«Effetto Ratisbona: lettera aperta di 38 musulmani al Papa»
Sandro Magister, www.chiesa 18 ottobre 2006

I quali, invece che dirsi offesi e pretendere scuse, gli esprimono rispetto e dialogano con lui su fede e ragione. Su molti punti dissentono. Ma criticano anche quei musulmani che vogliono imporre con la violenza "sogni utopistici nei quali il fine giustifica i mezzi"

Un mese dopo la sua lezione all'Università di Ratisbona, è arrivata sul tavolo di Benedetto XVI una "lettera aperta" firmata da 38 personalità musulmane di differenti paesi e orientamenti, che discute punto per punto i giudizi sull'islam espressi dal papa in quella lezione.

La lettera è arrivata a papa Joseph Ratzinger tramite la nunziatura vaticana ad Amman, alla quale l'ha affidata uno dei firmatari, il principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, consigliere speciale del re di Giordania Abdullah II.

Il suo testo integrale, in inglese, può essere letto da domenica 15 ottobre nel sito di "Islamica Magazine", un periodico edito negli Stati Uniti che ne detiene il copyright.

Alla lettera seguono i nomi e i ruoli dei 38 primi firmatari, ai quali altri potranno aggiungersi.

Gli autori della lettera accolgono e apprezzano senza riserve i chiarimenti fatti da Benedetto XVI dopo l'ondata di proteste salita dal mondo musulmano alcuni giorni dopo la lezione di Ratisbona, in particolare il discorso rivolto dal papa ad ambasciatori di paesi musulmani il 25 settembre, così come il richiamo fatto dal cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, in una nota del 16 settembre, del documento conciliare "Nostra Aetate".

Non solo. Essi condannano con parole fermissime l'assassinio avvenuto in Somalia, nella musulmana Mogadiscio, di suor Leonella Sgorbati, con ciò associandolo a quelle stesse proteste che in quel momento erano all'acme:

"Siamo in dovere di attestare che l'uccisione il 17 settembre di una innocente suora cattolica in Somalia – ed ogni altro simile atto di insensata violenza su individui – 'in reazione' alla lezione all'università di Ratisbona è completamente fuori dall'islam, e noi condanniamo totalmente tali atti".

Di Benedetto XVI gli autori della lettera apprezzano la volontà di dialogo. Ma soprattutto prendono molto sul serio le sue tesi. Qualcuna la "applaudono" – come "lo sforzo di opporsi al dominio del positivismo e del materialismo" – mentre altre le contestano, opponendo le loro ragioni.

In questo senso la lettera dei 38 – assieme al precedente saggio di Aref Ali Nayed anticipato il 4 ottobre da www.chiesa – va incontro proprio a ciò che il papa intendeva ottenere con la sua audace lezione di Ratisbona: incoraggiare anche dentro il mondo musulmano una pubblica riflessione che dissoci la fede dalla violenza e la leghi invece alla ragione. Perché, a giudizio del papa, è proprio la "ragionevolezza" della fede il terreno naturale di incontro tra il cristianesimo e le diverse religioni e culture.

Un primo punto su cui la lettera dei 38 musulmani "ragiona" con Benedetto XVI riguarda la sura 2,256 del Corano: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". Gli autori della lettera affermano che Maometto formulò tale comando non quando si trovava "senza potere e minacciato" – come ritenuto "probabile" dal papa – ma quando era in posizione di forza, a Medina. E intese con questo richiamare i musulmani, ogni volta che conquistano una terra, a "non forzare i cuori degli altri a credere".

Un secondo punto su cui la lettera si sofferma riguarda la trascendenza di Dio. Che nella dottrina musulmana Dio sia "assolutamente trascendente", come affermato dal papa, è a giudizio dei 38 firmatari "una semplificazione che può indurre ad errore". L'autore musulmano del secolo XI al quale il papa fa riferimento, Ibn Hazm, è a loro giudizio "una personalità di valore ma molto marginale, appartenente alla scuola zahirita di giurisprudenza che nel mondo islamico d'oggi non è seguita da nessuno". Non è vero – scrivono – che "la volontà di Dio non è legata a nessuna delle nostre categorie", che il Dio dell'islam sia un Dio "capriccioso" e tanto meno che possa compiacersi del sangue. Dio ha molti nomi nell'islam e la sua "clemenza e misericordia" hanno il massimo rilievo: sono presenti nella formula sacra che i musulmani recitano ogni giorno.

