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Cap. XXXVII di "Iota unum" sull'Eucaristia
(Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni
della Chiesa cattolica nel XX secolo
, Ricciardi, Milano-Napoli, 1985)

GLOSSE di Enrico Maria Radaelli
(linkabili anche una per una dai numeri inseriti tra parentesi tonde)

Definizioni pag. 456

Il teologo coglie il senso primario della formula eucaristica: questo è il Corpo di Cristo, ma circa il modo dell'essere questo il Corpo di Cristo viene meno la certezza (vedi § 266). Così S. Tommaso insegna che il Corpo di Cristo è nel sacramento per transustanziazione e permanenza degli accidenti anteriori, Giovanni Pico della Mirandola per una sorta di unione ipostatica, lo Scoto per moltiplicazione della presenza, il Campanella per l'assunzione del pane al quinto mondo metafisico trascendente, il Rosmini per vivificazione trasformatrice della sostanza del pane ad opera del Cristo. In queste discrepanti teoriche può cadere errore, se le modalità escogitate non salvano il senso primario del dogma, facendo della presenza sacramentale un atto immaginario anziché reale, figurale e di puro segno anziché di realtà e di esistenza. Al di là dell'asserto di fede: questo è il Corpo di Cristo la teologia contrae la dubbiezza inerente all'inadeguanza della facoltà conoscitiva tanto nei veri soprannaturali quanto in quelli naturali.

Cap. XXXVII

265. L’eucaristia nel dogma cattolico. – L’eucaristia è il fastigio della religione e la consumazione del sacro.(1)

Verso di essa tutti gli altri sacramenti sono quasi soltanto sacramentali, cioè cerimonie preparatorie. Il mistero della presenza reale dell’individuo Cristo storico nel seno della Chiesa non disdice, anzi si addice sommamente alla struttura dell’ente increato e di quello creato. È infatti la consumazione di tutti i valori della Monotriade riflessi nella struttura creaturale.

È la consumazione della potenza divina(2), contenendo il prodigio sommo della transustanziazione, della persistenza degli accidenti, della simultanea presenza del corpo in più luoghi. È anche la consumazione della potenza nella creatura la quale divien capace di operare la prodigiosa transustanziazione, riceve un pegno della sua glorificazione escatologica, fortifica tutte le proprie energie morali.

L’eucaristia è similmente la consumazione della sapienza, perché, oltre alla comunicazione che Dio fa di sé nella creazione, nell’unione teandrica e nella grazia, egli trovò modo mirabilissimo di comunicarsi sacramentalmente a guisa di cibo.(3) E come nell’Incarnazione la natura umana stette senza persona umana, essendo assunta dalla persona divina, così nell’eucaristia gli accidenti stanno senza la loro sostanza, essendo sostentati prodigiosamente dalla sostanza del corpo teandrico. E anche alla sapienza dell’uomo si addice l’eucaristia, perché la nostra ragione, riflettendo sopra il mistero, si alza sopra le repugnanze della natura sensibile e attinge nozioni puramente spirituali.

L’eucaristia è infine la consumazione dell’amore divino perché, bramando comunicarsi alla creatura in tutti i modi possibili, l’infinito amore, già comunicatosi con la creazione, nell’unione teandrica e nella grazia, si comunica ora nuovamente, perché l’uomo cibatosi del corpo di Cristo assume in misterioso modo la divinità.(4) E anche all’amore dell’uomo si addice l’eucaristia, perché all’amore infinito di Dio l’uomo è fatto capace di rispondere con un amore che corre per spazi infiniti fondendosi e collegandosi con l’amante.1  (5)

266. Teologia dell’eucaristia. – Ogni interpretazione del dogma eucaristico deve salvare la presenza reale del corpo di Cristo nel sacramento, e cade o regge secondo che un tale realismo risulti o no salvato. Non spetta a un libro come questo entrare nei teologumeni vari, arditi e difficili su questo soggetto.

Il fondo del mistero è però che il corpo di Cristo, anzi tutto l’individuo teandrico si trova realmente presente dopo la consacrazione, tutta la sostanza del pane essendo convertita in esso corpo. E l’offesa fatta al senso che dove è il corpo di Cristo non percepisce che le qualità sensibili e la quantità del pane, non è propriamente un’offesa, giacché il sensorio continua ad essere in atto verso il suo oggetto proprio, le qualità o accidenti o specie, benché all’oggetto del senso non sottostia più la sostanza del pane, bensì la sostanza del corpo. Il corpo non è presente con la sua quantità propria e fenomenica, bensì con la quantità fenomenica che aveva la sostanza del pane prima della consacrazione.2 Tale è la dottrina dell’enciclica Mysterium fidei di Paolo VI che ripropone ad litteram la dottrina del Tridentino.

Menzionerò il tentativo moderno del Rosmini di concepire la transustanziazione come un succedere del corpo teandrico al corpo del pane in séguito alle parole consacratorie. Il principio sostanziale dell’individuo teandrico, che è in cielo, avviva e fa diventare sostanza con un processo analogo a quello della vitale nutrizione, onde il cibo diventa uomo.3 Il Rosmini mantiene la verità dogmatica che la sostanza del pane si cangia intrisecamente nella sostanza del corpo teandrico.

267. Teologia neoterica dell’eucaristia. – Il fondo del dogma è racchiuso nel senso ovvio del verbo estin dei Sinottici e di I Cor., 11, 24, a cui si arrendeva Lutero dicendo: « Il testo è troppo forte ».4 Vi sono nella Bibbia certo luoghi in cui il predicato essere ha manifestamente senso metaforico e non ontologico. Per esempio nella spiegazione del sogno del Faraone in Gen., 41, 27: « septem spicæ… septem anni SUNT » le spighe non possono certo essere sostanzialmente una durata di tempo. E similmente in altri luoghi il verbo essere vale, in forza del contesto, del senso e dell’intenzione, simboleggiare. Qui invece il senso ontologico, che ripugna alla percezione sensitiva e che in Ioan., 6 aliena per tale ripugnanza gran parte degli uditori, è proprio quello affermato dal Cristo, è il senso inteso dalla comunità cristiana primitiva, è la fede della Chiesa lungo i secoli.5

La teologia neoterica, espressa nel Catechismo olandese divenuto testo nelle scuole cattoliche, ha trasposto il cangiamento del pane eucaristico dall’ordine ontologico all’ordine ideologico, insegnando che la mutazione operata in forza delle parole consacratorie riguarda i fini e i significati: quel pane, che significa naturalmente il cibo sostentante la corporale vita ed è a ciò destinato, trapassa a significare il corpo di Cristo e assume per fine la spirituale nutrizione del cristiano. Che transignificazione e transfinalizzazione corrispondano meglio al carattere personalistico degli atti religiosi, come vogliono gli autori di questa sentenza, non si può dire: anche nella transustanziazione è il Cristo individuo teandrico che si offre, vittima e cibo, in oblazione d’amore. D’altronde offrire la propria sostanza è atto assai più oblativo e sublime che offrire un altro significato alla medesima sostanza.(6)

