La Dichiarazione "Dominus Jesu" ha sollevato un problema ecumenico cruciale

Dov’è la vera chiesa?

Sono state date risposte a questa antica domanda. La vera chiesa è nascosta nel vissuto delle persone che, nel nome di Gesù Cristo, credono, amano e sperano

di PAOLO RICCA

La Dichiarazione Dominus Jesu ha avuto vasta eco e suscitato molte critiche giustificate, opportune e doverose, di cui anche Riforma si è fatta portavoce: critiche prevedibili, quasi scontate, da parte ortodossa e protestante, come pure da parte ebraica. Meno prevedibile, e per alcuni abbastanza sconcertante, è stato l'«altissimum silentium» (diremmo con la Confessione di Augusta), il «silenzio profondissimo» da parte cattolica, con poche e per lo più flebili eccezioni. Alcuni si aspettavano una levata di scudi diffusa e decisa, specialmente da parte di quei cattolici che da anni promuovono e praticano, anche con noi evangelici, un ecumenismo non finto. Questa pubblica levata di scudi non c'è stata, anche se sappiamo che i cattolici ecumenici si sono quasi sentiti traditi dalla Dichiarazione vaticana e l'hanno vivamente deplorata, a differenza di altri cattolici che l'hanno applaudita. La Dichiarazione peraltro non pone formalmente alcun veto al proseguimento del dialogo né intende bloccare la partecipazione cattolica al movimento ecumenico, che essa però inquadra in modo tale da non consentirgli altro sbocco ragionevole che il ritorno a Roma di ortodossi e protestanti, uno sbocco (è necessario ripeterlo?) inaccettabile e neppure seriamente proponibile.

Il silenzio della maggior parte dei cattolici ecumenici può aver sconcertato qualcuno ma non deve stupire. Roma, si sa, dialoga a tutto campo fuori casa. In casa propria, invece, il dialogo ha limiti precisi: la parola vincolante dell'«autorità superiore». Il sistema cattolico romano funziona grazie a un consenso, di cui l'ubbidienza è parte integrante. A Roma, a differenza che a Barbiana, l'ubbidienza è ancora una virtù. Può anche trattarsi, in questa o quella occasione, di adesione solo esteriore, alla quale non corrisponde sempre e necessariamente l'intima persuasione della coscienza; ma l'ossequio formale è indispensabile. Meglio se anche sostanziale. Quello formale comunque, non può mancare. Se manca, il sistema si inceppa e il ribelle viene censurato e, se recidivo espulso. Ubbidire si deve, soprattutto se non si è d'accordo. La coscienza individuale paga con il suo silenzio il prezzo necessario per salvaguardare da un lato la coesione della compagine ecclesiale cattolica e dall'altro, al suo interno, la propria, residua libertà di azione. Così lo spazio pubblico viene tutto occupato dalla parola dell'«autorità superiore» mentre la voce della coscienza dei cattolici critici o dissidenti resta confinata all'ambito delle conversazioni ed esternazioni private. Ci sono però state, anche in quest'ultimo caso, alcune luminose eccezioni: a Trento, ad esempio, il responsabile diocesano per l'ecumenismo, don Silvio Frank, ha preso pubblicamente posizione su un giornale cittadino contro la Dichiarazione vaticana. C'è, dunque, chi è capace di atti di libertà (forse costosi) e non si limita ad atti di ubbidienza (forse sofferti).

Un problema cruciale

Al di là dei consensi o delle critiche, la Dichiarazione vaticana ha comunque sollevato un problema ecumenico cruciale: quello della vera chiesa di Cristo sulla terra o, come dice il cardinale Ratzinger, della «chiesa in senso proprio». Dov’è questa chiesa? C'è oppure non c'è? E se c'è, qual è? Domande antiche come la chiesa stessa, hanno accompagnato la sua storia fino ai nostri giorni. Durante il nazismo (per fare un esempio relativamente vicino a noi) la «Chiesa del Reich» (evangelica) fu considerata falsa da molti evangelici che ne costituirono un'altra, minoritaria, la cosiddetta «chiesa confessante», al suo interno ma in alternativa ad essa. Tanto che Bonhoeffer giunse a dichiarare, in un certo momento della sua vita: «Fuori della chiesa confessante non c'è salvezza»; non c'è sicuramente nella Chiesa del Reich.