Terzo punto, l'uso della ragione. Gli autori della lettera scrivono che il pensiero islamico ha sempre voluto evitare due estremi: il primo è di elevare la ragione analitica ad arbitra della verità, e l'altro è di negare all'intelletto umano la capacità di affrontare le questioni ultime. Tra le domande della ragione umana e le verità della rivelazione coranica c'è una consonanza – scrivono – "che non sacrifica mai le une alle altre".

Quarto punto, la guerra santa. I 38 firmatari della lettera ricordano che la parola "jihad" significa propriamente "combattimento sulla via di Dio", che non necessariamente è guerra. Anche Cristo ha usato violenza quando ha cacciato i mercanti dal tempio. Essi riassumono così le tre regole "autorevoli e tradizionali" dell'islam sulla guerra:

– i civili non sono bersagli consentiti;
– il solo credo religioso non può rendere una persona oggetto di un attacco;
– i musulmani possono e devono vivere pacificamente accanto ai loro vicini, ferma restando la legittimità dell'autodifesa e il mantenimento della sovranità.

Se dunque alcuni musulmani – scrivono – hanno ignorato tale consolidato insegnamento sui limiti della guerra, preferendo ad esso "sogni utopistici nei quali il fine giustifica i mezzi, essi l'hanno fatto di loro iniziativa e senza l'autorizzazione di Dio, del suo Profeta, o della migliore tradizione".

Quarto punto preso in esame, le conversioni forzate. Come realtà politica – scrivono gli autori della lettera – l'islam si è certamente propagato anche per conquista militare, "ma la gran parte della sua espansione è venuta dalla predicazione e dall'attività missionaria". Il comando del Corano "nessuna costrizione in materia di fede" deve valere sempre: il fatto che dei musulmani vi disobbediscano è "l'eccezione che conferma la regola". "Noi affermiamo con la massima decisione che forzare gli altri a credere – se mai tale cosa fosse davvero possibile – non piace a Dio".

Quinto punto: il "nuovo" – per di più "cattivo e disumano" – che Maometto avrebbe portato, secondo l'imperatore bizantino Manuele II Paleologo citato da Benedetto XVI nella lezione di Ratisbona. I 38 autori della lettera obiettano che Maometto ha sempre affermato di non portare nulla di nuovo, perchè, secondo la dottrina islamica, anche prima di lui "tutti i veri profeti hanno predicato la medesima verità a diversi popoli in tempi diversi: le leggi possono essere differenti, ma la verità è immutabile".

Sesto punto discusso: gli "esperti". Gli autori della lettera negano di riconoscere come attendibili esperti dell'islam gli studiosi citati da Benedetto XVI nella lezione di Ratisbona: Theodore Khoury e Roger Arnaldez. Perché un vero dialogo interreligioso e interculturale si instauri – come il papa ha auspicato a Colonia nell'agosto del 2005 – essi reclamano che si "ascoltino le voci dei reali interlocutori, e non solo di coloro che la pensano come noi".

Settimo e ultimo punto: i rapporti tra cristianesimo e islam. Gli autori della lettera fanno notare che il seguito imponente delle due religioni, più del 55 per cento della popolazione mondiale, fa sì che il rapporto tra esse sia un fattore più che mai decisivo per la pace. A Benedetto XVI riconoscono un ruolo eccezionalmente influente "in direzione della mutua comprensione". Citano e apprezzano le parole dedicate all'islam nella dichiarazione "Nostra Aetate" del Concilio Vaticano II. Citano e apprezzano un passaggio del discorso di Giovanni Paolo II pronunciato nel 1999 [1985 -ndR] in Marocco, nello stadio di Casablanca gremito di giovani musulmani. E auspicano che "si continui a costruire pacifiche e amichevoli relazioni basate sul mutuo rispetto, la giustizia e ciò che è comune nella nostra condivisa tradizione abramitica, in particolare 'i due grandi comandamenti' in Marco 12, 29-31: 'Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi'".

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Ed ecco qui di seguito l'elenco alfabetico dei