Tralasciamo che questo cangiamento non sostanziale non risponde né al testo sacro né alla definizione del Tridentino. Ma è da dire che nel sistema neoterico la profondità del mistero dilegua. I neoterici insistono sulla inerenza profonda del fine all’essere della cosa, ma non possono fare che la finalità e il significato siano ulteriori e superadditi [= aggiuntivi, con terminologia campanelliana.] all’entità del pane. Certo il pane naturale ha il fine nutritivo, ma non è costituito di un tal fine, perché un’idea (e tale è il fine) non può identificarsi con la sostanza. Un pane che non avesse per fine la nutrizione non sarebbe pane, ma di avere per fine la nutrizione il pane lo riceve dalla sua interna costituzione di sostanza atta alla nutrizione. Una pura transfinalizzazione è dunque cangiamento di relazione e implica sempre la sussistenza di cosa che è in sé prima di essere in relazione.(7) (8)

268. Il dileguo dell’adorazione. – La conseguenza impellente e maggiore di prendere il mistero eucaristico come un puro cangiamento di significazione e di finalità di un pane che rimane nella sua identità sostanziale è il venir meno dell’oggetto latreutico e il dileguo dell’adorazione. Se il significato di una cosa è puramente metaforico e puramente intenzionale e se il fine, prescisso dalla causa efficiente, non ha altra base che la mente che concepisce e vuole, non è più possibile trovare nel pane eucaristico transignificato e transfinalizzato alcun aspetto per cui diventi adorabile: prima e dopo la consacrazione si ha, in ordine reale, esattamente il medesimo. Nel pane realmente transustanziato nel corpo di Cristo l’atto adorante trova invece una realtà su cui appoggiarsi, perché si adorano gli enti e non si adorano le relazioni, anzi più propriamente si adora soltanto un ente personale.(9) Se dunque l’eucaristia è un nuovo rispetto anziché un nuovo oggetto reale, l’adorazione non ha più una realtà a cui appigliarsi. Non si adorano metafore, ma enti. Quando nel politeismo pagano diventarono oggetto di culto idealità e astratti come bontà, bellezza, giustizia, essi divennero subito persone e il culto non andava a quelle astratte significazioni, ma provava il bisogno di prendersi come termine un essere personale. Le Grazie, le Furie, la Memoria sono tutte ipostatizzate.

Al dileguo della sostanza che toglie l’oggetto dell’adorazione si accompagna il dileguo della durata, perché la durata è un’affezione della sostanza e le affezioni durano solo nel durare delle sostanze. Un corpo simbolico che è dato in cibo simbolico consuma interamente il suo valore con la manducazione. Ridotto il valore del pane eucaristico a simbolo di nutrimento non resta più cosa alcuna di valore nel sacramento non manducato. Di qui l’opinione ormai divulgata nel popolo cristiano che, levata la mensa del convivio eucaristico, non resti più nulla di divino nel tabernacolo. Se al contrario il pane non è puro simbolo, ma sostanza reale, il sacramento permane oltre la finalizzazione e la manducazione.

269. Culto eucaristico extraliturgico. – La declinazione del culto latreutico dell’eucaristia avviene e nel corso della celebrazione liturgica, perché si manduca il sacramento senza espressamente adorarlo, e fuori della celebrazione perché il culto del Santissimo, le visite, le esposizioni solenni, le Quarantore, le devozioni riparatrici sono cadute oggi in disuso e quasi evitate come deviazioni. Benché Mysterium fidei del 1965, e la Istruzione Eucharisticum mysterium del 1967 raccomandassero vivamente la devozione del Sacramento sia pubblica che privata fuori della Messa, come estensione della pietà cristiana che ha il centro nella Messa, la disaffezione per tale culto si propagò rapidamente, fomentata dalle deviazioni teologiche e tollerata, per la consueta accomodazione, dall’episcopato. Giovanni Paolo II nella lettera indirizzata nel 1980 a tutti i vescovi Dominicæ cenæ credette di dover chiedere perdono « per tutto ciò che in seguito all’applicazione talora parziale, unilaterale, erronea delle prescrizioni del Vaticano II possa aver eccitato scandalo e disagio circa l’interpretazione della dottrina e la VENERAZIONE DOVUTA A QUESTO GRANDE SACRAMENTO ». È per raddrizzare la deviazione deplorata anche nel simposio preparatorio di Tolosa che il Papa donò al Congresso eucaristico internazionale di Lourdes del 1981 non già un calice con patena, ma un ostensorio, cioè una suppellettile che si adopera nel culto del Santissimo Sacramento soltanto fuori della messa.6

Questo abbandono dell’adorazione nella Messa e fuori è certo l’effetto della desostanzializzazione dell’eucaristia, decaduta da atto sacrificale, che richiama direttamente il Dio Redentore, ad atto conviviale, che celebra l’agape fraterna. Esso costituisce però anche un passo retrogrado, perché si tenta di raffigurare tale abbandono come un ritorno alla tradizione più antica. Ora è appurato che fino al secolo XI l’eucaristia veniva conservata (come oggi d’altronde) con il fine primario di comunicare i malati e i moribondi, ma questo fine primario non può alterare la natura del mistero che è per essenza l’Adorabile. E non si può tirare indietro la Chiesa7 a un grado meno sviluppato della sua cognizione di fede e della conseguente pratica del popolo di Dio. Come abbiamo asserito, lo sviluppo storico delle credenze e della pietà produce una più profonda cognizione della Rivelazione, e se si ripudia il principio dello sviluppo canonizzando non i principii, che sono immutabili, ma uno stadio dello sviluppo e in quello fermando il moto vivo della Chiesa, si annienta gran parte della teoretica e della pratica dei dogmi cristiani, molto più spiegati oggi che non fossero nei primordi o nei tempi di mezzo della religione

270. La degradazione del sacro. – Se il pane eucaristico non è che il pane a cui si aggiunge una nuova finalità, il Santissimo, cioè il Sacro sussistente, dilegua del tutto.

