| 
 | IL CRISTIANESIMO E LE RELIGIONI
 
 < Precedente
    | Indice | Successivo >
    
 III. ALCUNE CONSEGUENZE PER
    UNA TEOLOGIA CRISTIANA DELLE RELIGIONI
 III.1. IL VALORE SALVIFICO DELLE RELIGIONI
 
 
 81. Oggi non è in discussione la possibilità di salvezza fuori della chiesa di quelli
    che vivono secondo coscienza. Questa salvezza, come si è visto nella precedente
    esposizione, non si produce indipendentemente da Cristo e dalla sua chiesa: essa si fonda
    sulla presenza universale dello Spirito, che non si può separare dal mistero pasquale di
    Gesù ('Gaudium et spes', n. 22; 'Redemptoris missio', n. 10, ecc.). Alcuni testi del
    Vaticano II trattano specificamente delle religioni non cristiane: coloro ai quali non è
    stato ancora annunciato il Vangelo sono in vari modi ordinati al popolo di Dio, e
    l'appartenenza alle diverse religioni non sembra indifferente agli effetti di questo
    "ordinamento" (cf. 'Lumen gentium', n. 16). Si riconosce che nelle diverse
    religioni si trovano raggi della verità che illumina ogni uomo ('Nostra aetate', n. 2),
    semi del Verbo ('Ad gentes', n. 11); che per disposizione di Dio si trovano in esse cose
    buone e vere ('Optatam totius', n. 16); che si trovano elementi di verità, di grazia e di
    bene non soltanto nei cuori degli uomini, ma anche nei riti e nei costumi dei popoli,
    anche se tutto dev'essere "sanato, elevato e completato" (Vaticano II, decr. 'Ad
    gentes' sull'attività missionaria della chiesa, n. 9; 'Lumen gentium', n. 17). Rimane
    aperto invece l'interrogativo se le religioni come tali possano avere valore in ordine
    alla salvezza.
 
 82. L'enciclica 'Redemptoris missio', seguendo e sviluppando la linea del concilio
    Vaticano II, ha sottolineato più chiaramente la presenza dello Spirito Santo non soltanto
    negli uomini di buona volontà presi individualmente, ma anche nella società, nella
    storia, nei popoli, nelle culture, nelle religioni, sempre con riferimento a Cristo
    ('Redemptoris missio', nn. 28 e 29). Esiste un'azione 'universale' dello Spirito, che non
    può essere separata né tanto meno confusa con l'azione 'particolare' che lo Spirito
    svolge nel corpo di Cristo che è la chiesa ('ivi'). Dalla disposizione del cap. III
    dell'enciclica, intitolato "Lo Spirito Santo come protagonista della missione",
    sembra dedursi che queste due forme di presenza e di azione dello Spirito derivano dal
    mistero pasquale: infatti si parla della presenza universale ai nn. 28-29, dopo aver
    svolto l'idea della missione per impulso dello Spirito Santo (nn. 21-27). Alla fine del n.
    28 si afferma chiaramente che è Gesù risorto colui che opera nel cuore degli uomini in
    virtù del suo Spirito, e che lo stesso Spirito distribuisce i semi del Verbo presenti nei
    riti e nelle religioni. La differenza tra i due modi di agire dello Spirito Santo non può
    condurre alla loro separazione, come se soltanto il primo fosse in relazione con il
    mistero di salvezza di Cristo.
 
 83. Si parla di nuovo della presenza dello Spirito e dell'azione di Dio nelle religioni
    nei numeri 55 e 56 dell'enciclica 'Redemptoris missio', nel contesto del dialogo con i
    fratelli di altre religioni. Queste costituiscono una sfida per la chiesa, perché la
    stimolano a riconoscere i segni della presenza di Cristo e dell'azione dello Spirito.
    "Dio chiama a sé tutte le genti in Cristo, volendo loro comunicare la pienezza della
    sua rivelazione e del suo amore; né manca di rendersi presente in tanti modi non solo ai
    singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le
    religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo lacune, insufficienze ed
    errori" ('Redemptoris missio', n. 55). Anche in questo contesto è indicata la
    differenza con la presenza di Dio che Cristo porta col suo Vangelo.
 
