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I Minareti: un'occasione per ripensare l'Islam e l'Europa
di Samir Khalil Samir

[Dichiarazione dei vescovi e del Card Tauran]

I sondaggi in Europa mostrano che il referendum elvetico avrebbe vinto anche in Francia, Olanda, Belgio, Italia, Spagna, Germania, Austria. Il no ai minareti è il no alle crescenti (e mai sazie) richieste islamiste. La popolazione europea pensa in modo diverso dai suoi leader e vuole riaffermare la sua identità. Il no ai minareti è un invito al vero dialogo.

Il risultato del referendum degli svizzeri ha suscitato un’ondata di inchieste e domande su internet e sulla stampa, con reazioni talvolta molto violente, talvolta più favorevoli.

In genere i politici hanno reagito in modo negativo, criticando questo voto. Invece la gente in Europa è stata molto favorevole all’esito.

Alcuni siti e giornali europei hanno votato così:


I sondaggi in Europa

In Francia, il giornale Le Monde ha fatto un’inchiesta: “Organizzare un referendum come quello della Svizzera è un segno di democrazia o di irresponsabilità? Il 61,5% ha detto che è democrazia; 33,2% ha detto che è irresponsabilità; il 5,3% senza opinione.

L’Express ha fatto un’altra domanda: Se si facesse lo stesso referendum in Francia che cosa rispondeste? L’86% risponde sì, è contro i minareti; 11% no; 2% non risponde

Le Figaro, che è di destra: 77% sì al divieto; 23% no.

BFM, una tivu, ha avuto questi risultati: 75% di sì; 25% di no.

Radio Montecarlo 83% sì; 17% no;

Euronews, piuttosto di sinistra, 70% sì; 29% no; 1% non sa.

Le Soir in Belgio 63,2% si; 34% no; 2,8 senza parere.

In Spagna “Venti minutos” dà 94% di sì; 6% di no. El Mundo 79% sì; 21% no (con 25 mila intervenuti)

In Germania, Die Welt online: 87% sì; 12% no; 2% non so.

In Austria, Die Presse : 54% sì; 46% no. È la più bassa di tutte le inchieste.

In Italia ho visto solo “Leggo” che dà 84,4% sì; 13,6 no; 2% non so. Nando Pagnoncelli, direttore dell’IPSOS, afferma però che “in generale il tema dell'Islam e dell'immigrazione suscita preoccupazione e in alcuni casi anche allarme sociale, in quanto c'è una percezione di fanatismo”. Se ci fosse un referendum simile a quello svizzero, le voci favorevoli sarebbero largamente vincenti.

In Olanda Elzevier ha dato 86% sì; 16% no.

Questo dà un’immagine – forse non perfetta ma interessante: in tutta l’Europa c’è una reazione di paura di fronte a un pericolo che proviene dall’islam. E c’è anche un atto di coraggio per osare dire “basta” malgrado la propaganda dei politici e le minacce di ritaglio che lasciavano intravedere. Nel suo commento al voto, il Dr. Issam Mujahid, portavoce della comunità musulmana di Brescia, dice: “È un voto di paura”, ma aggiungeva “e tutti noi siamo responsabili”.

Alcune riflessioni su questi dati

Questo referendum può diventare un’occasione positiva per riflettere insieme. “Perché ora, dice Issam Mujahid, c’è la necessità e la possibilità di assumerci le nostre responsabilità per lavorare a favore del dialogo tra le civiltà e bocciare la tesi dello scontro”.

