IL CRISTIANESIMO E LE RELIGIONI

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II. I PRESUPPOSTI TEOLOGICI FONDAMENTALI

II.2. L'UNICA MEDIAZIONE DI GESÙ



A) Alcuni temi neotestamentari

32. Abbiamo già notato che la volontà salvifica di Dio Padre è unita alla fede in Gesù. Egli è l'unico nel quale si realizza il piano di salvezza: "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12). Che la salvezza si acquista soltanto con la fede in Gesù è un'affermazione costante nel Nuovo Testamento. Proprio quelli che credono in Cristo sono la vera discendenza di Abramo (cf. Rm 9,6-7; Gal 3,29; Gv 8,31-58; Lc 1,55). La benedizione di tutti in Abramo trova il suo significato nella benedizione di tutti in Cristo.

33. Secondo il Vangelo di Matteo, Gesù si è sentito specialmente inviato al popolo di Israele (Mt 15,24; cf. Mt 10,5-6). Queste affermazioni corrispondono alla presentazione propria di Matteo della storia della salvezza: la storia di Israele è orientata al suo compimento in Cristo (cf. Mt 1,22-23; 2,5-6.15.17-18.23) e la perfezione delle promesse divine si realizzerà quando saranno passati il cielo e la terra e tutto sarà compiuto (cf. Mt 5,18). Tale compimento è già iniziato con gli eventi escatologici della morte (cf. Mt 27,51-53) e della risurrezione (cf. Mt 28,2-4) di Cristo. Gesù però non esclude i gentili dalla salvezza: loda la fede di alcuni di loro, che non si trova in Israele (cf. Mt 8,10; Lc 7,9: il centurione; Mt 15,21-28; Mc 7,24-30: la sirofenicia); verranno da oriente e da occidente a sedersi a mensa nel Regno, mentre i figli del Regno saranno cacciati fuori (Mt 8,11-12; Lc 13,18-29 cf. 11,20-24). Gesù risorto dà agli undici discepoli una missione universale (cf. Mt 28,16-20; Mc 16,15-18; At 1,8). La chiesa primitiva dà inizio subito alla missione presso i gentili, per ispirazione divina (At 10,34). In Cristo non c'è differenza tra ebrei e gentili (Gal 4,24; Col 3,11).

34. In un primo senso, l'universalità dell'opera salvifica di Gesù si fonda sul fatto che il suo messaggio e la sua salvezza sono rivolti a tutti gli uomini e tutti possono accoglierla e riceverla nella fede. Nel Nuovo Testamento però troviamo altri testi che sembrano indicare che il significato di Gesù va oltre e precede in qualche modo l'accoglienza del suo messaggio da parte dei fedeli.

35. Dobbiamo notare anzitutto che ciò che esiste è stato fatto per mezzo di Cristo (cf. 1Cor 8,6; 1,3-10; Eb 1,2). Secondo Col 1,15-20 tutto è stato creato in lui, per mezzo di lui, e tutto si muove verso di lui. Lo stesso testo dimostra che questa causalità di Cristo nella creazione è in relazione con la mediazione salvifica, verso la quale è diretta. Gesù è il primogenito della creazione e il primogenito di coloro che risuscitano dai morti: sembra che nella seconda primogenitura la prima raggiunga il suo pieno significato. La ricapitolazione di tutto in Cristo è l'ultimo disegno di Dio Padre (cf. Ef 1,10). In tale universalità si distingue il ruolo speciale di Cristo nella chiesa: "Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef 1,22-23; cf. Col 1,17). Il parallelismo paolino tra Adamo e Cristo (cf. 1Cor 15,20-22.44-49; Rm 5,12-21) sembra rivolto nella stessa direzione. Se esiste una rilevanza universale del primo Adamo, in quanto primo uomo e primo peccatore, pure Cristo deve avere un significato per tutti, anche se non ne sono chiaramente esplicitati i termini. La vocazione di ogni uomo, che ora porta l'immagine dell'Adamo terrestre, è di diventare immagine dell'Adamo celeste.