Più recentemente, negli Anni Ottanta, una chiesa (riformata) del Sud Africa fu esclusa dalla comunione dell'Alleanza riformata mondiale perché appoggiava l'apartheid, rinnegando in tal modo se stessa come comunità cristiana, nella quale «non c’è né giudeo, né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina» (Galati 3, 28), né bianco né nero. La domanda «Dov'è la chiesa di Cristo?», «Qual è la vera chiesa?» è dunque molto seria e tutti, almeno implicitamente la poniamo quando decidiamo di entrare a far parte di una chiesa particolare piuttosto che di un'altra. L'esistenza più che millenaria ormai di numerose chiese, con elementi in comune ma anche profonde differenze tra loro, dimostra l'esistenza di diverse risposte alla domanda: «Qual è la vera chiesa? Dov'è la chiesa di Cristo?».

«Dove due o tre...»

Una risposta semplicissima e bellissima è contenuta nell'affermazione di Gesù: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, quivi sono io in mezzo a loro» (Matteo 18, 20). Dov'è la chiesa di Gesù? E là dov'è Gesù. E dov'è Gesù? È là dove due o tre lo invocano insieme. Da questa salutare semplicità iniziale che fa dipendere la presenza della chiesa dalla presenza di Cristo (e non viceversa!), la chiesa si è presto allontanata. Già nel II secolo Ignazio d'Antiochia creò non poca confusione e molte illusioni con il suo celebre: ubi episcopus, ibi ecclesia (dov'è il vescovo, ivi è la chiesa), che avrà fatali conseguenze nella storia cristiana. Al tempo di Agostino, a cavallo tra il IV e il V secolo, c'erano in Africa del Nord due chiese, quella cattolica e quella donatista, che rivendicavano ciascuna di essere la vera chiesa e contestavano all'altra il diritto di chiamarsi «chiesa». Nel IX secolo, con la separazione tra la chiesa d'Oriente e quella d'Occidente, gli ortodossi si chiamarono così per affermare la loro fedeltà al modello apostolico, contro quella che essi chiamavano e ancora (giustamente) considerano «l'eresia latina» che ha nelle pretese di primato del vescovo di Roma la sua più vistosa espressione.

La chiesa è nascosta

Con la Riforma il dibattito si accese anche in Occidente. A Erasmo,, che vantava l'autorità della chiesa e l'affidabilità dei suoi giudizi, Lutero replicava: «La vera difficoltà qui è stabilire se coloro che tu chiami la chiesa siano veramente la chiesa... La condizione permanente della chiesa di Dio è stata proprio questa: che fossero indicati come popolo e santi di Dio alcuni che non lo erano; mentre altri, che vivevano come un piccolo residuo in mezzo ai primi, lo erano, ma non venivano chiamati popolo e santi di Dio... La chiesa di Dio, mio caro Erasmo, non è qualcosa di così comune come le parole "chiesa di Dio", né i santi di Dio s'incontrano così facilmente come le parole "santi di Dio". Sono come perle e nobili gemme che lo Spirito conserva nascoste, affinché gli empi non vedano la gloria di Dio... Che faremo dunque? La chiesa è nascosta, i santi non si vedono...» (M. Lutero, Servo arbitrio, Claudiana 1993, pp. 151, 152, 155, 157). Ecco dunque una prima risposta, che problematizza la domanda: a chi chiede «Dov'è la chiesa?» si deve anzitutto far presente che la chiesa è tutt'altro che evidente, anzi è nascosta, perciò bisogna evitare troppo facili identificazioni. La chiesa può avere apparenze ingannevoli, può sembrare chiesa senza esserlo.

