Messori sbaglia: Ratzinger non va contro Wojtyla…
Antonio Socci, 27 maggio 2006

Ecco la vera ragione dei mea culpa: lui, il grande amore della vita… 

Ancora una volta Ratzinger contro Wojtyla? No. Mi dispiace, ma non sono d’accordo con Vittorio Messori che ieri sul Corriere della sera ha trionfalmente presentato le parole di Benedetto XVI in Polonia come una “correzione” del predecessore sull’incandescente tema dei “mea culpa” della Chiesa. Per la verità quasi tutti i giornali hanno dato questa interpretazione. Ma voglio partire da Messori sia per ciò che rappresenta, sia per il pulpito da cui parla, il Corriere, sia per i suoi precedenti, sia per gli argomenti che usa. Infatti, interpretando male le parole di Benedetto XVI, come se avesse detto che i peccati commessi dai cristiani del passato si giustificano col fatto che vissero in altri tempi e altre circostanze, si rischia di dar ragione all’anonimo estensore del pamphlet “Contro Ratzinger” che accusa il papa di “storicismo”. Quanto di peggio possa esserci per un cattolico. E’ il peggior relativismo, l’opposto del pensiero di Ratzinger. E’ lo “storicismo” con cui – ad esempio - i comunisti hanno sempre giustificato e autoassolto i loro errori e orrori.

Dunque facciamo un passo indietro. Messori nel suo articolo parte da se stesso (e questa non è una novità) ricordando di aver rivolto, su quelle stesse colonne, nel Duemila, “alcune domande al papa penitente”, cioè a Giovanni Paolo II. Domande molto pungenti sui suoi “mea culpa”, poste – va sottolineato – da un cattolico ortodosso, addirittura un apologeta, uno che aveva firmato con lo stesso papa Wojtyla un libro-intervista di grande successo. Ieri sul Corriere Messori ha presentato le parole di Benedetto XVI come la sua vittoria postuma, come se il papa attuale avesse dato torto al predecessore e ragione a Messori.

Ma come stanno le cose? A provocare la reazione critica di Messori nel 2000 era, in parte, anche una ferita personale. Lui da anni era impegnato (sia pure con molti altri) in un meritorio lavoro di demolizione scientifica di tutte le leggende nere costruite contro la Chiesa. Una grande e faticosa opera di verità condotta con rigore e intelligenza. Un lavoro apologetico che ha aiutato molti a riscoprire la grandezza luminosa della storia cristiana, che è stata la fonte vera della civiltà e di tutti i pregi che oggi l’Occidente rivendica.

Quando Giovanni Paolo II, in vista del grande Giubileo del 2000, iniziò quel cammino penitenziale fatto di perdono e di tante dolorose richieste di perdono, per i vari peccati commessi dai cristiani in questi duemila anni, Messori si sentì come “tradito”. Gli parve quasi che il Papa stesso, e proprio quel papa che ci aveva ridato l’orgoglio di essere cattolici, si unisse ai nemici della Chiesa, sempre prodighi di calunnie e aggressioni, con una sorta di “autodemolizione” che non teneva conto neanche delle nuove revisioni storiche, così favorevoli alla Chiesa. Oltretutto alla fine di un secolo in cui i cristiani erano stati le vittime di tutti, letteralmente di tutti, subendo un immane bagno di sangue.

Certo, il rischio che il popolo cristiano restasse confuso c’era e del resto papa Wojtyla ne era ben consapevole (come era ben consapevole, per averlo sperimentato sulla pelle, che la sua era una Chiesa di martiri), dunque Messori fece bene a lanciare l’allarme, come pure il cardinal Biffi. Ma quello che sfuggiva a Messori era l’intenzione profonda del papa, il suo cuore. Chi seppe capirlo e farlo capire (e per quanto mi riguarda mi fece cambiare idea sui mea culpa) fu don Luigi Giussani. In un suo commosso intervento Giussani spiegò che certo, a consuntivo di duemila anni di cristianità, si poteva anche fare il bilancio glorioso, ma così facendo c’era il rischio di cercare la nostra gloria, di indicare al mondo non Cristo, ma noi stessi, i nostri meriti, la nostra giustizia e non la Sua misericordia. Dimenticando non solo che i cristiani sono stati e sono anche peccatori, ma dimenticando che perfino la santità dei giusti – come dice il profeta – davanti a Dio non è che un panno lurido e dunque che tutti, proprio tutti (con l’unica eccezione luminosa: Maria) siamo peccatori davanti all’unica misericordiosa santità, quella di Gesù, il Salvatore che abbiamo massacrato.

