S.E. Card. Crescenzio Sepe


Conferenza tenuta da S.E., Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli, il 4 Dicembre 2001 ad apertura dell'Assemblea annuale di SEDOS)


Saluto

Sono molto lieto di trovarmi in mezzo a Voi, Religiosi a Religiose, rappresentanti di gran parte del mondo missionario e delle sue diverse articolazioni. Ringrazio il P. Bernard East, o. p., Direttore Esecutivo di SEDOS, che ha voluto invitarmi a questo incontro. L'origine di S. E. D. O. S. risale agli anni del Vaticano II, e la sua storia ha segnato, per tanti aspetti, anche il cammino, spesso travagliato, delle giovani Chiese e dell'intero mondo missionario.

All'inizio di questa mia conversazione, desidero far memoria del compianto P. Henry Mondé, già Superiore Generale della Società delle Missioni Africane [S. M. A.], e ispiratore di questo benemerito organismo di raccordo. Assieme a lui, i Superiori Generali di allora seppero offrire ai Padri Conciliari spunti qualificati per il Decreto Ad Gentes sull'attività missionaria della Chiesa. A partire da quegli anni [1964] il gruppo si allargò: dai 30 aderenti, nel 1969, passò agli 88 membri, nel 1995. Ed oggi, la vostra Associazione rappresenta nel mondo oltre 250.000 missionari e missionarie. Sono, inoltre, a conoscenza di alcuni vostri storici incontri, i cui risultati hanno ispirato il cammino di diversi Istituti missionari, e non, tanto maschili, che femminili. SEDOS è stato un grande catalizzatore di idee e di proposte per la missione. Ed io vorrei che, pure oggi, esso continuasse ad esserlo per il bene sommo della Missio Ad Gentes.


Introduzione circa la perenne validità della Missio Ad Gentes

Nella Redemptoris Missio, il Santo Padre non manca di ricordare come la missione del Redentore sin ancora ben lontana dal suo compimento: "Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d'insieme all'umanità, dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio" [RM 1]. La gravità di una simile affermazione, che potrebbe scoraggiare anche i missionari più determinati e temprati, viene tuttavia attenuata da un passaggio successivo all'interno della medesima Enciclica missionaria, richiamante l'amore previdente e provvidente di Dio.

Ricorda, infatti, la Redemptoris Missio: "Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi effetti negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è questo un sentimento ingiustificato. Infatti, in prossimità del Terzo Millennio della Redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l'inizio" [RM 86]. Vale, dunque, la pena di adoperarsi con rinnovato vigore a servizio della Missio Ad Gentes.


TEMI

Dividerò il mio intervento in 3 parti: una prima, volta a dare un fondamento biblico-ascetico alla missione; una seconda, più propriamente teologica, finalizzata a dare una certa organicità tematica agli assunti biblici; una terza, più programmatica e pastorale, con la quale mi propongo di individuare alcuni nuovi areopaghi della missione.

 

1. Ammaestrate tutte le nazioni [parte biblico-ascetica]

"Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo" [Mt 28,19; cf. Mc 13, 10; Lc 24,47; Gv 17,18] .

È questa la ragione che sta all'origine, non solo dell'opera missionaria, ma della vita stessa della Chiesa: "La Chiesa che vive nel tempo è per sua natura missionaria" [AG 2], ed obbedisce all'imperativo fondamentale di annunciare che solo in Cristo c'è salvezza: "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" [At 4,10.12]. Nell'evangelista Matteo emergono i tratti essenziali della missione evangelica: la signoria universale del Figlio dell'uomo, l'universalità della missione, la presenza del Risorto nella sua Chiesa. Si coglie nella narrazione matteana la struttura dei grandi racconti di vocazione dell'Antico Testamento: per esempio, la vocazione di Mosè [Es 3, 6-12], e la vocazione di Geremia [l,5-8]. Si incontrano, infatti, i motivi originanti: l'iniziativa di Dio, l'incarico, l'assicurazione della sua presenza, la quale — da sola — può strappare l'uomo dalla propria debolezza e farne uno zelante missionario.

In questo classico brano dell'invio — che esprime in certo modo una nuova nascita della Chiesa — Matteo afferma: Vedutolo lo adorarono; alcuni però dubitavano" [Mt 28,17]. La fede dei discepoli si mescola al dubbio di chi vive una fede itinerante. Fede ed esitazione sembrerebbero realtà contrapposte, nel senso che o c'è una, o c'è l'altra. Ma la fede vive anche i tempi della prova. E tutta la storia della salvezza — da Abramo all'apostolo Tommaso racconta di creature che, tra esitazione e nuove adesioni, accolgono l'invito alla missione.