La disposizione morale con cui il popolo cristiano guardava al Sacramento variò nei secoli, ma sempre dentro un’invariabile di riverenza, di tremore, di profonda tenerezza religiosa del tutto aliena dalla tendenza neoterica che ravvisa nell’eucaristia un pasto d’agape, in cui si celebra l’unione d’amore della comunità.8 (10) Si avanza sino a sostenere la presenza di Cristo nella comunità stretta dalla carità fraterna.9

Il tentativo di rappresentare la Cena del Signore come una celebrazione di amicizia e di allegrezza dà luogo oggi a sacrileghi convegni conviviali in cui promiscuità di materie, arbitrio di gesti, illegittimità di consacratori, profanità di luoghi e di modi costituiscono uno scandalo e una tristizia nella Chiesa. In realtà l’ultima cena fu un atto supremo di amore divino, ma fu evento tragico. Si svolgeva infatti nel presentimento del deicidio, nell’ombra del tradimento, nello spavento dei discepoli incerti della loro propria fedeltà al Maestro,10 nello sgomento prelusivo al sudore di sangue del Getsemani. L’arte cristiana ha d’altronde figurato sempre l’Ultima Cena come un evento tragico e non come un convivio giocondo.11 (11)

La desostanziazione dell’eucaristia ha per forza scemato la riverenza al sacramento e la riforma liturgica vi si informa e la produce, forse per mimetica di ecumenismo.12 Abrogato quasi del tutto il digiuno previo alla sunzione; scemate le lumiere; divenuti rari inchini, baci e genuflessioni13 destituito il Santissimo dal luogo più degno del tempio; calato il tabernacolo dall’eccelsa all’ima e dalla centrale alla laterale posizione; disusate le private e le pubbliche devozioni latreutiche paraliturgiche; cancellata dai calendari la solennità del Corpus Domini e divenuta la processione teoforica di diurna in notturna come di lucifuga natio; tollerato l’uso di qualunque materia, sin di bodino dolce;14 minuscolizzate le iniziali delle parole sacre; disusati il preparamento e il ringraziamento per la Santa Comunione;15 decaduto il precetto pasquale; sostituite le sedie ai banchi con genuflessorio; obsolescente l’obbligo di confessarsi delle colpe gravi prima di accedere al corpus Christi; trattate le sacre specie da tutte le mani e data la Comunione da persone non consacrate; famigliarità inaudite con le ostie consacrate che i preti inviano in busta per posta ai fedeli che desiderano comunicarsi;16 abolita nel Messale l’istruzione de defectibus in celebrazione missarum occorrentibus.17 Insomma vi sono della degradazione eucaristica mille e mille segni qui crèvent les yeux.18 (12)

E se l’eucaristia è, come è, il fastigio del sacro e la riduzione di tutto il regno delle anime alla Monade essenziale, è da dire che la crisi della Chiesa è crisi dell’eucaristia, crisi della fede nell’eucaristia, includendo questa crisi tutto lo sreligionamento e il dissacramento che le molteplici variazioni partoriscono poi visibilmente.(13) (14)

271. Il venerandum e il tremendum dell’eucaristia nella storia della Chiesa. – Tralasciando di trattare degli usi giudiziali e taumaturgici,19 spesso abusivi, che si facevano delle specie eucaristiche, è assodato che il sacramento, più adorato che preso come cibo, destava nei fedeli profondi sentimenti di tremore, di fede e di amore. Il diacono cantava infatti il monito: Accedite cum fide, tremore et dilectione. Questi sentimenti durarono sino al Vaticano II nella pratica comune che nel ricevere il sacramento voleva si rinnovassero gli atti di fede, adorazione, umiltà, contrizione, ringraziamento, speranza e carità, come risulta da ogni libretto di devozione.

E il tremendum del sacramento, oggi quasi del tutto dileguato, giacché si va alla mensa eucaristica così disinvoltamente come si prende all’acquasantiera l’acqua benedetta, risulta storicamente dalla commozione del popolo cristiano al diffondersi dell’eresia di Berengario nel secolo XI. Si vide allora quale potenza avesse sull’animo degli uomini la fede nella presenza reale e come lo scuotere tale fede facesse nelle moltitudini smuoversi sin la coscienza morale. Quando dunque Berengario negò la transustanziazione togliendo il tremendum del sacramento, un enorme contraccolpo se ne ebbe nel popolo. Ne dà notizia in termini impressionanti il suo contemporaneo Guitmondo di Aversa: « Homines scelestos ad Berengarium cuncurrere solitos fuisse, qui lætabantur se magno metu liberatos, cum intelligerent EUCHARISTIAM NON ESSE REM TAM DIVINAM, ut propter eius perceptionem a sceleribus et flagitiis se continere deberent ».20 L’eucaristia, essendo realmente il corpo di Cristo, era un impedimento al peccato, perché il peccato era un impedimento alla percezione del sacramento. L’aspetto del tremendum, legato alla transustanziazione, non pregiudicava ma prevaleva all’adorazione amorosa.

Questa peraltro, poiché v’è nella pietà ortodossa l’intero arpeggio dei sentimenti, prevalse in altri momenti producendo la fondazione di monasteri, massime femminili, il cui fine primario è l’adorazione perpetua dell’eucaristia. Ma il carattere di tenerezza lo ebbe anche la devozione popolare. Lo attesta, per esempio, un libretto di pratiche di pietà del Quattrocento pubblicato da mons. Carlo Marcora in Memorie storiche della diocesi di Milano, 1960, pp. 185 sgg. Al momento dell’elevazione dell’ostia all’anima ingenua e fervorosa del credente par di vedere non l’ostia consacrata, bensì il corpo medesimo di Cristo: allora mancano all’anima le parole sufficienti per riconoscere il beneficio ineffabile « che il Signore si è lasciato vedere da ti ». Allora essa versa il suo traboccante senso venerabondo in un’effusione commovente di umiltà adorante.(15)

Il dileguo della pietà eucaristica è confessato da Paolo VI nell’enciclica Mysterium fidei e nell’Istruzione Memoriale Domini del 20 maggio 1969. Esso viene fatto esplicitamente risalire al calo di fede perché « dove la verità e l’efficacia del ministero eucaristico e la presenza di Cristo in esso sono state più approfondite, si è anche meglio sentito il rispetto del sacramento ».

272. Sacerdozio e sinassi eucaristica. – La centralità dell’eucaristia nel mistero cattolico fa che la sua degradazione si ripercuota nella degradazione di tutti i sentimenti che ne sono preparazione e partecipazione. La degradazione è più che mai palese nel sacramento dell’ordine sacro, perché questo mette nell’uomo la capacità ontologica di operare la transustanziazione. E qui, come in ogni altro punto della religione, anzi come in ogni altro punto dell’organismo del reale, le cose e i fenomeni sono concatenati tra loro con vincoli, rompere i quali è « ne le fata andar di cozzo » (Inf., IX, 97).

Abbiamo già lumeggiato nei §§ 80-2 la critica con cui i neoterici investono il sacerdozio cattolico tentando di ragguagliare il sacerdozio comune dei fedeli, onde per il carattere battesimale sono consacrati al culto divino, e il sacerdozio sacramentale onde alcuni individui vengono, con l’impressione di un ricalcato carattere, avvalorati ontologicamente e abilitati a transostanziare il pane eucaristico.

L’elemento ontologico del sacerdozio risponde esattamente all’elemento ontologico dell’eucaristia ed è palese che se nel sacramento non si opera una ontologica trasmutazione di sostanza, ma solo una trasposizione di significati non esorbitante dall’ordine intenzionale, non sarà necessaria alcuna peculiarità ontologica per operare una non ontologica trasmutazione.