36. "(La Parola) era la luce vera, quella che illumina ogni uomo venendo in questo mondo" (Gv 1,9) (2). È Gesù in quanto 'Logos' incarnato colui che illumina tutti gli uomini. Il 'Logos' ha già esercitato la mediazione creatrice, non senza riferimento all'incarnazione e alla salvezza future, e per questo Gesù viene tra i suoi, che non lo accolgono (cf. Gv 1,3-4.10-11). Gesù annuncia un culto a Dio in spirito e verità, che va oltre Gerusalemme e il monte Garizim (cf. Gv 4,21-24), riconosciuto dai samaritani che dichiarano: "Questi è veramente il salvatore del mondo" (Gv 4,42).

37. La mediazione unica di Gesù Cristo è messa in relazione con la volontà salvifica universale di Dio in 1Tm 2,5-6: "Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti". L'unicità del mediatore (cf. anche Eb 8,6; 9,15; 12,24) corrisponde all'unicità del Dio che vuole salvare tutti. Il mediatore unico è 'l'uomo' Cristo Gesù; anche qui si tratta del significato universale di Gesù in quanto è il Figlio di Dio incarnato: è il mediatore tra Dio e gli uomini perché è il Figlio fatto uomo che si è consegnato alla morte in riscatto per tutti.

38. Nel discorso di Paolo all'Areopago (At 17,22-31) appare chiaramente che la conversione a Cristo implica una rottura con il passato. Le religioni hanno condotto di fatto gli uomini all'idolatria. Ma insieme sembra che si riconosca l'autenticità di una ricerca filosofica che, se non è giunta alla conoscenza del vero Dio, non era però su una via completamente sbagliata. La ricerca a tentoni di Dio risponde ai disegni della Provvidenza: sembra avere anche aspetti positivi. C'è una relazione con il Dio di Gesù Cristo anche prima della conversione (cf. At 10,34)? Non c'è un atteggiamento di chiusura del Nuovo Testamento verso tutto quello che non proviene da Gesù Cristo; l'apertura si può manifestare anche ai valori religiosi (cf. Fil 4,8).

39. Il Nuovo Testamento ci mostra insieme l'universalità della volontà salvifica di Dio e il vincolo della salvezza con l'opera redentrice di Gesù Cristo, unico mediatore. Gli uomini raggiungono la salvezza in quanto riconoscono e accettano nella fede Gesù il Figlio di Dio. Questo messaggio è diretto a tutti senza eccezione. Alcuni testi però sembrano insinuare che esiste un significato salvifico di Gesù per ogni uomo, che può arrivare anche a quelli che non lo conoscono. Né una limitazione della volontà salvifica di Dio, né l'ammissione di mediazioni parallele a quella di Gesù, né un'attribuzione di questa mediazione universale al 'Logos' eterno non identificato con Gesù risultano compatibili con il messaggio neotestamentario.

B) Motivi della tradizione raccolti nel recente magistero della chiesa

40. Il significato universale di Cristo è stato espresso in modi diversi nella tradizione della chiesa fin dai tempi più antichi. Scegliamo alcuni temi che hanno trovato eco nei recenti documenti magisteriali, soprattutto nel concilio Vaticano II.

41. I 'semina Verbi'. Fuori dei confini della chiesa visibile, e in concreto nelle diverse religioni, si possono trovare "semi del Verbo"; il motivo si combina spesso con quello della luce che illumina ogni uomo e con quello della preparazione evangelica ('Ad gentes', nn. 11 e 15; 'Lumen gentium', nn. 16-17; 'Nostra aetate', n. 2; Giovanni Paolo II, lett. enc. 'Redemptoris missio', n. 56).

42. La teologia dei semi del Verbo inizia con san Giustino. Di fronte al politeismo del mondo greco, Giustino vede nella filosofia un'alleata del cristianesimo, perché ha seguito la ragione; ma ora questa ragione si trova nella sua totalità soltanto in Gesù Cristo, il 'Logos' in persona. Solamente i cristiani lo conoscono nella sua integrità (3). Di questo 'Logos' però è partecipe tutto il genere umano; perciò da sempre c'è stato chi è vissuto in conformità con il 'Logos', e in questo senso ci sono stati "cristiani", pur avendo essi avuto soltanto una conoscenza parziale del 'Logos' seminale (4). C'è molta differenza tra il seme di una cosa e la cosa stessa; ma in ogni modo la presenza parziale e seminale del 'Logos' è dono e grazia di Dio. Il 'Logos' è il seminatore di questi "semi di verità" (5).

