angolo
   

Natale: grande Mistero e mirabile Sacramento

[Il Natale nella Roma di Gregorio Magno]

Il responsorio di Natale «O magnum mysterium»
Josep M. Soler, Abate di Montserrat

Uno dei testi più belli dell'ufficiatura di Natale nel rito romano, diventato un classico per il suo ricco contenuto e per le numerose composizioni musicali che ha ispirato, è il responsorio O magnum mysterium. La prima parte del testo fa così: O magnum mysterium et admirabile sacramentum, ut animalia viderent Dominum natum, iacentem in praesepio. Il responsorio stabilisce, quindi, una distinzione tra "mistero" e "sacramento".

È risaputo che all'inizio, per opera di Tertulliano, la parola "sacramento" era la traduzione latina del greco mystèrion. Ma già nella prima epoca patristica alcuni autori facevano una distinzione. In questo senso, "mistero" esprime la dimensione segreta, inaccessibile, di Dio, che si trova al di là della nostra comprensione; e, per estensione, designa, come si vede in san Paolo, il piano di salvezza nascosto da tutta l'eternità (Prima lettera ai Corinzi 2, 1-7).

"Sacramento", invece, fa riferimento al segno percettibile che manifesta questa dimensione segreta; in questo senso il Sacramento per eccellenza è Gesù Cristo, che nella sua umanità rivela il Dio invisibile e rende realtà nella storia il piano di salvezza, lasciando la Chiesa come suo segno sacramentale, ricca della Parola e dei sette sacramenti.

Secondo il testo del responsorio, il "mistero" e il "sacramento" consistono nel fatto che "gli animali vedessero il Signore nato, messo in un presepio". Questa espressione ci ricorda la tradizione del cristianesimo occidentale di mettere un bue e un asino nella scena della nascita di Gesù. In questo senso Rabano Mauro Magnenzio, in un'omelia di Natale, dice che "nel presepio gli animali mancanti di ragione seppero riconoscere il Signore". Si tratta di un chiaro riferimento al testo di Isaia (1, 3): "Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende". La parola latina animalia si riferisce non soltanto agli animali irrazionali ma in una prima e più ampia accezione significa "esseri viventi". Il "mistero" e il "sacramento", quindi, consistono nel fatto che gli esseri viventi vedessero "il Signore nato, messo in un presepio". Cioè, uno della Trinità fatto uomo nell'umiltà e nella povertà. Anche la tradizione patristica, sia orientale che occidentale, considera il bue e l'asino come simboli dei credenti dei due popoli, Israele e paganesimo che credono nel Figlio di Dio fatto uomo.

Secondo il brano evangelico lo videro Maria, Giuseppe, i pastori. Ma, possiamo dire che, con gli occhi della fede, lo abbiamo "visto" anche noi cristiani. E allora qual è il "mistero", quale il "sacramento" che abbiamo visto nella fede? La nascita di Gesù ci fa intuire il mistero dell'amore ineffabile del nostro Dio, il mistero dell'amore trinitario che conduce all'abbassamento - alla kènosis - di ognuna delle Persone della Trinità a favore del genere umano, il mistero della donazione del Figlio all'umanità; ci fa intuire il mistero della condiscendenza del piano salvifico nascosto in tutta l'eternità che si è rivelato in Gesù Cristo e il mistero contenuto nel fatto che l'immensità irraggiungibile del "tutt'altro", il kyrios dell'universo, si sia incarnato nella fragilità di un bambino. Se pensiamo che tutto questo è per noi, intuiamo il mistero della grandezza alla quale siamo stati chiamati. In una parola, intuiamo il "mistero" del Natale.

Questo "mistero" si è fatto percettibile nel "sacramento" del Signore nato per noi. La liturgia di Natale si fa tesoro dei contrasti che questo suppone: l'Invisibile diventato visibile, l'Incontenibile che si è fatto presente nel grembo di una donna, l'Incorporeo - perché è tutto spirito - che si è fatto carne, il creatore del cosmo nutrito dal latte di sua madre, colui che è la Parola che sta in silenzio, l'Immortale fatto uomo mortale, il Signore diventato servo. Tutto questo è "sacramento" del "mistero" divino fatto accessibile, messo a portata di mano della creatura umana. Dio è diventato uno in più in mezzo all'umanità (cfr. Giovanni 1, 14).

Il responsorio, comunque, non finisce nel Dominum natum. Il "sacramento" è Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, ma iacentem in praesepio, messo in un presepio. Ciò significa che il Signore, fattosi uno di noi e al quale possiamo rivolgerci con la più grande semplicità, incomincia a sperimentare, appena nato, l'umiliazione dell'abbassamento: "Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo" (Luca 2, 7). Anche questo è un grande mistero e un sacramento mirabile. "Lo depose in una mangiatoia" invita a pensare che è venuto per diventare cibo di coloro che hanno creduto nel Figlio di Dio fatto uomo. "Lo avvolse in fasce" rende percettibile il "mistero" della donazione, del farsi uomo per gli altri, allo stesso modo che la croce e il sepolcro da dove zampillerà la vita diventano "sacramenti" del "mistero". E tutto questo "per noi e per la nostra salvezza". Andando al di là dei confini del popolo dell'Alleanza, tutta l'umanità diventa destinataria del "mistero" di Natale e della scelta divina che questo comporta; una scelta che comincia con la creazione e la chiamata personale all'esistenza.