 84. A motivo di tale esplicito riconoscimento della presenza dello Spirito di Cristo nelle
    religioni, non si può escludere la possibilità che queste, come tali, esercitino una
    certa funzione salvifica, aiutino cioè gli uomini a raggiungere il fine ultimo nonostante
    la loro ambiguità. Nelle religioni viene messo in rilievo esplicitamente il rapporto
    dell'uomo con l'Assoluto, la sua dimensione trascendente. Sarebbe difficile pensare che
    abbia valore salvifico quanto lo Spirito Santo opera nel cuore degli uomini presi come
    individui e non lo abbia quanto lo stesso Spirito opera nelle religioni e nelle culture:
    il recente magistero non sembra autorizzare una differenza così drastica. D'altra parte,
    occorre notare che molti testi a cui ci siamo riferiti non parlano soltanto delle
    religioni, ma insieme a esse nominano anche le culture, la storia dei popoli, ecc.: anche
    queste possono essere "toccate" da elementi di grazia.
 
 85. Nelle religioni agisce lo stesso Spirito che guida la chiesa; tuttavia la presenza
    universale dello Spirito non si può equiparare alla sua presenza particolare nella chiesa
    di Cristo. Anche se non si può escludere il valore salvifico delle religioni, non è
    detto che in esse 'tutto' sia salvifico: non si può dimenticare la presenza dello spirito
    del male, l'eredità del peccato, l'imperfezione della risposta umana all'azione di Dio,
    ecc. (cf. 'Dialogo e annuncio', nn. 30 e 31). Soltanto la chiesa è il corpo di Cristo, e
    soltanto in essa è data con tutta la sua intensità la presenza dello Spirito: perciò
    non può essere affatto indifferente l'appartenenza alla chiesa di Cristo e la piena
    partecipazione ai doni salvifici che si trovano soltanto in essa ('Redemptoris missio', n.
    55). Le religioni possono esercitare la funzione di 'praeparatio evangelica', possono
    preparare i popoli e le culture ad accogliere l'evento salvifico che è già avvenuto; ma
    la loro funzione non si può paragonare a quella dell'Antico Testamento, che fu la
    preparazione allo stesso evento di Cristo.
 
 86. La salvezza si ottiene grazie al dono di Dio in Cristo, ma non senza la risposta e
    l'accettazione umana. Le religioni possono anche aiutare la risposta umana, in quanto
    spingono l'uomo alla ricerca di Dio, a operare secondo coscienza, a condurre una vita
    retta (cf. 'Lumen gentium', n. 16; cf. anche Giovanni Paolo II, lettera enc. 'Veritatis
    splendor', n. 94: il senso morale dei popoli e le tradizioni religiose mettono in rilievo
    l'azione dello Spirito di Dio). La ricerca del bene è, in ultima analisi, un
    atteggiamento religioso ('Veritatis splendor', nn. 9 e 12). E la risposta umana all'invito
    divino che si riceve sempre in Cristo e attraverso Cristo (32).
    Sembra che queste dimensioni oggettive e soggettive, discendenti e ascendenti, debbano
    comporsi in unità, come si compongono nel mistero di Cristo. Pertanto le religioni
    possono essere, nei termini indicati, un mezzo che aiuta alla salvezza dei propri seguaci,
    ma non si possono equiparare alla funzione che la chiesa realizza per la salvezza dei
    cristiani e di quelli che non lo sono.
 
 87. L'affermazione che possono esistere elementi salvifici nelle religioni non implica,
    per sé, un giudizio sulla presenza di tali elementi in ognuna delle religioni concrete.
    D'altra parte, l'amore di Dio e del prossimo, reso possibile in ultima istanza da Gesù
    unico mediatore, è la sola via per giungere a Dio stesso. Le religioni possono essere
    portatrici di verità salvifica solo in quanto conducono gli uomini al vero amore. Se è
    vero che questo si può trovare anche in quelli che non praticano una religione, sembra
    che il vero amore di Dio debba condurre all'adorazione e alla pratica religiosa in unione
    con gli altri uomini.
 
 
 < Precedente
    | Indice | Successivo >
     |