43. Per Clemente Alessandrino l'uomo è razionale in quanto partecipa della vera ragione che governa l'universo, il 'Logos', e ha pieno accesso a questa ragione se si converte e segue Gesù, il 'Logos' incarnato (6). Con l'incarnazione il mondo si è riempito dei semi di salvezza (7). Esiste però anche una semina divina dall'inizio dei tempi, che ha fatto sì che varie parti della verità si trovino tra i greci e tra i barbari, specialmente nella filosofia considerata nel suo insieme (8), anche se insieme alla verità non è mancata la zizzania (9).
La filosofia ha avuto per i greci una funzione simile a quella della legge per gli ebrei: è stata una preparazione per la pienezza di Cristo (10). C'è però una chiara differenza tra l'azione di Dio in questi filosofi e nell'Antico Testamento. D'altra parte, soltanto in Gesù, luce che illumina ogni uomo, si può contemplare il 'Logos' perfetto, la verità intera: i frammenti di verità appartengono al tutto (11).

44. Giustino e Clemente coincidono nel segnalare che questi frammenti della verità totale conosciuti dai greci provengono, almeno in parte, da Mosè e dai profeti, i quali sono più antichi dei filosofi (12). Da loro, secondo i piani della Provvidenza, hanno "rubato" i greci, che non hanno saputo essere riconoscenti per quello che hanno ricevuto (13). Questa conoscenza della verità non è pertanto senza relazione con la rivelazione storica, che troverà la sua pienezza nell'incarnazione di Gesù.

45. Ireneo non usa direttamente l'idea dei semi del Verbo; però sottolinea fortemente che in tutti i momenti della storia il 'Logos' è stato unito agli uomini e li ha accompagnati, in previsione dell'incarnazione (14): con questa, portando se stesso nel mondo, Gesù vi ha portato tutta la novità. La salvezza è legata pertanto all'apparizione di Gesù, anche se questa era stata già annunciata e i suoi effetti in qualche modo erano stati anticipati (15).

46. Il Figlio di Dio si è unito a ogni uomo (cf. 'Gaudium et spes', n. 22; 'Redemptoris missio', n. 6, tra molti altri testi). L'idea si ripete spesso nei padri, che si ispirano ad alcuni testi del Nuovo Testamento. Uno di quelli che hanno dato luogo a tale interpretazione è la parabola della pecora smarrita (cf. Mt 18,12-24; Lc 15,1-7): questa è identificata con il genere umano sviato, che Gesù è venuto a cercare. Assumendo la natura umana, il Figlio ha messo sulle sue spalle l'intera umanità per presentarla al Padre. Così si esprime Gregorio di Nissa: "Questa pecora siamo noi, gli uomini (...), il Salvatore prende sulle spalle la pecora intera, quindi (...), poiché si era perduta tutta intera, tutta intera viene ricondotta. Il pastore la prende sulle sue spalle, cioè nella sua divinità (...). Avendola presa su di sé, ne fa una cosa sola con sé" (16). Anche Gv 1,14, "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi", è stato interpretato in diverse occasioni nel senso di abitare "dentro di noi", cioè nell'intimo di ogni uomo; dallo stare lui in noi si passa facilmente al nostro stare in lui (17). Contenendoci tutti in sé, può riconciliarci tutti con Dio Padre (18). Nella sua umanità glorificata tutti possiamo trovare la risurrezione e il riposo (19).

47. I padri non dimenticano che tale unione degli uomini con il corpo di Cristo si produce soprattutto nel battesimo e nell'eucaristia. L'unione di tutti in Cristo però, grazie alla sua assunzione della nostra natura, costituisce un presupposto oggettivo a partire dal quale il credente cresce nell'unione personale con Gesù. Il significato universale di Cristo si mostra anche per i primi cristiani nel fatto che libera l'uomo dai principi di questo mondo che lo tengono prigioniero come singolo e come popolo (20).