La prima parola di Matteo è un'autorivelazione di Gesù: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra" [Mt 28,18]. Gesù, compimento della profezia di Daniele — "ecco apparire sulle nubi dei cielo uno, simile ad un figlio di uomo, e giungere presso il vegliardo, che gli diede potere, gloria a regno. Tutti i popoli, nazioni i lingue, lo servivano" [Dan 7,13-14] — è il Signore del mondo, della storia a di ogni. uomo. È questa la radice dalla quale scaturisce l'universalità della missione. Gesù è il Signore di tutto e di tutti.

Perciò, dev'essere annunciato a tutti, e dappertutto. La sua persona, poi, niente ha a che vedere con i signori della terra, perché la sua signoria si realizza nell'ordine del servizio e dell'amore: "I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse, e i grandi esercitano su di esse il potere. Non cosi dovrà essere tra voi" [Mt 20, 25-26] . È giusto, dunque, che la sua signoria venga annunciata a tutti. Il pur breve discorso di Gesù, prima di elevarsi da terra per tornare al Padre, è percorso dall'idea di pienezza e di universalità: l'aggettivo tutto ricorre 4 volte [tutto il potere, tutte le genti, tutto ciò che ho ordinato, tutti i giorni].

L'idea della missione universale c'era anche nel Primo Testamento; ma, nell'ordine dell'attesa. La missione universale era, infatti, una speranza riservata soltanto al popolo messianico. Con la persona di Gesù, invece, si entra nell'ordine del compimento, in quanto la salvezza si sta già realizzando, e per tutta l'umanità,.

Scopo della missione è "fare discepole tutte le genti". È un'espressione carica di significato perché dice il fine della vita cristiana: diventare discepoli. Non si tratta, dunque, solo di dare un messaggio, ma di avviare una sequela con il Signore. I discepoli dei Rabbini non mettevano al primo posto la relazione personale con il maestro, ma il suo insegnamento. Non così nel Vangelo: il discepolo si lega alla persona del Maestro, e si impegna a condividere il suo progetto di vita. I discepoli, poi, pur chiamati ad insegnare, non si fanno chiamare maestri. Rimangono discepoli, e maestri allo stesso tempo. Così, avviene per il missionario, che non insegna mai qualcosa di proprio, ma solo "tutto ciò che egli ha comandato". II suo è un insegnamento nella più assoluta fedeltà e dipendenza. Un insegnamento che nasce dall'ascolto.

"Sarò con voi fino alla fine del tempo" [Mt 28,20]. È l'ultima parola di Gesù, secondo Matteo. Il Risorto non se n'è andato. Cammina sulle strade del mondo con i suoi missionari. Mantiene la promessa inclusa nel nome, datogli dall'inizio: Emanuele, il Dio con noi.


2. L'interdipendenza "dialogo-missione" [parte teologica]

In questa seconda parte, anche per restare fedele al tema assegnatomi, vorrei leggere la Missio ad Gentes alla luce del nuovo Millennio, una stagione che pare rivelarsi particolarmente sensibile al dialogo interreligioso.

Nella Novo Millennio Ineunte il Santo Padre scrive: "Questa purificazione della memoria ha rafforzato i nostri passi nel cammino verso il futuro, rendendoci insieme più umili e vigili nella nostra adesione al Vangelo" [NMI 6]. Una tale "coscienza penitenziale" ha ridestato un nuovo anelito di unità tra le Confessioni cristiane, ma ha pure provocato il desiderio di nn dialogo sempre più fitto con i credenti di religioni diverse.

Ora, l'evento del Giubileo è finito. Inizia il tempo della realizzazione dei "semi" che lo Spirito Santo ha seminato nel cuore della Chiesa. Ed io ritengo che, sul versante della Missio Ad Gentes, e del dialogo interreligioso, in particolare, vadano sviluppati maggiori sforzi.

Già Paolo VI ricordava nell'Ecclesiam Suam che il dialogo, prima ancora di essere un'attività, della Chiesa, è uno stile di rapportarsi con il mondo: "Bisogna che noi abbiamo presente questo ineffabile realissimo rapporto dialogico, offerto a stabilito con noi da Dio Padre, mediante Cristo, nello Spirito Santo, per comprendere quale rapporto noi, cioè la Chiesa, dobbiamo cercare di instaurare e di promuovere con l'umanità" [ES 194]. Ma, oltre alla relazione chiesa-mondo, esiste pure la relazione missione-dialogo, non meno complessa.