Se la presenza eucaristica è la presenza spirituale del Cristo nella comunità adunata per far memoria della Cena, atti specificamente sacerdotali sono superflui e la sinassi del popolo fedele realizza la presenza eucaristica del Cristo. Non è il sacerdote in quanto ordinato che attua la transustanziazione. Il sacerdote in quanto pari a tutti gli altri membri della Chiesa nell’esercizio del sacerdozio comune presiede alla simbolica trasmutazione attuata dalla comunità.(16)

La riduzione dell’eucaristia a sinassi anamnestica è il fatto dell’articolo 7 della Institutio generalis Missalis Romani promulgata da Paolo VI il 3 aprile 1969.(17) Essa definisce la Messa in questi termini: « La Cena del Signore o Messa È LA SANTA ASSEMBLEA o riunione del popolo di Dio che si raduna sotto la presidenza del sacerdote per CELEBRARE IL MEMORIALE del Signore ». Si appoggia la definizione su Matth., 18, 20: « Dove si trovano due o tre radunati nel mio nome, io mi trovo in mezzo a loro ». La definizione della Institutio, che indubbiamente ha contenuto dogmatico, secondo dichiarazioni del card. Charles Journet, Paolo VI avrebbe confessato di averla sottoscritta senza leggerla.21 Come si sa ed è necessario, la massima parte dei documenti papali sono redatti dai collaboratori suoi 22 e riveduti e talvolta anche fiduciariamente approvati dal Papa. La cosa non è incredibile, benché le circostanze e la natura del documento la facciano essere un hapax nella storia della Chiesa. La cognizione personale dell’atto che si sottoscrive è un dovere crescente o decrescente a seconda della natura del documento, che qui era un annesso di Costituzione Apostolica.

La molteplice censurabilità e l’incerta ortodossia23 di quella definizione, appariscenti all’analisi intrinseca, sono poi confermate a posteriori dalla ritrattazione fattane qualche mese dopo la promulgazione e della sua sostituzione con una formula dogmaticamente corretta. Il fatto di una tale quasi immediata ritrattazione non ha precedenti nei pronunciamenti dogmatici della Chiesa e se vi sono non pochi disdicimenti ed abiure di errori pratici e politici, come quelli di Pasquale II e di Pio VII, non vi sono esempi di una ritrattazione così nuova, sia perché concernente materia dogmatica, sia perché venuta così presto a eliminare la prima sentenza.24

273. Analisi dell’articolo 7. – L’analisi della definizione rivela tosto la variazione dottrinale. Sino al Vaticano II tutte le teologie e tutti i catechismi definivano la Messa come il vero e proprio sacrificio con cui, per il ministero del sacerdote, il Cristo offre il suo corpo e il suo sangue al Padre in remissione dei nostri peccati.25 Nella Institutio invece la Messa cessa di essere atto sacrificale compiuto dal prete in persona Christi e viene identificata in un’assemblea: « Cena Domini vel Missa est synaxis ».(18) Ometto di rilevare la novità del termine, frequentato dai protestanti, ma affatto ignoto al popolo cattolico. Rileverò l’incongruo logico emergente dal predicato. La Messa, che è un seguito di operazioni sacre, non può identificarsi in un’assemblea, adunata o da adunare, la quale è un’entità morale. Né si riduce a far memoria del Signore, perché la memoria è un fatto dell’ordine intenzionale. È vero che il Cristo comandò: « hoc facite in meam commemorationem » (Luc., 22, 19 e I Cor., 11, 24), ma il ricordare è conseguente al fare.

Non si comanda di ricordare quel che Cristo ha fatto, bensì di fare quel medesimo che il Cristo ha fatto (hoc facite) e di farlo per ricordare. L’imperativo ha per termine il fare e non già il ricordare. È d’altronde significativo che nel Messale antico tutte le parole commemorative e operative del canone stiano sotto la rubrica infra actionem. La Messa è un’azione reale e la memoria è un fatto ideale a cui è finalizzata l’azione reale. Eppure il valore puramente anamnestico della Messa è proclamato dall’episcopato di intere nazioni e per esempio il Missel des dimanches edito dall’episcopato di Francia nel 1969 e riedito nel 1973 pronuncia espressamente che nella Messa « il n’est question que de faire mémoire de l’unique sacrifice déjà accompli ». È ad litteram la formula nudam commemorationem condannata dal Tridentino, sess. XXII, can. 3.

La concezione neoterica di cui risente l’articolo 7 della Institutio importa in fondo una soggettivazione del sacramento, giacché tacendo della transustanziazione ne tace la base extrasoggettiva.(19)

Tutto si scioglie nel sentimento che l’assemblea ha della propria fede. La rinnovazione del sacrificio, che nella dottrina tradizionale si realizza in senso vero e proprio, qui diviene rinnovazione metaforica e puramente mnemonica di esso. Tale soggettivismo eucaristico ha però carattere sociale: non è il singolo ma la comunità in corpore che attualizza la presenza del Cristo. Superfluo osservare che Matth., 18, 20 richiamato nell’articolo 7 si riferisce alla presenza morale del Cristo nella Chiesa, e non alla presenza reale nel sacramento.(20)

274. La degradazione del sacerdozio nell’eucaristia. Card. Poletti. – La vanificazione del realismo sacramentale produce due effetti principali. Primo: se non vi ha nell’eucaristia mutazione ontologica soprannaturale, neppure occorrerà una potenza ontologica soprannaturale per operare la presenza eucaristica: di qui la degradazione dell’officio del prete che da sacerdote (= datore del sacro) si abbassa a primus inter pares nella celebrazione assembleare. E in secondo luogo la presenza del Cristo essendo la presenza di lui nel seno della comunità che puramente memorizzando la avvera, il fatto istantaneo della consacrazione ad opera del sacerdote indietreggia di importanza rispetto al fatto della sinassi e del conseguimento dei fedeli in unum, con o senza base ontologica del sacramento.

Non illustreremo le celebrazioni anomale, arbitrarie e sacrileghe in cui i laici presumono di consacrare l’eucaristia; abbondano, massime in Olanda, e vi sono testimonianze anche fotografiche. Non le illustreremo, perché nessun vescovo (pare) le approvò mai, pur non riprovandole solennemente, e anche perché la loro enormità (nel senso etimologico nonché usuale) è irrefragabile. Ma non possiamo tacere che in molte diocesi, massime dell’area germanica, il popolo si associa durante la celebrazione agli atti consacratorii del prete, profferendo con lui le formule e ragguagliando, come dissi, il sacerdozio laicale al sacerdozio ministeriale. E non tanto la relativa frequenza del fatto, quanto la connivenza o il silenzio dei vescovi arguiscono l’erosione avvenuta nella Chiesa circa la fede nell’eucaristia. Ecco un fatto.

