Perché piegare la schiena 
di fronte all'assalto fondamentalista?


Un editoriale di Angelo Panebianco dal Corriere della Sera di martedì 21 febbraio 2006

Bisognava aspettare che parlasse Benedetto XVI per sentire le parole ferme e chiare che i timorosi leader politici europei non sanno pronunciare. Il Papa ha deplorato la mancanza di rispetto per i simboli religiosi, ma ha anche dichiarato totalmente inaccettabile la violenza in nome della fede. Confrontate le parole del Papa con l'inerzia delle capitali europee di fronte alla selvaggia violenza scatenata nel mondo islamico col pretesto delle vignette satiriche. Sarebbe questa la «potenza civile», quella che, secondo certi involontari umoristi, avrebbe dovuto, niente meno, «bilanciare» la potenza americana, e imporre la propria autonoma influenza sui destini del mondo? Assalti alle ambasciate europee anche nei Paesi ove niente avviene se i tiranni non lo ordinano, l'uccisione di un sacerdote cattolico, i cristiani trucidati in Nigeria, gli assalti alle chiese in Pakistan, le manifestazioni antioccidentali dette «spontanee», organizzate da religiosi estremisti ovunque. E l'Europa sa solo balbettare «ci vuole il dialogo».

Quando il regime siriano ordinò l'assalto alle ambasciate danese e norvegese, quando una squadraccia assaltò la sede dell'Unione europea in Palestina, l'Europa non reagì sentendosi colpita tutta, non reagì contro quegli atti di guerra chiarendo che non se ne sarebbero tollerati altri. Ogni giorno che passa l'Europa (come ha scritto Galli della Loggia su questo giornale) trasmette il senso della propria nullità politica e manda un chiaro messaggio a quel vasto mondo fondamentalista, di cui il terrorismo jihadista è l'appendice armata: potete esercitare contro di noi qualunque prepotenza avendo la certezza che noi cederemo. D'accordo, sono fanatici, pericolosissimi, e ci fanno paura. Ma non è mai accaduto nella storia che si subisse la prepotenza altrui senza ricavarne grandi disgrazie.

Non si è sentito neanche un leader europeo di peso, da quando è cominciata l'orchestrata sollevazione contro le vignette, dire al mondo islamico quanto andava detto, ossia che quelle vignette erano di pessimo gusto, ma anche che il cattivo gusto è un prezzo che noi paghiamo per la libertà, e che essi non devono osare mettersi contro le nostre libertà. Non si è sentito un leader europeo, ad esempio, dire ai governanti musulmani che pretendiamo che si dissocino da quei fanatici pronti a pagare a peso d'oro l'assassinio dei disegnatori danesi.

La vicenda italiana è parte di questa latitanza europea. Ha ben detto Magdi Allam sul Corriere di ieri: va bene che Calderoli venga licenziato ma non per ordine di Gheddafi. Ma sia da parte del premier che da parte del suo oppositore Prodi, abbiamo sentito parole di eccessiva comprensione per il tiranno di Tripoli. Somiglia alla sindrome di Stoccolma. La stessa che vediamo in azione nei tribunali che non riescono a colpire i jihadisti (e non si è capito se sono sbagliate le leggi o le prassi giudiziarie). La stessa che dopo l'11 settembre ha spinto tanti a prendersela con Oriana Fallaci piuttosto che con i fondamentalisti (la prima non fa paura, i secondi sì). La stessa che ci fa scandalizzare più per ogni pagliuzza nei nostri occhi che per le travi negli occhi loro.

Tenere la schiena dritta quando altri ti scatenano addosso una guerra di civiltà che non avresti mai voluto combattere è difficile. Ma piegare la schiena significa la rovina sicura.

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