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Nuovo saggio di don Nicola Bux, teologo barese stimato da Papa Ratzinger, profondo conoscitore del mondo ortodosso. S’intitola “La riforma di Benedetto XVI”

Quando nel luglio 2007 il Motu Proprio di Benedetto XVI ha ripristinato la celebrazione della Messa in latino, da più parti si sono levate vibranti voci di protesta. Il timore diffuso era – ed è – quello che papa Ratzinger avesse infine gettato la maschera, rivelandosi quel reazionario difensore della tradizione che i più accusavano essere fin dai tempi in cui era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cioè l’ex Sant’Uffizio. A queste obiezioni Benedetto XVI ha replicato mostrando come la ripresa del rito latino non sia un “passo indietro”, un ritorno ai tempi precedenti il Concilio Vaticano II, bensì un guardare avanti, riprendendo dalla tradizione passata quanto di più bello e significativo essa può offrire alla vita presente della Chiesa. Quello che papa Ratzinger vuol fare nella sua paziente opera di riforma è rinnovare la vita del cristiano – i gesti, le parole, il tempo del quotidiano – restaurando nella liturgia un sapiente equilibrio tra innovazione e tradizione. Facendo con ciò emergere l’immagine di una Chiesa sempre in cammino, capace di riflettere su se stessa e di valorizzare i tesori di cui è ricco il suo scrigno millenario.


Intervista a Radio Vaticana

Restaurare nella liturgia un sapiente equilibrio tra innovazione e tradizione: è questo il cuore dell’opera riformatrice che sta attuando il Pontefice. E’ quanto sottolinea nel suo ultimo libro, “La riforma di Benedetto XVI” edito di Piemme, il teologo don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede. In particolare, don Bux si sofferma sul Motu proprio Summorum Pontificum con il quale il Pontefice ha liberalizzato il rito latino. Il documento ha suscitato molte critiche anche nel mondo cattolico. Tuttavia, come spiega don Nicola Bux - al microfono di Alessandro Gisotti - non è un passo indietro ma piuttosto un “guardare avanti” riprendendo quanto di più bello c’è nella tradizione cattolica:

R. - Purtroppo, negli ultimi anni, si è fatta strada l’idea di una liturgia “fai da te”, e cioè, praticamente, che ciascun sacerdote, ciascun gruppo, possa togliere e aggiungere quello che crede, in questo spazio di fede, dimenticando che invece noi riceviamo la liturgia da una tradizione di duemila anni. Liturgia vuol dire appunto azione sacra, che noi compiamo per ascoltare Dio, per rispondere a Lui, per offrire a Lui la nostra vita, e che dunque non può essere manipolata da alcuno, proprio perché l’uomo di ogni tempo ha il diritto di incontrare la fede cattolica. Il sacerdote è un ministro, cioè un servitore. Questa situazione che si è creata un po’ negli ultimi anni - e che, ripeto, nulla ha a che fare con lo spirito iniziale della riforma voluta dal Concilio - ha finito per creare nella Chiesa notevoli contrapposizioni e i problemi che tutti sappiamo. Quindi, l’atto del Santo Padre è stato un atto di giustizia, che peraltro era già preparato da altri interventi pazienti fatti da Giovanni Paolo II e anche da Paolo VI. L'intento è di dare dei correttivi all’interpretazione della innovazione della liturgia, perché la riforma liturgica spesso è stata presentata come una sorta di rivoluzione. In realtà, era solo un restauro e quindi come ogni restauro andava portato avanti con delicatezza e senza alterare i tratti fondamentali dell’immagine.

D. - Come recuperare il senso del sacro che oggi va disperdendosi? Una preoccupazione molto presente a Benedetto XVI...

R. - Il senso del sacro vuol dire il senso della presenza di Dio, perché la parola sacro significa un qualcosa che non è il risultato delle mie mani. Quindi, sacro è Dio che è presente. L’immagine più classica della Bibbia è il roveto ardente e la voce di Dio che dice a Mosè “Sta’ attento, non ti avvicinare, togliti i sandali, perchè questo luogo è santo”. Santo perché Dio è presente. Quando si parla di sacro, si deve intendere che i luoghi che noi chiamiamo appunto sacri, edifici sacri, devono essere tali: devono invitare ed aiutare ad incontrare la presenza di Dio. Diciamo che senza la presenza di Dio, la liturgia non ha senso, è un rito vuoto, in cui noi stessi ci esibiamo. Credo che l’atto di Benedetto XVI sia quello di restituire alla liturgia questo senso fondamentale, di essere dinanzi alla Sua presenza, come diciamo noi stessi: “Siamo stati ammessi alla tua presenza, a compiere il servizio sacerdotale”.

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