I «segni distintivi»

Esistono però «segni distintivi» che rivelano la sua presenza o quanto meno aiutano a riconoscerla. Secondo il pensiero della Riforma (come si esprime, ad esempio, nella Confessione di Augusta, n. 7), essi sono la predicazione del puro Evangelo (quello cioè testimoniato nella Scrittura) e la retta amministrazione dei sacramenti (cioè del battesimo e della cena del Signore). La Confessio Bohemica del 1575 parla di cinque «caratteri sicuri e infallibili» della vera chiesa: oltre ai due appena menzionati compaiono la disciplina ecclesiastica, la persecuzione a motivo della verità, l'ubbidienza alla legge di Cristo, in particolare l'amore fraterno.

Applicando alle diverse chiese, a cominciare dalla nostra, questi segni di riconoscimento, diventa evidente quanto sia difficile, per qualunque chiesa che abbia di sé «un concetto sobrio» (Romani 12, 3), dichiararsi «vera chiesa di Gesù Cristo». In questo campo è facile confondere il desiderio con la realtà e cibarsi di illusioni. Ogni chiesa si presenta come «vera chiesa di Gesù Cristo» e cerca di esserlo, ma il giudizio finale spetta a Dio e non alla chiesa. «Non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore» (I Corinzi 4, 5). Sarà lui a dire se siamo stati chiese vere o apparenti. D'altra parte, lo sappiamo bene, la verità della chiesa non sta nella sua consacrazione, ubbidienza e coerenza, per quanto fondamentali esse siano, ma sta in qualcosa di più profondo e di più stabile, e cioè nella sua elezione, il cui segreto è in Dio, e nel suo perdono, avvenuto sulla croce. La verità della chiesa non sta nella chiesa stessa ma in Dio e in Cristo. Questo significa che siamo chiesa per grazia, e vera chiesa perché la grazia è vera, anzi è l'unica verità, la verità di tutte le verità. Non abbiamo altra verità che quella della grazia che ci è stata fatta e di cui ogni giorno viviamo. Ogni chiesa cristiana deve dire di sé quello che diceva l'apostolo Paolo: «Non sono degno di essere chiamato apostolo... ma per la grazia di Dio io sono quello che sono» (I Corinzi 15, 9-10). Non son degna di essere chiamata chiesa, ma per la grazia di Dio lo sono veramente.

«Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti la grazia non è più grazia» (Rom. 11, 6). Non è per quello che ho (come una lunga storia, una gloriosa tradizione, tanti martiri e testimoni, una stupenda liturgia, una fiorente teologia, una multiforme diaconia, un'intrepida missione interna ed esterna, una ricchezza e varietà di ministeri, mia solida, funzionale ed incisiva struttura, e si potrebbe continuare) o per quello che faccio che sono chiesa, ma per quello che Cristo ha e fa; non è per quello che sono chiesa, ma per quello che Cristo è per tutti e anche per me. La giustificazione per grazia mediante la fede vale tanto per il singolo credente quanto per la comunità cristiana. La vera chiesa è quella giustificata per grazia mediante la fede «che opera per mezzo dell'amore» (Galati 5, 6).

Il discorso della Dichiarazione vaticana è molto diverso. L'orizzonte della giustificazione per fede è inesistente. La Chiesa cattolica romana si considera in esclusiva la vera chiesa di Cristo non perché è anch’essa perdonata e giustificata per grazia ma perché, come ha detto il Vaticano II, «è in possesso di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia» (Unitatis redintegratio, n. 4). Non le manca quindi nulla, tranne quello che di buono c’è nelle altre chiese e che «appartiene di diritto [iure] all'unica chiesa di Cristo» (Unitatis redintegratio, n. 3). Così ragionava, nel secolo apostolico, anche la chiesa di Laodicea (Apocalisse 3, 17).