In questa circostanza vorrei parlarvi del dialogo interreligioso, come via alla Missione, ed in particolare, al primo annuncio, che "ha la priorità permanente nella missione" [RM 44] .

Il Vaticano II offre un quadro positivo delle religioni non cristiane, allorché parla di "germi del Verbo che vi si trovano nascosti" [AG 11]. Accenna, pure, a "quanto é vero e santo in queste religioni", compresi precetti a norme che "non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini" [NAe 2] . Un elenco più dettagliato di tali positività si trova riassunto nella stessa Redemptoris Missio [RM 55-57, pure 28-29]. Tuttavia, il Vaticano II parla anche di aspetti negativi, di errori, incertezze, debolezze in tali religioni, per cui esse sono pure segnate da ombre e ambiguità. Il Vaticano II, però, non si esprime sullo statuto teologico delle religioni. Non dice, cioè, il loro ruolo in ordine alla salvezza. Si limita solo a collegarle in ordine alla missione.

L'Evangelii Nuntiandi, 10 anni dopo, non porta novità. In essa non appare il termine dialogo, anche se verso le religioni non cristiane Paolo VI parla di "stima e rispetto", di "patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi", di "autentica preparazione evangelica" [cf. EN S2]. Insiste più sulle insufficienze. L'Evangelii Nuntiandi non ritratta l'Ecclesiam Suam; ma il Santo Padre vede i rischi di un genericismo salvifico, che potrebbe affiorare tra i cristiani, a chiede una riflessione più profonda e critica sul fenomeno.

Con Papa Wojtyla il binomio "dialogo-missione" fa passi in avanti. Il Pontefice salda insieme insegnamento ed iniziative di dialogo interreligioso. Fin dalla Redemptor Hominis egli affida al dialogo un ruolo primario nella missione ecclesiale. Suo campito è "indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo" [RH 11]. Afferma che le religioni testimoniano in diversi modi la "ricerca di Dio", e chiede al missionario il "rispetto per tutto ciò che in ogni uomo ha operato lo Spirito" [RH 12].

Il dialogo interreligioso si pone, dunque, nell'ambito della missione, come diceva anche Paolo VI. Di nuovo c'è il rilievo dato all'opera dello Spirito Santo, che trova spazio nell'enciclica Dominum et Vivificantem. In essa, il Pontefice parla dell'azione dello Spirito Santo anche prima di Cristo, E in tutto il mondo, a partire dall'Antica Alleanza, per ribadire che lo Spirito opera "anche al di fuori del corpo visibile della Chiesa" [DeV53].

Un pensiero ripreso, poi, nella Redemptoris Missio, ai nn. 28-29.

Passi notevoli di Papa Giovanni Paolo II sono avvenuti soprattutto sul piano dei segni: L'incontro con i giovani musulmani di Casablanca, 1985; La Visita alla Sinagoga di Roma, 1986; e La Giornata di preghiera di Assisi, 1986 sono pietre miliari del cammino del dialogo. Certe iniziative, come quest'ultima, furono talmente singolari da aver bisogno di un chiarimento [v. discorso rivolto alla Curia Romana il 22 dicembre 1986 per dire la finalità dell'Incontro di Assisi: essere insieme per pregare; non l'atto del pregare insieme].

Vorrei sottoporVi, ora alcuni scottanti temi collegati.

  1. Dialogo e salvezza. II dialogo interreligioso, considerato da tempo un elemento sempre più importante di comunicazione tra popoli e persone, deve tuttavia rimanere per la Chiesa e, nel nostro caso, per i missionari e le missionarie "nell'orizzonte della salvezza di Cristo, ed orientato ad essa". Alla Chiesa, infatti, spetta il compito di illuminare il campo della salvezza di Cristo, non di qualsivoglia salvezza umana o filosofica.
    Tale obiettivo tanto decisivo viene riaffermato nel Documento "Dialogo e Annuncio", nel quale Papa Giovanni Paolo II afferma; "Il dialogo si inserisce nella missione salvifica della Chiesa ed è per questo un dialogo di salvezza" [DA 39]. Esiste, in realtà, la tendenza in alcuni di fare del dialogo, sic et simpliciter, l'unico compito affidato alla missione. Ma, il dialogo non può diventare un fine per se stesso; una specie di "dialogo per il dialogo". È vero che in, molte aree del mondo, il dialogo è la sola via aperta alla fede cristiana, oggi. Ma molti ne parlano come se tale situazione fosse una realtà planetaria.
    Il dialogo non è la sola missione oggi legittima e necessaria. Se cosi fosse, il dialogo finirebbe per prendere il posto della missione. E la missione si ritroverebbe impoverita e svuotata del proprio contenuto. Fine ultimo della missione è la proclamazione di "Colui che salva", il Cristo morto e risorto per la salvezza di tutti.
    Mi chiedo, pertanto: rinunciare all'annuncio del Vangelo, quando, invece, è possibile farlo; ripiegando sul solo dialogo della vita, non è un segno di fede debole?

