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La consacrazione nella Liturgia Eucaristica

Non formule magiche ma parole efficaci di una Persona viva
di Inos Biffi
 
Il concilio di Trento, nel suo insegnamento dogmatico, conserva intatto il suo valore. Si direbbe anzi che oggi risalta ancor più chiaramente la felicità del suo stile essenziale e del suo linguaggio rigoroso nel delimitare i confini della fede cattolica. Ora, secondo quel concilio, "nel divin sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, il nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente" (Sessione XIII, cap. 1).

Viene così affermata l'efficacia delle parole della consacrazione: le stesse pronunziate da Cristo nell'Ultima Cena all'istituzione di questo "mirabile sacramento", "quando - dichiara ancora il Tridentino - dopo la benedizione del pane e del vino, ha affermato con parole esplicite e chiare di dare il proprio corpo e il proprio sangue". Riconoscere, però, una simile virtù alle parole della consacrazione non comporta l'attribuzione alle "parole" come tali di una specie di potere magico, e neppure misconoscere il profondo significato e valore dell'intera anafora della messa.

La formula consacratoria è operativa perché colui che la presiede la pronunzia come "vicario" in persona Christi, ossia rappresentando sacramentalmente il Signore, che in ogni celebrazione è l'autore principale: nell'Eucaristia sono presenti in forma sacramentale il Corpo e il Sangue di Gesù, perché anzitutto è Gesù medesimo a presiederla realmente nella figura del sacerdote.
Tali parole, quindi, non contengono e non manifestano una loro separata e magica potenza verbale, indipendentemente da Cristo; al contrario, la consacrazione è sempre originariamente e "attualmente" un atto di Cristo, un intervento della sua signoria, che agisce mediante lo Spirito Santo, che è la stessa che nell'Ultima Cena, "creativamente", ha convertito il pane spezzato nel suo Corpo e il vino della coppa nel suo Sangue.

Il Decretum pro Armenis, del 1439, dichiarava che "la forma di questo sacramento sono le parole del Salvatore, con le quali egli istituì questo sacramento: infatti il sacerdote compie questo sacramento parlando a nome di Cristo".

Se non si comprende questa presenza sacramentale di Gesù in ogni consacrazione eucaristica, si continuerà sia a non capire il principio e la ragione della conversione "mirabile e singolare", sia a misconoscere il senso e la portata delle parole della consacrazione, sia a parlare vanamente di loro proprietà appunto magiche; di conseguenza, col pretesto di mettere in risalto l'intera anafora, si continuerà a misconoscere il ruolo unico che tanto la dottrina quanto la prassi della Chiesa hanno riconosciuto a questa parte della stessa anafora e alle parole del Signore che vi sono incluse.

Senza dubbio, l'anafora non va frammentata e va tutta valorizzata come un'interpretazione dei vari aspetti del mistero eucaristico e quasi come indice del suo progressivo avvenire e quindi della sua irradiazione.

Anzi, lo stesso momento consacratorio, a cui viene riconosciuta la "genesi" dell'Eucaristia, va intimamente collegato col rendimento di grazie prefaziale, con la memoria dei mirabilia Dei in esso rievocati, con l'invocazione dell'azione transustanziante dello Spirito di Cristo, con l'anamnesi e l'offerta, con le intercessioni e la dossologia finale. Ma la sensibilità all'intimo nesso che lega i diversi tratti della "prece eucaristica" non pregiudica affatto l'importanza singolare della consacrazione.

Oggi non mancano liturgisti, eruditi sì in anafore, ma di spessore teologico piuttosto modesto, i quali contestano sant'Ambrogio e i suoi seguaci per aver parlato delle "parole efficaci (sermo operatorius)" di Gesù Cristo come causa della conversione eucaristica.

Veramente dovrebbero incominciare a contestare san Giustino, nel quale troviamo l'espressione: "nutrimento consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle "parole di Cristo"".

In ogni caso, il riconoscimento di questa efficacia è insegnamento tradizionale nella Chiesa, reso evidente anche nei gesti di adorazione che conseguono la consacrazione, e in altri richiami luminosi o sonori che la preparano o l'accompagnano, nella persuasione che proprio alla consacrazione, di cui l'epiclesi stessa è un aspetto, è dovuta la transustanziazione e quindi la presenza del Corpo e del Sangue del Signore.

Certo, con la riforma liturgica l'anafora, ad alta voce o in canto, può essere più chiaramente compresa, e più attivamente partecipata, da tutta la comunità celebrante; ma non è per ciò stesso perentoriamente decaduta la convenienza, o l'opportunità, che permangano dei segni a ricordare, quasi a risvegliare l'attenzione, sull'importanza unica del "centro vitale dell'Eucaristia", come lo chiama Josef Andreas Jungmann, ossia del momento consacratorio e di quanto ad esso si connette.


(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2008)

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