Dimenticando che la Chiesa da duemila anni ogni giorno ci chiede di fare “mea culpa” davanti al Signore, non di enucleare i nostri meriti, dimenticando che i cristiani non sono migliori degli altri uomini, ma sono solo coloro che per grazia, immeritata, hanno conosciuto la tenera misericordia di Dio. E dunque che parlano agli uomini non come coloro che “hanno ragione” o che vogliono la ragione, ma come coloro che avendo torto, avendo tradito Gesù per primi, da Lui sono stati e sono continuamente perdonati e ricreati (penso a Pietro, a Paolo, a Francesco). Noi abbiamo il dovere di difendere Gesù dagli sputi e dalle sferzate che anche oggi, come già duemila anni fa, subisce in quello che Bernard Henri Lévy, intellettuale ebreo agnostico, parlando sul Corriere del Codice da Vinci, definisce “la marea nera del nuovo anticattolicesimo”. Noi abbiamo il dovere di difendere Gesù dagli insulti, dagli sputi in faccia e dalle frustate, ma ricordando che Lui non si difese, anzi offrì se stesso ai torturatori e ricordando che non ci chiede innanzitutto di fare i suoi avvocati, ma di seguirlo, di fare come Lui, di aiutarlo a portare la Croce per amore degli uomini, di consolarlo con il nostro amore. E ricordando che proprio nella sua apparente disfatta, di vittima macellata, torturata, indifesa, annientata, ha conquistato il cuore gli uomini, ha capovolto la storia umana e quindi in realtà ha manifestato la sua potenza, la sua regalità (“io ho vinto il mondo”).

Giussani ci fece capire che “a nulla fuorché a Gesù il cristiano è attaccato” e se le controversie storiche sulla Chiesa e il computo dei torti e delle ragioni dei cristiani distoglievano dal Salvatore, il Papa preferiva tagliar corto, prendersi tutti i torti, purché gli uomini, in questo grande Giubileo del 2000 tornassero liberamente a guardare a Cristo, prendessero posizione unicamente e lealmente su di Lui. Questo urgeva nel cuore del Papa. Certo, nessun partito delle ideologie criminali ha fatto mea culpa. Solo la Chiesa – che è stata perseguitata e massacrata da tutti – lo ha fatto e solo la Chiesa poteva fare un atto così grande senza autodistruggersi, proprio perché non è un partito che deve “aver ragione”, che deve catturare il consenso della gente, ma esiste solo per indicare Cristo, l’unico senza macchia. Solo la Chiesa ha Gesù. E’ il suo unico tesoro. Perciò la Chiesa non ha bisogno di “aver ragione”, neanche di rivendicare i suoi meriti storici immensi (è lei che ha letteralmente umanizzato il mondo). Anzi, fin dall’inizio, fin dai Vangeli la Chiesa ha fatto il contrario, ha messo in piazza i peccati dei cristiani, degli apostoli, di Paolo e del suo primo papa, Pietro stesso, il martire Pietro, sottolineando il suo tradimento e il suo umiliante pianto. Non ha esitato a farlo pur di mostrare l’infinita misericordia di Gesù. Pietro e Paolo non annunciarono i loro meriti, ma il perdono di Gesù. Proprio mercoledì scorso Benedetto XVI ha rievocato questa vicenda di Pietro che sta all’origine della Chiesa.

Che non si possano opporre Ratzinger e Wojtyla sulla storia dei “mea culpa” è dimostrato dal fatto che Giovanni Paolo II affidò proprio a lui la guida della Commissione teologica che redasse il documento “La Chiesa e le colpe del passato”. E poi lo volle protagonista della liturgia penitenziale in San Pietro. Questo dice quanto fossero uniti questi due grandi pastori anche in questa vicenda. A Giovanni Paolo II non sfuggiva il rischio di fraintendimento dei suoi “mea culpa” e ascoltò i suggerimenti del cardinale bavarese e volle che la Chiesa capisse il senso teologico e spirituale di essi. Il significato dei mea culpa è un vertiginoso invito alla conversione. Oggi Benedetto XVI è mosso dalla stessa preoccupazione. Ma cercano di metterlo contro il predecessore. L’anonimo estensore del pamphlet “Contro Ratzinger” sostiene – un po’ come Messori - che il cardinale nel 2000 abbia voluto “correggere” papa Wojtyla ritenendo che non si possano giudicare con la coscienza di oggi gli atti compiuti in altre epoche storiche e con altre mentalità. Ma poi riconosce che “Ratzinger ha criticato questi argomenti storicisti in decine di scritti come ‘non conclusivi’ e dettati dalla degenerazione illuminista”.

Lo storicismo ritiene che non si possano applicare le categorie di Bene di Male alla storia e che non esista la Verità che vale in tutti i tempi (innanzitutto nella coscienza come legge naturale). Lo storicismo pensa che – per esempio – i crimini di Stalin e la complicità di tanti intellettuali e partiti d’Occidente vadano compresi nelle circostanze date e non si possano giudicare. Benedetto XVI e papa Wojtyla erano convinti del contrario. Anche per i crimini commessi da cattolici. Esiste la Verità, che è valida per tutti i tempi, ed esistono il Bene e il Male che giudicano tutte le epoche storiche. Solo che per entrambi a ergersi a giudici non siamo noi, dall’alto di un’epoca che si presume migliore o di un cristianesimo che si presume migliore. Ma l’unico giudice che già 2000 anni fa ha rivelato tutta la Verità. Di fronte a lui tutti siamo peccatori.  

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