Cristo è l'unità di misura

Ma su che cosa è fondata la presunzione di Roma di essere la chiesa di Cristo «in senso proprio» a differenza di tutte le altre? I due criteri dell'apostolicità (cioè della qualità apostolica, autenticamente cristiana della chiesa) indicati dalla Dichiarazione vaticana sono «l'episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico» (n. 17). A parte il fatto che non sono questi i criteri biblici per individuare (per quanto umanamente possibile) la vera chiesa, non si può non essere d'accordo con Eberhard Jüngel, noto teologo evangelico tedesco, che in un suo commento alla Dichiarazione osserva: «A proposito dell'eucaristia, ci si può ben chiedere se la dottrina della transustanziazione vigente nella chiesa cattolica romana e l'abituale distribuzione della Cena sotto una sola specie - il calice è di solito riservato al sacerdote - non stiano in stridente contrasto con la tradizione neo-testamentaria. Anche l'idea che la successione apostolica sarebbe garantita dal ministero episcopale è tutt'altro che biblica. I successori degli apostoli, infatti, non sono per nulla i vescovi. Successore degli apostoli è il canone biblico. Di conseguenza sta o meglio si muove nella successione apostolica quella chiesa, e quella soltanto, che nell'orizzonte dei problemi via via da affrontare nel nostro tempo, predica secondo la Scrittura, insegna secondo la Scrittura, agisce secondo la Scrittura, in breve: vive secondo la Scrittura».

Se è così, e dal nostro punto di vista è così, noi ci chiediamo se nel momento in cui la chiesa di Roma elenca le sue prerogative (reali o presunte), rivendica i suoi privilegi, proclama la sua unicità ed esclusività, dispiega «tutti i tesori della Nuova Alleanza» che, secondo il Vaticano II, il Signore stesso le avrebbe affidato (Unitatis redintegratio, n. 3) la chiesa di Cristo sussista davvero nella chiesa di Roma, oppure no. Ma non siamo chiamati a giudicare gli altri, e neppure noi stessi. Non vorremmo a nostra volta cadere nella seduzione del narcisismo religioso, proprio di chi si innamora della propria immagine. Detto questo la nostra chiesa cerca anch'essa, come le altre, di essere vera e non apparente, pur sapendo con l'apostolo Paolo di non essere «giunta alla perfezione» (Filippesi 3,12). Perciò, consapevole dei propri limiti, della propria incompiutezza e delle proprie infedeltà, essa invoca la misericordia di Dio e continua la propria conversione a lui. Per quanto attiene invece i rapporti delle chiese tra loro esse potrebbero utilmente seguire, come suggerisce il documento sull'ecumenismo votato dal nostro Sinodo nel 1998, la regola dell'apostolo Paolo là dove dice: «Se uno pensa di esser qualcosa pur non essendo nulla, egli inganna se stesso. Ciascuno esamini invece l'opera propria; così avrà modo di vantarsi in rapporto a se stesso, e non perché si paragona agli altri» (Galati 6, 3-4). Ogni chiesa è dunque chiamata a misurarsi non sulle altre ma sul Signore. È lui «l'unità di misura di tutte e di ciascuna».

Qual è dunque la vera chiesa di Cristo? E dov'è? È nascosta per grazia e per sola grazia in ogni chiesa. Non però nell'evidenza delle istituzioni di qualunque tipo ma nel vissuto delle persone che, nel nome di Cristo, credono, amano e sperano; uomini e donne per lo più oscuri e sconosciuti che vivono la comunione con Cristo e lo seguono. La vera chiesa è nascosta, caro cardinale Ratzinger. Essa infatti non è qualcosa di così comune come le parole «chiesa di Dio», né i santi di Dio si incontrano così facilmente come le parole «santi di Dio»... La chiesa è nascosta, i santi non si vedono...

(Tratto da Riforma del 6 ottobre 2000 n. 38)


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