I cristiani maroniti sperano che Hezbollah deponga le armi, non solo al confine, ma in tutto il Libano.

Ma chi, quando e come disarmerà Hezbollah? La risoluzione 1701 è più morbida di un piatto di hummus sul tema. Non prescrive che il Partito di Dio debba trasformarsi in formazione civile. Ma poiché 1701 si fonda sulla risoluzione 1559 e sugli accordi di pace di Taif 1989, si può sostenere con legittimità che il mandato di neutralizzare i missili di Nasrallah, resta la missione cruciale dei Caschi Blu.

La confusione rende i vertici militari cauti. I nostri generali, in servizio e in pensione, con nome e cognome o con discrezione, confermano che schierarsi tra Israele ed Hezbollah senza regole chiare, conduce a disastro o impotenza. I 15.000 Caschi Blu, osserva il veterano diplomatico americano Dennis Ross, dovrebbero in poche settimane bloccare il traffico di armi da Teheran e Damasco, ma come se non hanno potere di ispezione e non sono mobilitati lungo il confine con la Siria? Potranno intervenire nei campi militari Hezbollah? O prevenire la ricostruzione della ragnatela di bunker? Non ci vuole l’esperienza di Ross per capire che la forza di pace non riuscirà, da sola, a risolvere il problema. 1701 e cessate il fuoco di agosto sono un punto di partenza, non «la pace». Ma, in Medio Oriente, in Europa e in America, troppi non resistono al gioco di cantar vittoria.

Ora, mentre Nasrallah medita come investire il successo tattico, Siniora come spingerlo nell’angolo tra gli elogi, Israele mette sotto inchiesta il primo capo di stato maggiore ufficiale dell’Aeronautica, Dan Halutz, persuaso che bastassero i blitz dei bombardieri per vincere. L’Iran ritiene di aver guadagnato tempo per il suo disegno nucleare e la Siria sa che senza Damasco non ci sarà pace. Come nel 1993 e nel 1996, quando apparirà conveniente, i razzi di Hezbollah, katiusha se i più micidiali Fajr e Zilzal saranno indisponibili, rimetteranno Israele sul piede di guerra.

La Francia, che aveva offerto con il presidente Chirac di assumere il comando dei Caschi Blu, per ora, si limita a raddoppiare, da 200 a 400, i «vigili urbani» della missione Unifil. Bene, ma non basteranno quei flic in armi a impedire un nuovo conflitto. Che fare allora? Hanno ragione il premier Prodi e ilministro Parisi a chiedere all’Onu più chiarezza di quanto la fumosa 1701 garantisce. Ma Kofi Annan non ha fretta, appuntamento alla prossima settimana. E Rutelli e Berlusconi fanno bene a ricordare che, con Hezbollah in armi, nulla cambierà.

Quanto a D’Alema la sua visione di Hezbollah inquadrato nell’esercito regolare libanese è scommessa che, come negoziare con Hamas a Gaza e discutere con la Siria, potrebbe rivelarsi alla fine inevitabile, pur dopo un lungo percorso, non scevro di pericoli. Hezbollah è ritenuta, in Europa e in America, un gruppo terrorista e la metamorfosi non sarà facile. In Israele il dilemma strategico di discutere con il nemico si chiama «a cena con il diavolo». Ha funzionato in Irlanda e, secondo D’Alema, potrebbe funzionare in Libano. Nessuna strada va tralasciata, ricorda il New York Times a proposito di Siria, a patto di chiarire a Nasrallah che l’alternativa alla carota del negoziato è la forza di un contingente Onu non imbelle come quello di Srebrenica.

Le forze democratiche della primavera libanese sanno che, finché la Legione Straniera sciita resta in armi, Beirut sarà feudo di Siria e Iran. La guerra d’estate è finita, l’artiglieria tacerà per poco tempo, ma solo attraverso un disegno politico di negoziati sarà possibile guadagnare qualche posizione, verso una pace stabile, per ora miraggio di una stagione a venire.

| indietro | | inizio pagina |