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Madrasse Pakistane, laboratori del jihad
Cammille Eid, su Avvenire 12 agosto 2006

Occhi puntati ancora una volta alle «madrassa», le scuole coraniche. Anche l'anno scorso, dopo gli attentati di Londra, si è scoperto che almeno uno degli attentatori, Shehzad Tanweer, aveva soggiornato in una madrassa del Pakistan. Ma come ha potuto una parola così innocua (madrassa significa semplicemente scuola in arabo) diventare sinonimo di indottrinamento religioso fanatico e luogo ideale per la formazione delle future generazioni di integralisti musulmani? All'origine di questa deriva stanno le vicende afghane. Ancor prima dell'invasione sovietica, gli aspiranti mullah afghani proseguivano tradizionalmente la loro formazione nelle madrassa private nella zona pashtun di Peshawar, in Pakistan, generalmente legate a confraternite religiose. Mentre i migliori studenti si orientavano verso le madrassa di Lahore e Karachi. Quelle privilegiate dai pashtun sono le madrassa dei cosiddetti deobandi, una scuola di pensiero nata in India alla fine dell'Ottocento ad opera di mullah ossessionati dall'idea di purificare l'islam da ogni influenza straniera, specialmente dall'induismo. In questo contesto puritano si assiste alla nascita di quelli che saranno noti con il nome di "taleban", letteralmente gli "studenti".

Quelle privilegiate dai pashtun sono le madrassa dei cosiddetti deobandi, una scuola di pensiero nata in India alla fine dell'Ottocento ad opera di mullah ossessionati dall'idea di purificare l'islam da ogni influenza straniera, specialmente dall'induismo. In questo contesto puritano si assiste alla nascita di quelli che saranno noti con il nome di "taleban", letteralmente gli "studenti". Le madrassa assicurano, oltre all'istruzione gratuita, anche un pasto decente al giorno. Motivazione più che valida per incoraggiare molte famiglie a mandarvi i propri figli. Il curriculum è essenzialmente religioso: Corano (studiato a memoria), hadith (detti e gesta di Maometto), sharia secondo il rito sunnita hanafita, grammatica e sintassi araba, testi di filosofia (il Sunto dei concetti, Lezioni di retorica, la Chiave delle scienze) e logica (la Scala delle scienze, il Commento di simmetria).

L'acuirsi della guerra afghana convoglia nel Pakistan un'altra ondata di studenti (ma anche di insegnanti) arabi e musulmani ancor più motivati. Nascono qua e là scuole jihadiste, dove gli studenti ricevono anche una rigorosa educazione fisica tale da permettere loro di sopravvivere senza cibo né acqua per alcuni giorni. A partire dal 1994, le madrassa dei deobandi e dei Ahl-e-Sunna diventano il serbatoio dei volontari pachistani accorsi in aiuto ai taleban. Il mullah Sami'ul-Haq, capo del movimento Jamiat-Ulema-e-islami (Jui), invia in Afghanistan migliaia di studenti deobandi a dare una mano contro l'Alleanza del Nord. Quando il governo di Islamabad decide di porre un rimedio è tardi. Nel 2002 Musharraf fa votare una legge per monitorare le attività delle oltre 8mila scuole islamiche che funzionavano senza alcuna ispezione statale. La legge rende obbligatoria la registrazione delle madrassa, sottopone all'autorizzazione statale l'accoglienza di studenti stranieri e vieta ogni sovvenzione dall'estero. Insorgono i partiti religiosi, ma anche migliaia di professori, costretti a mandare a casa centinaia di studenti stranieri (arabi, afghani, turkmeni e tailandesi).

Stretti nella morsa, i partiti islamici reagiscono con rabbia. «Noi non siamo liberi di fornire ai giovani un'educazione mentre le Ong godono di piena libertà per indebolire il Paese», ha detto il leader del partito Jamaat-e-Islami. «Il jihad - ha dichiarato anche il mullah Fazl-ur-Rahman, capo della Jamaat-e-islami - fa parte dell'insegnamento, ma le nostre madrassa si limitano a formare buoni musulmani lasciando la scelta di vita da adottare agli studenti». «È strano - ha rincarato pure un ex ufficiale dell'Isi (i servizi segreti pachistani): prima gli americani sollecitano il contributo di queste madrassa per combattere i sovietici, ora li considerano roccaforti del terrorismo". Intanto, le scuole del Paese continuano a riversare, su un mercato ormai saturo, migliaia di predicatori senza alcuna competenza. Per questi ultimi, l'unico mezzo di promozione sociale diventa l'islamizzazione della società.

 

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