  2. Il ruolo delle religioni nella salvezza. Quando si tratta del dialogo interreligioso si toccano necessariamente le religioni e il loro ruolo salvifico. Le religioni non sono estranee al piano di salvezza, sia in senso passivo, che attivo. Sono, cioè, bisognose di illuminazione, purifìcazione e perfezionamento, e come tali destinatarie dell'evangelizzazione. Ma esse possiedono pure beni e valori spirituali, elementi di verità e di grazia, cui poter attingere. In questo senso, il dialogo viene salutato dalla Redemptoris Missio come una "via" della missione [RM55]. Si può cosi dire che i seguaci di altre religioni si salvano, non contro di esse, ma in esse, ed anche con il contributo "di ciò che è buono nelle loro proprie tradizioni religiose, e seguendo i dettami della loro coscienza" [DA 29; cf. AG 3,9, 11]. Ma da qui ad attribuire alle religioni in sé la qualifica di "vie della salvezza" è per lo meno equivoco. Un conto è parlare di elementi di verità, un altro è attribuire ad ogni religione la patente di verità. Pertanto, è errato considerare tali religioni come "vie ordinarie di salvezza", e ritenere la religione cristiana addirittura "una via straordinaria".
    Si potrà, dunque, dire che gli elementi buoni delle religioni possono essere considerati, in certo modo, canali attraverso cui passa la salvezza, fermo restando che è Dio che salva mediante Cristo, nello Spirito Santo, e che la grazia della salvezza ha pur sempre "una misteriosa relazione con la Chiesa [RM 10]. A ciò risponde la Redemptoris Missio, laddove ribadisce la "mediazione unica e universale di Cristo", senza escludere "mediazioni partecipate di vario tipo e ordine", che "tuttavia attingono significato e valore solo dalla mediazione di Cristo, e che non possono essere intese come parallele e complementari [RM 5].

  3. Pluralismo religioso? La domanda risponde ad un comune sentire del nostro tempo, che nasce da esigenze irenistiche, ma che poco hanno a che vedere con la verità di Dio.
    La pluralità delle religioni è un dato di fatto; ma il pluralismo religioso, come risposta alla questione della salvezza, è altra cosa. Chi tende a fare di esso un nuovo paradigma per interpretare la varietà delle religioni, in ordine alla salvezza, ritiene che tutte le religioni sono vie di salvezza. In tale visione, Dio starebbe, come un sole, al centro di diversi percorsi di avvicinamento. Un tale orientamento é stato chiamato da alcuni teologi cristiani 'via teocentrica', in opposizione alla 'via ecclesiocentrica', o 'cristocentrica'. I sostenitori di tale teologia ritengono Cristo decisivo e normativo, ma solo per i cristiani. Tali percorsi stravolgono la realtà di Dio a l'unicità della salvezza in Gesù Cristo. II pluralismo religioso appare sempre più un tentativo di soluzione umana a questioni che l'uomo non può risolvere da solo.
    La Redemptoris Missio ricorda che il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa [RM 55]. II Santo Padre, anzi, collega in modo profondo il dialogo all'annuncio: 'La Chiesa sente, però, la necessità di comporli nell'ambito della sua missione Ad Gentes. Occorre, infatti, che questi due elementi mantengano il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti come se fossero intercambiabili [RM 55].

Dopo quest'ampia parte centrale, vengo ad alcune concrete vie della Missione, oggi. 

3. Nuovi areopaghi ed opportunità missionarie [parte pastorale]

Mutano i tempi e mutano, di conseguenza, gli scenari dell'annuncio. Sorgono nuovi areopaghi sui quali far incontrare Gesù Cristo e il suo Vangelo con popoli e generazioni.

