Dal presepe rimbalza la questione integrazione

Mescolarsi nel rispetto con identità non scolorite
Ulderico Bernardi, su "Avvenire" del 14 dicembre 2004

Pare che in alcune (solo alcune) scuole, le statuine del presepe vengano considerate non politicamente corrette. Gli estatici pastori con le loro greggi, il bue, l'asinello, potrebbero forse andar anche bene, per una manifestazione animalista o per ambientalisti arcadici. Ma lo scandalo è Gesù Bambino. Insopportabile quel richiamo al figlio di Dio, che confonde il suo volto nelle fattezze di ogni essere umano, facendo memoria dei doveri verso il prossimo. Secondo qualcuno offende i credenti d'altri culti. Non certo ebrei e musulmani, che condividono il cuore dei valori espressi nella dottrina cristiana. 

Chi, allora, può sentirsi sconvolto dalla rappresentazione della Natività? Domanda che potrebbe suonare retorica solo quando si dia per scontata un'adeguata educazione al dialogo tra le culture. Gli Stati Uniti d'America sono pieni di barzellette sul politicamente corretto. La nazione dove i processi d'integrazione sono una cosa affrontata con qualche serietà deride se stessa per gli eccessi di zelo. Che finiscono con il mortificare ciò che vorrebbero tutelare. Presidi e insegnanti delle scuole dedite alla pratica ruspante del relativismo assoluto, piuttosto che aiutare i bambini che si preparano a diventare, prima o poi, cittadini italiani consapevoli mediante la conoscenza della storia, della cultura, della lingua del Paese dove vivono, spingono invece verso un'omologazione al neutrale, che in questo caso assomiglia tanto al nulla.

Agiscono in buona fede, si dirà. Ma quale fede? Il pedagogismo spaventato e rinunciatario? Un finto progressismo suicida, che procede in senso contrario all'intendere comunitario? L'aspirazione, insensata, alla conformità, in un mondo che vede come irrinunciabile il pluralismo culturale, dunque il rispetto e non la rimozione delle differenze? Per l'essere umano, costruttore di cultura, affrontare le questioni con scienza e coscienza è condizione della sua umanità. Se si toglie alle persone il loro riferimento alla concreta cultura cui appartengono - per ambiente, storia e vincoli antropologici - si creano sradicati, a disagio nel mondo e con se stessi. 

Le nostre feste sono piuttosto opportunità per aiutare i bimbi d'altre culture, e tramite loro i genitori, a capire dove vivono, conoscendo e confrontando comportamenti e contenuti. Perché da adulti possano partecipare con consapevolezza critica alla vita della comunità - locale e nazionale - dove sono inseriti. Rispettandone i principi essenziali. In nome delle generazioni che si succedono. Il presente, ricordava Sant'Agostino, si compone di presente del passato o memoria, di presente del presente o attenzione, di presente del futuro o attesa. 

Chi ragiona solo sull'attualità, offende i predecessori e compromette le relazioni dei successori. Onestamente, un buon investimento sui processi d'integrazione dovrebbe cominciare dalla formazione dei formatori. Che hanno grandi responsabilità riguardo a come vivremo domani. Si sa che solo chi è ben radicato nella propria cultura è in grado di confrontarsi positivamente con l'altrui. Per rendere fecondo lo scambio fra diversi. 

La società multiculturale non è un pastone informe, bensì la condivisione di valori essenziali, senza nulla togliere alla specificità delle differenti espressioni. Una società aperta significa dare pieno risalto all'interculturalità, per il bene comune. Che nulla ha a che vedere con una marmellata di culture ridotte a conformità. L'improvvisazione educativa, la morale autogestita, sono i naturali nemici della pace sociale. Preoccupa fortemente la superficialità che caratterizza certa programmazione didattica.

 L'integrazione è questione nazionale. L'allarme suona ora sul fronte delicatissimo e prezioso della scuola, dove anche un umile segno come il presepe da risorsa si trasforma in rifiuto. Ma lo scenario rischia di farsi più ampio.

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