  1. La gente in Europa non rigetta il minareto per difendere la cristianità. Non è un problema religioso: è un problema culturale e di visibilità.
  2. La gente sente che se dice sì al minareto, domani si diffonderà anche l’appello alla preghiera, poi i microfoni; poi ci saranno le richieste per avere la carne halal negli ospedali o nelle mense scolastiche, poi verranno le interruzioni al lavoro per fare le cinque preghiere prescritte (come hanno cercato di fare con me all’università di Birmingham nel 1991 quando ci insegnavo) … Ogni tanto i musulmani fanno qua e là nuove richieste, che crescono sempre di più in luoghi e Paesi, portando nuove richieste. E una volta ottenuta una licenza non si ritorna mai indietro. Non si è mai visto che i gruppi musulmani si siano fermati a un certo punto. E questo fa riflettere gli europei.
  3. Se guardiamo la situazione degli immigrati, solo un po’ più di un terzo provengono da regioni musulmane. Due terzi da altre zone (Asia, Europa orientale; Africa, America latina). Eppure quel terzo fa sempre parlare di sé, perché fa di continuo richieste di tipo religioso-culturale: I vietnamiti, i cinesi, gli indiani, gli africani non islamici, i latinos non hanno queste rivendicazioni culturali e di visibilità.

    Qual è dunque il problema?
     
  4. L’Europa sta scoprendo, con la presenza di altre culture che anche se stessa ha una propria cultura. La reazione italiana contro la decisione di Strasburgo di abolire il crocifisso nei luoghi pubblici, sottolinea la difesa di un elemento della cultura (oltre che della religione di molti). Questa riscoperta della cultura è essenziale per il dialogo.

  5. I musulmani arrivano con un sentimento forte di identità culturale religiosa perché nel mondo islamico questi due campi non sono divisi. Gli europei invece, che sono però la maggioranza, faticano a dire qual è la loro identità. Ora, non c’è vero dialogo se un partner ha un identità forte e l’altro debole, e neppure se i due partner sono deboli. Il dialogo è più duro quando ambedue hanno una forte identità, ma è più ricco e valido!
  6. D’altra parte, come dice Issam Mujahid, “in Europa manca la cultura della società civile musulmana organizzata. In Europa, l’islam è rappresentato solo dalle moschee. E questo è sbagliato”. I musulmani integrati in Europa non aiutano la comunità islamica immigrata in tempi più recenti ad integrare i valori della cultura europea. Da parte loro, gli imam spesso non sono in grado di trasmettere questi valori, perché loro stessi non li hanno percepiti.
  7. Il senso del voto svizzero potrebbe essere riassunto cosi’: “Noi non vogliamo più proteggere la diversità culturale e garantire la libertà religiosa sottomettendoci all’intolleranza degli islamisti ... che a loro volta non tollerano la diversità culturale e la libertà religiosa”.

Stabilire un vero dialogo inter-culturale

Da parte dei musulmani questa è un’occasione per dire cosa è davvero importante nella loro fede e nella loro cultura e cosa manca qui in Europa. Sicuramente, il musulmano non può riproporre tutto quello che aveva in patria, perché vive in un’altra nazione che ha le sue leggi, norme, usanze, ecc. Facendo così, si vedrà se è possibile stabilire qualche direttiva a livello nazionale, o privato o da soli.

Da parte europea è tempo di domandarsi cosa ci definisce e ci costituisce davvero.

L’Islam deve rinnovarsi, cercando di distinguere fra l’essenziale e l’occasionale; e l’occidente deve anch’esso approfondire e vedere cosa è essenziale nella propria identità.

Prendiamo ad esempio il velo

È un precetto, ma non vuol dire che sia essenziale. Molti grandi autori musulmani hanno scritto su questo. Gamal al-Banna, il fratello minore di Hassan al-Banna, fondatore dei Fratelli Musulmani, ha scritto un libro e diversi articoli per dire che il velo non è un obbligo. É un consiglio dato anzitutto alle mogli di Maometto; poi non si capisce se è detto per tutte le donne. In ogni modo, non si capisce se questo è detto solo per una determinata situazione o per sempre.