Martedì 24 aprile 1980 in Roma nella Chiesa del Gesù, tra le romane la più centrale e frequentata e quella in cui si svolgono le solennità in omaggio delle autorità civili dell’Urbe verso la Chiesa, assistetti io a una Messa durante la quale tutto il popolo conconsacrò col sacerdote, profferendo ad alta voce le parole della duplice transustanziazione. Per impulso del card. Francesco Seper, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cui narrai l’accaduto, scrissi tosto al card. Ugo Poletti, Vicario di Roma, denunciando il fatto come « abolitio sacerdotii, deiectio sacramenti, irrisio rubricarum, humanarum divinarumque rerum confusio ac permixtio » e tanto più altamente stupefacendo « quia in urbe Roma, quod fuit orbis catholici caput, sacrorumque exemplum et speculum orthodoxiæ et orthopraxeos, tam monstrosa denormatio apparuit ».26 Ma ebbi risposta a tale doglianza solo in luglio dopo che, non intendendo restare inculcato nel mio diritto di membro della Chiesa ad avere i riti secondo le norme della Chiesa e ad ottenere soddisfazione di una giusta rimostranza, la ebbi sollecitata con nuova missiva. Il cardinale mi notificava allora di avere omesso di rispondermi ritenendo la mia « una semplice segnalazione di un episodio occasionale e non già la denuncia di un fatto di cui fosse tenuto a rendere conto ». Egli comunque confermava la realtà dell’« assurdo abuso », ne assicurava l’eccezionalità e rivendicava la regolarità della liturgia celebrata a Roma « che è forse migliore che altrove ».

È facile rilevare che il vescovo è nella sua diocesi responsabile dell’ortoprassi liturgica e deve renderne conto a chi lo chieda; che l’eccezionalità dell’abuso in Roma non celava la frequenza sua nell’orbe cattolico, e infine che la gravità dell’eccesso avrebbe dovuto provocare un’inquietudine pastorale, un sollecito riscontro alla rimostranza e pronte misure di rimedio al disordine.27

275. Preponderanza della sinassi al sacramento. – Abbiamo visto come il richiamo a Matth., 18 nell’articolo 7 mettesse in ispicco la presenza spirituale di Cristo nella sinassi e non la distinguesse bene dalla presenza reale nel sacramento. Il termine classico di transustanziazione non vi compare neppure. La prima conseguenza del rilievo dato alla sinassi disgiuntamente dalla transustanziazione è la partecipazione del popolo alla consacrazione, insinuata anche dall’anfibologia del nuovo canone dove tutta l’assemblea è detta ammessa « al servizio sacerdotale ».28 Ma se Cristo è presente nell’assemblea dei commensali e l’agape è il primario elemento della celebrazione, la sinassi preponderà all’individuo atto del sacerdote transustanziante: perciò si dovrà concludere che nell’impossibilità di avere nel proprio sito prete consacrante non lo si dovrà ricercare in altri siti con trasferimenti disagevoli, consueti nei secoli passati a generazioni più religiose e riflessive, ma converrà identificare il culto domenicale col puro raduno del popolo di Dio.

Questa è infatti la dottrina che i vescovi di Francia hanno promulgato in documenti espressi, approvando e incoraggiando la pratica invalsa di radunare il popolo in assemblea domenicale senza il prete.(21) I vescovi incoraggiano i fedeli a non spostarsi dalla loro parrocchia, dove non c’è prete che celebri, a parrocchia dove il prete celebra, e li esortano a rimanere nella comunità locale per due ragioni: primo, perché (dicono) il più importante è la comunità ecclesiale cioè la socialità, come avrebbe riscoperto il Concilio.29 Secondo perché « on ne se met pas en règle avec Dieu en se soumettant à une obligation ». Così il vescovo di Evreu in « Documentation catholique », 6 aprile 1975, col. 348 e così cento e cento bollettini parrocchiali e pubblicazioni officiose e officiali. Il vescovo sembra ignorare che la religione non è essenzialmente che obbligazione dell’uomo a Dio e che nell’osservanza di tale obbligazione si stringe (anche secondo il Vangelo, che è una legge nuova, ma una legge) la totalità della religione cristiana. Né si tratta di piegarsi a una dura necessità, ove la parrocchia sia sprovvista di curato. Si tratta di una vera e propria superiorità accordata alla sinassi eucaristica, alla comunità dei fedeli sul presbitero consacrante, al sacerdozio comune sul sacerdozio ordinario. E tale superiorità è riguardata come una riscoperta della vera natura della Chiesa, di cui saremmo debitori al Vaticano II. Lo dichiara apertis verbis il vicario generale del vescovo di Ain in un’intervista di aprile 1976 al periodico « Contact », n. 42 : la pratica è raccomandata « par l’ensemble des évêques de France » e dando alla pratica una base dottrinale: « le Concile » dice « nous a aidés à redécouvrir CE QUI EST PREMIER, c’est le peuple de baptisés… Dans cette nouvelle per-spective l’importance c’est que le peuple de Dieu se rassemble ».

E mentre questo viene riguardato come una speranza della Chiesa, si preannuncia l’oltrepassamento dell’eucaristia ad opera della sinassi: « La prise en charge par les chrétiens de leurs assemblées, MENE A ALLER PLUS LOIN QUE LA MESSE du dimanche ». Così la Messa, che è l’apice del sacro, il mistero attorno a cui gira la Chiesa, l’operazione sacra per compiere la quale sono ordinati i presbiteri, entra in una prospettiva di evoluzione e di oltrepassamento. Si scopre la mira ultima e ultimissima della metabola catastrofale di cui trattammo al § 37: il deprezzamento della Messa con la conseguente abolizione o decadenza del precetto festivo.30

La degradazione dell’eucaristia che è il fenomeno più imponente della Chiesa contemporanea è in ultima analisi un effetto della desostanzializzazione e conseguente soggettivazione del mistero. Se l’eucaristia è una celebrazione di memoria, di amore tra i fedeli e di speranza in un mondo migliore, essa discende dal suo grado eccelso e si allinea ai riti noti all’etnografia religiosa del pasto sacro di identificazione col dio. Nei riti di Dioniso i partecipanti divengono capri e in quelli di Era le sacerdotesse sono orse, per memoria, si intende, per assimilazione intenzionale. (22)

Non c’è il proprium del mistero cristiano in cui è realmente presente e realmente si prende Dio.31 (23)

Note di Romano Amerio

1. [Per tutto questo sviluppo mi sono ispirato a Campanella, Theologia, lib. XXIV, cap.12 , 1rt7, pp.46 sgg., Roma 1966)]

2. [Si noti che non essendo l’estensione l’essenza del corpo, bensì un suo accidente, la mutazione della sostanza non implica quella dell’estensione, come sarebbe nel sistema cartesiano in cui l’estensione è l’essenza del corpo.]