48. 'La dimensione cristologica dell'immagine'. Secondo il concilio Vaticano II, Gesù è l'"uomo perfetto", seguendo il quale l'uomo si fa più uomo ('Gaudium et spes', n. 41; cf. 'ivi', nn. 22; 38; 45). Indica pure che soltanto 'in mysterio Verbi incarnati mysterium hominis vere clarescit' ('Gaudium et spes', n. 22; 'EV' 1/1385). Tra gli altri fondamenti di tale affermazione si segnala un testo di Tertulliano, secondo il quale plasmando Adamo con il fango della terra Dio pensava già a Cristo che doveva incarnarsi (21). Già Ireneo aveva segnalato che il Verbo, artefice di tutto, aveva prefigurato in Adamo la futura economia dell'umanità di cui egli stesso si sarebbe rivestito (22). Anche se le interpretazioni patristiche dell'immagine sono molto varie, non si può trascurare questa corrente che vede nel Figlio che deve incarnarsi (e morire, e risuscitare) il modello secondo il quale Dio ha fatto il primo uomo. Se il destino dell'uomo è di portare "l'immagine dell'uomo celeste" (1Cor 15,49), non sembra errato pensare che in ogni uomo ci dev'essere una certa disposizione interiore a questo fine.

C) Conclusioni

49. a) Gli uomini possono salvarsi soltanto in Gesù, e perciò il cristianesimo ha una chiara pretesa di universalità. Il messaggio cristiano è pertanto diretto a tutti gli uomini e a tutti dev'essere annunciato.
b) Alcuni testi del Nuovo Testamento e della tradizione più antica lasciano intravedere un significato universale di Cristo che non si riduce a quello che abbiamo appena ricordato. Con la sua venuta nel mondo Gesù illumina ogni uomo, egli è l'ultimo e definitivo Adamo al quale tutti sono chiamati a conformarsi, ecc. La presenza universale di Gesù appare in forma più elaborata nell'antica dottrina del 'Logos spermatikos'. Ma anche qui si distingue chiaramente tra la piena apparizione del 'Logos' in Gesù e la presenza dei suoi semi in quelli che non lo conoscono. Questa presenza, pur essendo reale, non esclude l'errore né la contraddizione (23). A partire dalla venuta di Gesù nel mondo, e soprattutto a partire dalla sua morte e risurrezione, si comprende il senso ultimo della vicinanza del Verbo a tutti gli uomini. Gesù porta a compimento la storia intera (cf. 'Gaudium et spes', nn. 10 e 45).
c) Se la salvezza è legata all'apparizione storica di Gesù, per nessuno può essere indifferente l'adesione personale a lui nella fede. Soltanto nella chiesa, che è in continuità storica con Gesù, si può vivere pienamente il suo mistero. Di qui la necessità ineludibile dell'annuncio di Cristo da parte della chiesa.
d) Altre possibilità di "mediazione" salvifica non possono mai considerarsi separate dall'uomo Gesù, l'unico mediatore. Sarà più difficile determinare come entrano in relazione con Gesù gli uomini che non lo conoscono e le religioni; ma bisogna ricordare le vie misteriose dello Spirito, che dà a tutti la possibilità di essere associati al mistero pasquale ('Gaudium et spes', n. 22), e la cui opera non può non riferirsi a Cristo ('Redemptoris missio', n. 29). Nel contesto dell'azione universale dello Spirito di Cristo si deve porre la questione del valore salvifico delle religioni in quanto tali.
e) Essendo Gesù l'unico mediatore, che porta a compimento il disegno salvifico dell'unico Dio Padre, la salvezza è unica ed è la stessa per tutti gli uomini: la piena conformazione a Gesù e la comunione con lui nella partecipazione alla sua filiazione divina. Perciò si deve escludere l'esistenza di economie diverse per quelli che credono in Gesù e per quelli che non credono in lui. Non ci possono essere vie per andare a Dio che non confluiscano nell'unica via che è Cristo (cf. Gv 14,6).

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