Lo sforzo dell’esegesi e dell’ermeneutica sta proprio nel discernere se qualcosa è fondamentale o se è qualcosa di particolare, valida solo per quella volta. Molti musulmani cercano di fare questa esegesi, ma i problemi sono tanti: non vi è una dottrina costituita; manca un magistero, un’autorità che decida e dirima le questioni controverse…

Per questo nel mondo islamico, fino a 50 anni fa, il velo era quasi scomparso da Paesi come l’Egitto, la Siria, il Libano, ecc. e nessun imam ha mai gridato allo scandalo. Da 30 anni è ricominciato a venir fuori ancora ed oggi è divenuto quasi un obbligo.

I musulmani, nel corso della storia fanno questa distinzione tra ciò che è fondamentale, e ciò che è secondario. Anche sulla preghiera: pochi musulmani fanno davvero, 5 volte al giorno, le preghiere. Sempre di più vediamo che la comunità musulmana rigetta la religione imposta e rispetta chi, credente, non vuol praticare. La libertà religiosa è il fondamento di tutte le libertà, e se i musulmani la richiamano per loro, a giusto titolo, in Europa, è ovvio che devono lottare per darla ai non musulmani nei paesi musulmani.


© Copyright AsiaNews 4 agosto 2009


Il commento del cardinale Tauran sulla questione dei minareti in Svizzera

Continua a far discutere il ‘no’ degli svizzeri, nel referendum di domenica scorsa, alla costruzione di nuovi minareti nella Confederazione elvetica. Al termine della loro assemblea ordinaria, i vescovi della Svizzera hanno pubblicato un comunicato in cui riaffermano che questa decisione rappresenta un ostacolo sulla via dell’integrazione. “Il divieto dei minareti – rilevano - è il segno di una crisi dell’identità cristiana nella nostra società”: inoltre questo divieto “non risolve alcun problema di convivenza con l'Islam”. Anzi: “il divieto dei minareti non faciliterà la situazione dei cristiani nei Paesi musulmani, ma l’aggraverà”. I vescovi svizzeri sottolineano poi il fatto che “il ‘no’ ai minareti significa anche il ‘no’ alla visibilità pubblica delle religioni e colpisce tutte le comunità religiose. La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo contro il Crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia – concludono - è un altro esempio di pressione esercitata contro la visibilità della religione”. Sulla questione esprime un parere il card Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso:

 “La questione dei minareti pone, secondo me, prima di tutto il problema della libertà di religione, e la libertà di religione suppone la libertà di culto e quindi la libertà di praticare la propria fede in privato e in pubblico e quindi di avere anche i propri luoghi di culto. Ma, ovviamente, quando si costruisce una chiesa in un Paese a maggioranza islamica o una moschea in un Paese a maggioranza cristiana, la preoccupazione di chi costruisce l’edificio di culto deve essere di armonizzare la costruzione nel paesaggio urbanistico e nel contesto culturale della società. Ma al di là di questi aspetti, penso che il problema pone, in realtà, la questione dello statuto giuridico dell’islam in Europa, oggi: quindi, va molto al di là dei fatti di cui parliamo”.

© Copyright Radio Vaticana

Nota:
Commento criptico, chiaro solo in apparenza, ma che si guarda bene dall'affrontare in maniera chiara, comprensibile, non equivoca l'atteggiamento "sconcertante" della Chiesa, di resa incondizionata all'Islam. E aggiungiamo:

"Perché, se si oltraggia l’Islam tutti si indignano, si accettano come fondate le critiche di islamofobia e ci autocolpevolizziamo di razzismo confessionale, mentre se si oltraggia il Cristianesimo lo si ascrive alla libertà d’espressione? Perché proprio coloro che sono in prima linea contro il Cristianesimo, la Chiesa e il Papa, li ritroviamo in prima linea a favore dell’Islam, delle moschee, delle scuole coraniche e persino dell’introduzione della sharia nel nostro stato di diritto?
La risposta è perché siamo succubi dell’islamicamente corretto, ovvero di un approccio ideologico che ci impone di non dire e di non fare nulla che possa urtare la suscettibilità degli islamici, a prescindere da qualsiasi altra considerazione razionale e sensata che corrisponda al bene comune e all’interesse generale
."Magdi Cristiano Allam

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