3. [Vedi l’ampio trattato sull’eucaristia in Antropologia naturale, ed. naz., vol. XXVIII, p. 275. Ma la dottrina del Rosmini fu censurata dal decreto del 1888 sulle 40 proposizioni] (Radaelli: A questa censura ha fatto però seguito recentemente - I luglio 2001 - una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, firmata dall’allora card. Ratzinger, che indica la prospettiva teologica con la quale i testi dell’Abate Rosmini, spesso apprezzati da Amerio per la loro profondità dottrinale, permangono nell’ortodossia)

4. [Nella formula « Hoc est enim corpus meum » la particella enim non vale infatti ma realmente, come è provato anche dalla sua posizione. Tale fu l’avviso di una commissione di latinisti presieduta da G. B. PIGHI dell’Università di Bologna.]

5. [Le anfibologie in materia eucaristica spesseggiano in scritti rivestiti di carattere ufficiale. Nel n. 2 dei Documenti di lavoro editi dal Centro direttivo del XX Congresso eucaristico tenutosi a Milano nel 1983 si asserisce che « il pane e il vino in sé stessi, né come realtà né come segno, neppure dopo la consacrazione, hanno titolo alcuno per sostenere e rivelare l’equazione posta da Cristo [questo è il mio corpo] ».

6. [Vedi Congrès eucharistique Lourdes 1981, Paris 1981, p. 100. Si veda anche la deplorazione che il card. G. Siri nella sua rivista « Renovatio », 1982, n. 1, p. 5, fa della « notevole decadenza del culto eucaristico ».]

7. [Dal secolo XIII in qua l’adorazione dell’eucaristia fuori della messa è ricercata dal popolo, praticata e propagandata da Santi, dall’Assisiate a Charles de Foucauld, presa come fine da fondazioni religiose, diffusa nelle Compagnie del SS. Sacramento, rappresentata nell’arte, penetrata nella pietà popolare. Nel secolo XVIII l’opuscolo del LIGUORI Visite al SS. Sacramento ebbe vivente l’autore ventiquattro edizioni e dopo la sua morte nel secolo XIX altre novantacinque. Vedi in « Esprit et Vie », 1982, pp. 273 sgg., lo studio di J. ROCHE, Le culte du Saint Sacrement hors messe.]

8. [F. BIFFI, rettore dell’Università lateranense, in « Giornale del popolo » del 27 marzo 1980 scrive che « la Messa è frazione del pane, cioè spartizione di amicizia, di affetto, di aiuto ». Niente della transustanziazione e del sacrificio.] Si avanza sino a sostenere la presenza di Cristo nel sacramento essere la presenza spirituale del Cristo nella comunità stretta dalla carità fraterna. 9 [L’orientamento antilatreutico è manifesto nella grande inchiesta di ICI, n. 564, p. 26 (15 luglio 1981) dove si deplorano « les excès de la Contreréforme » e prevale l’interpretazione non realistica del sacramento.]

9. [ L’orientamento antilatreutico è manifesto nella grande inchiesta di ICI, n.564, p.26 (15 luglio 1981) dove si deplorano «les excès della Contreréforme» e prevale l’interpretazione non realistica del sacramento.

10 [Nessuno dei discepoli è certo di non tradire e domanda al Maestro « Son forse io? ». Questa tragica incertezza del proprio volere morale è colta stupendamente nella Cena leonardesca in S. Maria delle Grazie a Milano.]

11 [Nel discorso del 9 giugno 1983 Giovanni Paolo II afferma che, essendo l’eucaristia memoria della morte, ma anche della risurrezione di Cristo, essa ci fa partecipare alla vita trionfante del Risorto e quindi importa un clima di gioia. Ma è chiaro che la memoria si volge primariamente e immediatamente alla Cena e alla Passione di cui l’eucaristia è un momento.]

12 [L’irriverenza giunse a tanto che i vescovi austriaci si videro costretti a farne un uso speciale. Mons. Graber, vescovo di Regensburg, Die fünf Wunden der Kirche, Regensburg 1977, p. 10

13 [Non solo non è più comandata la riverenza, ma è addirittura proibita. Il vescovo di Antigonish nel Canada ha infatti proibito formalmente di ricevere la Comunione stando genuflessi, « The Globe and Mail », giornale di New Glasgow, 19 agosto 1982.]

14 [Il giornale dell’arcivescovo di Seattle negli Stati Uniti « North-west Catholic Progress » in marzo 1971 dava la ricetta per confezionare l’eucaristia: « milk, Crisco, eggs, baking powder and honey », cioè latte, crisco (che è una sorta di margarina), uova, lievito e miele.]

15 [La madre di don Bosco, quando Giovannino doveva andare alla Comunione, lo segregava per tre giorni dai trastulli, e quell’alto spirito che fu Antonio Fogazzaro si preparava sin dai primi di novembre alla Comunione dell’Immacolata (Epistolario, p. 328) e sosteneva che l’insufficienza del frutto di una Comunione dipende dal non prepararsi da lontano.]

16 [Vedi nel giornale « L’Est républicain », 8 febbraio 1977, la dichiarazione del vescovo di Verdun, che non trova niente di reprensibile in tale pratica.]

17 [Questi difetti erano contemplati con somma cura nel Messale antico. Ma è chiaro che quando il Sacramento perde la sua essenza di sacro i difetti che occorrono nella celebrazione divengono irrilevanti.]

18 [Oltre a queste degradazioni vedi in « Esprit et Vie », 1971, p. 11, un sommario delle indegnità che occorrono comunemente nella celebrazione della messa, nonché la serie di abusi spesso sacrileghi denunciati dal card. RENARD in « Documentation Catholique », 1972, col. 933.]

19 [Celebre è il giuramento di Gregorio VII al cospetto di Enrico IV a Canossa. Nella’abbazia di Münster nei Grigioni dipinti di età carolingia raffigurano san Pietro nell’atto di gettare ai cani il sacramento per placarli.]

20 [« Gli scellerati eran soliti accorrere da Berengario e si congratulavano con lui per essere stati liberati da un gran timore, giacché capivano che l’eucaristia non era quella cosa così divina da dover astenersi per riceverla dai delitti e dalle infamie » (P. L. 149, 1447).]

21 [Così padre Joseph Boxler in « Mysterium fidei », febbraio 1982, p. 3.]

22 [Sul rapporto tra i Papi e i loro collaboratori nella redazione dei documenti, vedi le notizie su Leone XIII di N. VIAN, Il leone nello scrittoio, Reggio Emilia 1980, pp. 169 sg. Quel Papa si faceva fare persino i carmi latini, che poi limava.]

23 [L’incerta ortodossia della prima redazione dell’articolo 7 è l’effetto di una contaminazione tra le esigenze della dottrina tradizionale e l’influsso degli osservatori acattolici che assistettero ai lavori della Commissione conciliare non solo come osservatori (così portava il loro titolo), ma come consultori e partecipi alla redazione dei testi. Mons. BAUM, allora presidente della commissione dell’episcopato americano per l’ecumenismo, in « Detroit News » del 27 giugno 1967 dichiarò: « Ils ne sont pas là (gli osservatori acattolici) simplement comme observateurs, mais aussi bien comme experts consultants et ils participent pleinement aux discussions sur le renouveau liturgique catholique. S’ils s’étaient contentés d’écouter, la chose n’aurait pas eu beaucoup de sens, mais ils contribuaient ».]