  • Le culture. Una prima rilevante sfida per la Chiesa di oggi si gioca nell'ambito delle culture. La Chiesa è chiamata a riprendere un dialogo costruttivo con esse per evitare che il seme del Vangelo cada in terreno sassoso, e finisca per inaridire. Ogniqualvolta, infatti, la Chiesa ha accantonato, o ridimensionato un dialogo tanto importante, ha pagato prezzi altissimi, evidenziando Comunità cristiane spiritualmente zavorrate e accomodanti. A tale riguardo Paolo VI, nell'Evangelii Nuntiandi ricordava come "la rottura tra Vangelo e cultura era senza dubbio il dramma della nostra epoca" [EN 20], al punto che "non basta evangelizzare le persone; ma, a partite dalle persone e in vista di esse, occorre evangelizzare anche le culture, che sono quasi la coscienza collettiva degli uomini" [cf. EN l8,20].

  • La fede delle Chiese di antica tradizione. Una seconda sfida riguarda l'impegno di nuova evangelizzazione all'interno delle comunità di antica tradizione. Il Santo Padre ha più volte sollecitato le Chiese d'Occidente ad assumersi responsabilmente un tale obiettivo, ad impegnare in tale versante persone e strategie pastorali. Vasti gruppi di battezzati, infatti, vanno alla deriva della fede, abbandonando la pratica religiosa, e lo stesso interesse spirituale.
    Trattasi di "una situazione intermedia, specie nei Paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle Chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo" [RM 33]. In un simile contesto occorre operare una vera e propria ri-evangelizzazione, interpellando le Chiese di antica tradizione a ridestare una loro interna missionarietà.

  • Le Chiese dell'Est. Sfida di non minore significato riguarda le Chiese dell'Est europeo, che muovono i primi passi di libertà riconquistata dopo decenni di catacombe. Sono Chiese gloriose che mostrano ancora le ferite di una persecuzione terrificante. Tuttavia, i nuovi idoli del benessere e del danaro non mancano di tentarle; Chiese che portano all'Occidente cristiano la ricchezza della propria testimonianza, e che chiedono un aiuto per la propria risurrezione. Ad esse non mancano di dare concrete risposte gli Istituti missionari, ed altre Chiese sorelle di Paesi europei. Avviene in tal modo il miracolo della comunione dei Santi per cui nessuno è così povero da non aver niente da dare, e nessuno è così ricco da non aver niente da ricevere.

  • I popoli in esodo. Non ultimo campo di interesse riguarda i popoli del Sud del mondo che in misura sempre più massiccia abbandonano le proprie radici per approdare, carichi di speranza ed illusioni, alle spiagge dei Paesi occidentali. L'impatto è quasi sempre brutale. Trattasi per la gran parte di popolazioni non cristiane, appartenenti o a religione musulmana o buddista. Più di altri hanno bisogno di sperimentare la novità della religione cristiana, fede rivelata, dal volto divino, accogliente e misericordioso.


Conclusione

Le urgenze menzionate sono al medesimo tempo delle sfide che sollecitano la Chiesa a individuare nuove forze attive nel campo della missione. E di fatto, nuovi germogli stanno fiorendo. Tra questi va maturando oggi una nuova fioritura di laicato, maturo e responsabile, desideroso di offrire nuove forme di disponibilità per la missione. La Redemptoris Missio ha recepito la loro vocazione, sia valorizzando le comunità ecclesiali di base, ritenute "strumento di formazione e di evangelizzazione" [RM 51], come pure, riconoscendo il servizio missionario intrapreso da Associazioni del laicato missionario, di volontariato internazionale, e da vari Movimenti ecclesiali [cf, RM 72] che arricchiscono l'universo ecclesiale.

Il segno del laicato aperto all'annuncio del Vangelo ripropone la stagione fiorente degli Atti degli Apostoli nella quale Paolo si fa accompagnare da generosi laici cristiani. Più volte, egli parlerà di Aquila e Priscilla (cf 18,2; 18,18; 18,26]; di Onesiforo [cf. 2Tim 4,19], e di Epafra, come compagno di prigionia [cf, Fil 1, 23]. Basti questo segno dei tempi per capire che Dio continua ad accompagnare la vita della sua Chiesa e ad arricchirla nel suo servizio di annuncio del Salvatore con nuovi soggetti e strumenti.

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Ref.: Testo dell'autore - Per gentile concessione del SEDOS

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