24 [La correzione dell’articolo 7 fu portata nel numero di maggio 1970 di « Notitiæ », organo della Sacra Congregazione per il culto divino. La precede un proemio da cui si apprende che « i membri e gli esperti del Consiglio, avendo esaminato l’articolo 7 prima e dopo la sua promulgazione, non vi trovarono alcun errore dottrinale NÉ ALCUNA RAGIONE DI MODIFICARLO. Tuttavia per evitare difficoltà e rendere più chiare certe espressioni, si era deciso che il documento sarebbe ritoccato qua e là ». L’articolo 7 fu non ritoccato ma rifuso interamente facendovi apparire i tratti essenziali della dottrina della Chiesa, sebbene si continui a tacere della transustanziazione, che Paolo VI doveva poi restaurare pienamente nell’enciclica Mysterium fidei. Ecco il testo rifuso: « Nella Messa o Cena del Signore il popolo di Dio è adunato sotto la presidenza del sacerdote che porta la persona di Cristo per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico. Perciò di questa riunione locale della Santa Chiesa vale in modo eminente la promessa di Cristo: “Dove sono due o tre radunati nel mio nome, lì io sono in mezzo a loro”. Infatti nella celebrazione della Messa, in cui si perpetua il sacrificio della croce, Cristo è realmente presente nell’assemblea stessa adunata in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e sostanzialmente e continuamente sotto le specie eucaristiche ». Ognuno vede se son ritocchi soltanto.

25 [GASPARRI, Catechismus cit., p. 205.]

26 [« Abolizione del sacerdozio, degradazione del sacramento, irrisione delle rubriche liturgiche, confusione di sacro e profano… che una tale mostruosa deformazione abbia luogo in Roma, che fu la capitale del mondo cattolico, esempio dei sacri riti, specchio del retto credere e del retto operare ».]

27 [La corrispondenza sta tra le mie carte.]

28 [Mons. RIOBÉ, vescovo di Orléan, vuole che la comunità si elegga il ministro consacrante traendolo dal proprio grembo, cioè puramente nominandolo (ICI, n. 451, p. 21, I marzo 1974).]

29 [Questa dottrina i vescovi di Francia l’hanno esplicitata nel Missel des dimanches 1983: « L’eucharistie est sans doute la meilleure manière d’animer un rassemblement de chréest pas la seule ». Qui la differenza tra sacramento e sinassi, che è di essenza, viene sostituita da una differenza di grado.]

30 [La cosa era già echeggiata al Concilio nelle congregazioni CIX e CX per la bocca di mons. LA RAVOIRE, vescovo indiano, e del patriarca MAXIMOS IV, secondo i quali « è difficile trovar ragionevole il precetto festivo sotto pena di peccato, nessuno ci crede e gli increduli cene sbeffeggiano » (OR, 26-7 ottobre 1974; « Le Monde », n. 20 ottobre 1964). Vedi al contrario la mirabile apologia che della ragionevolezza, della religiosità e della legittimità del precetto fa il MANZONI, Morale cattolica, Parte Prima, cap. VI, nel vol. II, p. 111 ed. cit.]

31 [Paolo VI colpì la deviazione nel discorso ai vescovi della Francia di Sud-Ovest, ricordando che « la célébration de l’Eucharistie se situe bien au-delà d’une rencontre fraternelle et d’un partage de vie » (OR, 18-19) aprile 1977


Glosse di Enrico Maria Radaelli                                    
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(1) Consumare:

  • perfezionare,
  • portare a termine, ma anche
  • impiegare pienamente.

L’eucaristia, ‘azione di grazie’, è l’atto del Figlio verso il Padre come Verbo glorificante la Mente di cui è « Specchio » e pienezza di Immagine. Il Figlio, essendo per questo « Gloria del Padre », in seguito partecipa alla creatura tale suo eterno atto (che in lui è la sua stessa Persona) nella divino-umana Incarnazione del Cristo, nella sua passione e morte, compiute a rendimento di grazie e di gloria al Padre.

(2) Consumazione = impiego pieno dei valori della Trinità (potenza, sapienza, amore, nell’ordine, che per Amerio è il fatto centralissimo), i quali valori sono poi dalla Trinità specchiati nell’uomo.

(3) Consumazione della sapienza: qui come nutrimento completo; di cosa e da parte di che? Di verità, e divine, da parte dell’intelletto di una creatura. Attraverso la materia!

(4) La riflessione è sopra il Mistero, ma a partire sempre da dati sensibili: i dati attuali del pane e del vino, e i dati storici dell’Ultima Cena, documentati dagli Evangelisti. Amerio infatti è aristotelico, non fideista.

(5) Lo spirito dell’uomo ragiona attraverso la materia; facendo ciò in grazia – e ciò amando pienamente secondo l’amore divino – non solo non muore nella materia, ma viene divinizzato da Dio, suo amante, nell’eternità.

(6) Mons. Spadafora addita proprio alla ripugnanza suscitata dal discorso di Cristo in Ioan., 6 l’abbandono di Gesù da parte dei Giudei (v. F. SPADAFORA, Cristianesimo e giudaismo, Krinon, Caltanissetta 1987). L’interpretazione ‘antiteandrica’ sarà evidentemente una costante di tutti i secoli e i popoli messi a confronto col Cristo.

Qui è negata l’efficacia delle parole consacratorie e almeno oscurata la verità della presenza reale. L’anfibologia della dottrina del documento, che si ispira a Rahner e Schillebeeckx, fu denunciata in « Renovatio », 1982, pp. 198 sgg e ne fecero una debole difesa gli autori in « Renovatio », 1983, pp. 255 sgg. Tra l’altro essi sostengono che solo il Magistero può giudicare dell’ortodossia di una posizione dottrinale. È invece certo che ogni fedele ha il diritto di confrontare l’insegnamento dei privati dottori con quello della Chiesa universale e a questa stregua riconoscere se un autore esprime la verità di fede o un suo opinamento contrario ad essa.]

(7) Avrebbero dunque ragione i ‘neoterici’ a vedere il valore di un atto tanto più forte quanto più personale, giacché il punto vivo dell’universo è la comunicazione dell’Io di Dio all’Io dell’uomo. Ma, se l’Io di Dio è puro spirito, quello dell’uomo non può prescindere dalla carne, e il Verbo di Dio si è fatto carne per questo: per non prescinderne, anzi, per glorificare anche quella carne.

(8) Va aggiunto che Cristo nell’eucaristia è reale anche materialmente perché Egli vuole riscattare non solo la parte spirituale dell’universo da lui creato, ma anche la materia, la quale è elemento fondamentale per poter attivare la ragione soprannaturale: senza i sensi, infatti, non può aversi la fede (gli angeli e i demoni non la hanno): il ragionamento di fede infatti ha inizio a partire da essi, i sensi.

(9) Ancora persona: infatti persona è la realtà prima e di Increato e di creato, ma la materia che riveste qui persone e cose può causare nell’uomo – e di fatto causa – un malinteso e spostare alle cose l’attenzione che dovrebbe egli avere unicamente per le persone.

(10) Qui andrebbe precisato che lo sviluppo della cognizione di fede della Chiesa non riguarda la cognizione (massima) degli Apostoli, ma la sua articolata esplicitazione; Amerio – come si vede dal testo e meglio al § 90, p. 190, nota 13 e al § 319, p. 594 del suo Iota unum – era convinto che la Chiesa sviluppasse l’una e l’altra; resta che l’argomento che sviluppa vale anche appoggiandosi solo alla ‘cognizione esplicitata’, che non può mai invilupparsi. Per la correzione dell’errore si veda il mio Romano Amerio. Della verità e dell’amore, § 10, pp. 177 sgg.

(11) Le volgari, dissacranti e fintamente primordiali liturgie di Neocatecumenali e Carismatici, tralasciata ogni più doverosa solennità nel culto dovuto alla Maestà divina, sono spinte tutte in questa direzione di allegrezza conviviale, di agape, di naturalismo liturgico, e la promiscuità dei due sacerdozi è spinta alle conseguenze più estreme. L’iniziale ritrosia di molti vescovi è presto caduta davanti alla chiara benevolenza accordata loro da Giovanni Paolo II, che ne apprezzava il dinamismo, in controtendenza con la parallela rarefazione delle vocazioni nella ‘Chiesa dei vescovi’.

(12) Ognuno dei fatti esposto in questo elenco desolante meriterebbe da parte del supremo Magistero una censura solenne. Non solo: meriterebbe subito l’accensione di un ufficio vaticano che si spandesse in tutto il mondo a verificare la sua estirpazione totale e il ripristino solenne della santità liturgica, per via di quella nozione di eucaristia ricordata anche da Amerio all’inizio del capitolo e ripresa giusto al paragrafo qui di sèguito [e che i vescovi (!) hanno così disinvoltamente rifiutato e rigettato].

(13) A queste indegnità va aggiunta l’usanza ossessiva della concelebrazione, che riduce visibilmente il senso d’adorazione dei sacerdoti concelebranti e vertiginosamente il numero delle ss. Messe proprio quando ce ne sarebbe maggiore necessità. L’usanza ben si adatta alle disposizioni del card. Carlo Maria Martini, il quale, ben lontano dalla pratica e dagli insegnamenti del Beato Alfonso Ildebrando Schuster suo predecessore, sostiene che vanno celebrate poche Messe, ma buone, tralasciando che ogni Messa (fosse anche la più sciatta) richiama su di sé le grazie del Signore per il sacrificio eucaristico celebrato.

(14) Questo punto andrebbe sottolineato: le due crisi si identificano, e qui Amerio parrebbe dare alla seconda la causalità della prima. Infatti la crisi dell’eucaristia è prima di tutto incredulità nel miracolo – identica a quella vista sopra dei Giudei alle parole di Cristo – cioè alla reale possibilità che l’Essere purissimo si incarni e acceda sostanzialmente in specie da lui stesso (a mio parere proprio per questo) create.

(15) E tale penso voleva essere ed era anche l’anima pura e fervorosa – che si faceva ingenua per meglio adorare – dello scrivente Amerio, umile e tremolante davanti al Dio, ma non incosciente.

(16) Doppia mutazione: primo, in allargamento dal singolare al comunitario; secondo, da un ordine specifico e atto a quel miracolo, all’ordine comune, atto a tutti i miracoli, tranne a quello.

(17) Che Amerio si soffermi sul discusso articolo 7 dell’Institutio è dovuto allo stupore tramortente che quella del tutto inadeguata definizione provenisse proprio dal magistero più alto, e con tale leggerezza, pur avendo esso mostrato in altre occasioni l’intelligenza dovuta all’ineffabile del Mistero.

(18) Come dice la nota, la palese innovazione della prima stesura dell’articolo 7 nasce dalla commistione della dottrina cattolica con la protestante, confermata in seguito da testimonianze dirette, come quella data dal card. F. Antonelli, pur strenuo difensore della esecrabile riforma, in Il card. Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica, Studia Anselmiana, Roma 1998, di N. GIANPIETRO.

(19) Come si vede anche da qui, la metafisica si mostra sempre decisiva nel risolvere le questioni, e se se ne prendesse atto come moralmente dovuto – l’uomo è tenuto moralmente a seguire il vero – non avremmo nella Chiesa e nel culto il presente scempio.

(20) Aggiungerei qui che il nuovo culto è toccato anche da un elemento idealistico, dando forza all’idea soggettiva della comunità e togliendo verità a una presenza reale fondata sulle testimonianze storiche di fatti storici (sacri).

(21) Che tutti o pressoché tutti i vescovi siano conformati alle nuove dottrine lo si deve anche alla caduta della virtù di fortezza, oltre alla vertigine di timore che molti prende di non squassar la Chiesa disobbedendo ai fratelli e magari al Papa, come osò mons. Lefebvre.

E più: a chi conviene l’ostracismo? Proprio il caso di quel vescovo prova che i tempi di sant’Atanasio, in cui le genti combattevano per la verità a fianco dei propri vescovi, oggi non sono più. Inoltre, allora come oggi la plebe umile sa che verità e Papa sono il medesimo: se all’epoca avesse dovuto scegliere tra il Papa e Atanasio, non avrebbe scelto Atanasio. Bisogna considerare poi che il santo vescovo non si trovò mai solo, né mai si mise recta contro il Papa, seppur il Papa contro lui.

(22) È il consueto, ossessivo refrain: “Solo il Concilio aiuterebbe a riscoprire primitivi valori che la Chiesa nel corso dei secoli (forse col Tridentino?) aveva smarrito”. Tutti questi ‘valori’, che fortunosamente ora sarebbero stati recuperati, non sono che “a maggior vantaggio del popolo di Dio”, popolo evidentemente negli ultimi secoli bistrattato dalla Chiesa: ma la Chiesa di oggi non è la Chiesa di ieri, i Papi di oggi non sono i Papi di ieri.

(23) L’immagine è forte, ma vera. D’altronde, se l’eucaristia non dà più il reale dell’unione di Dio con l’uomo, che è Cristo sotto le Sacre Specie, al suo posto vale qualsiasi sogno della comunità religiosa, serrata, imprigionata, legata, come gli spiritualisti di tutti i tempi, nella propria carnalità.


[Fonte: http://www.enricomariaradaelli.it/aureadomus/convivium/convivium_glosseamerio.html]

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