Siamo chiamati a vivere queste realtà con gioia e riconoscenza, anche se dobbiamo affrontare un altro mistero: il male nel mondo. Perché diventa anche un grande mistero il fatto che l'amore infinito e onnipotente di Dio per ognuno e per l'umanità nel suo insieme coesista con tanto male e con tanto dolore. Il "mistero" e il "sacramento" che è Gesù Cristo ci insegnano ad affrontare ciò con coraggio e ci assicurano che verrà un giorno in cui il male, il dolore e la morte non ci saranno più. Nel frattempo, come Gesù, anche noi dobbiamo lottare contro ogni forma di male.
Il tempo di Natale ci può aiutare a essere più attenti all'avvertimento di Isaia citato sopra. Cerchiamo di conoscere di più, di nutrire la nostra fede con la liturgia, la preghiera personale e la riflessione per "vedere" il mistero invisibile e ineffabile. Che non ci capiti di lasciar scappare la grazia del Natale, di vivere indifferenti, senza ringraziare, senza adorare, senza essere coinvolti! Con umiltà accogliamo il piano di Dio nel modo come lui l'ha disposto, anche se alle volte facciamo fatica a capirlo.

Il responsorio continua con una evocazione della Vergine Maria: Beata Virgo, cuius viscera meruerunt portare Dominum Christum. In questo modo sottolinea di più il "mistero" e il "sacramento" dell'Incarnazione del Signore, Messia d'Israele. Loda la Vergine Madre, come fa ogni generazione cristiana. Ma ci ricorda anche che siamo stati chiamati a far nascere e a far crescere in noi per la fede il Verbo di Dio, affinché trasformi la nostra esistenza e ci identifichi pienamente con lui nella filiazione divina. Il responsorio finisce con la salutazione a Maria nel momento dell'incarnazione: Ave, Maria, gratia plena, Dominus tecum. Sia anche questo il nostro saluto alla Santa Vergine, mentre le chiediamo di aiutarci a contemplare e a vivere il "mistero" del Natale, dell'Emmanuele, del Dio-con-noi.
L'Osservatore Romano - 4 gennaio 2009)


Il Natale nella Roma di Gregorio Magno

Una luce splendente ai tempi oscuri dei Longobardi e della peste
Marilena Amerise

La prima menzione documentata della festa di Natale si trova a Roma.
Nel lussuoso codex noto come Cronografo filocaliano, redatto nel 354 da Furio Dioniso Filocalo, elegante calligrafo di Papa Damaso. Qui si indica per la prima volta come festa di Natale il 25 dicembre, giorno nel quale si apriva il calendario liturgico. La data risale a una tradizione cara ai Padri della Chiesa.

Anzitutto Tertulliano nell'Adversus Iudaeos (28), quindi Agostino vescovo di Ippona, nel De Trinitate (IV, 5, 9), ricordano come fosse ormai tradizione ricordare il 25 dicembre il natale del Signore; sebbene questo giorno oportet non in sacramento celebrari, sed tantum in memoriam revocari (Epistola, 55, 1).

Sisto III (432-440) decise di costruire nella chiesa di Liberio all'Esquilino - poi chiamata Santa Maria Maggiore - una cappella che ricordasse la grotta della Natività. Nel VI secolo era ormai nell'uso liturgico che il Papa officiasse tre messe in occasione del giorno di Natale, come attesta il Sacramentarium Gelasianum (II).

Il Pontefice che più di altri diede un rilievo fondamentale alla commemorazione del Natale fu però Gregorio Magno e in un momento storico particolarmente difficile: quando Roma era tormentata dai Longobardi e su di essa imperversava una terribile pestilenza.

È questo l'affascinante tema del volume di Massimiliano Ghilardi e Gianluca Pilara, Il tempo di Natale nella Roma di Gregorio Magno, pubblicato per i tipi della Società dell'Acqua Pia Antica Marcia (Roma, 2008). Uno studio nel quale gli studiosi illustrano dapprima rispettivamente la situazione della città e quindi raccontano lo svolgimento della solennità ai tempi di Gregorio. Il volume è arricchito da diversi testi e dalle orazioni del Sacramentarium gregorianum, nell'originale latino con traduzione italiana a fronte, volti a mostrare l'impegno letterario del vescovo di Roma sul Natale: testi per lo più pronunciati da Gregorio in diversi luoghi della città e incentrati su passi scritturistici dedicati alla venuta di Cristo. La traduzione di questi passi permette di entrare nel cuore del magistero di Gregorio Magno e di gustare la preziosità del suo linguaggio, ricco di metafore ma anche di toni drammatici e di potenza espressiva.

Da questo testo apprendiamo che fu Gregorio a stabilire in quattro settimane il tempo di Avvento in modo da racchiuderlo nel mese di dicembre. Le letture evangeliche stabilite per le domeniche di Avvento erano Matteo, 21, 1-9; Luca, 21, 25-33; Matteo, 11, 2-10; Giovanni, 1, 19-28. Viene ripreso inoltre l'uso della trina celebratio per il giorno di Natale.

La celebrazione cominciava nella notte della vigilia, il vescovo di Roma presiedeva a San Pietro per tutto il popolo l'ufficio vigiliare. Quindi, dopo la mezzanotte, ci si spostava a Santa Maria Maggiore per la celebrazione della prima messa ad praesepe. Prima dell'alba, una seconda messa veniva celebrata ad sanctam Anastasiam, per rispetto nei confronti dell'autorità bizantina che aveva sede sul Palatino. Da qui il vescovo di Roma con i fedeli tornava a San Pietro per l'ultima messa.

Le omelie sul Natale pronunciate da Gregorio Magno non solo rivelano i principi della sua esegesi ma mostrano la sua attività pastorale caratterizzata da un continuo e ricercato contatto con il popolo dei fedeli. Dai testi traspare la realtà storica e politica che la Chiesa di Roma viveva in quel periodo turbolento. Nella sesta omelia del quarantesimo capitolo di Ezechiele, ad esempio, Gregorio Magno presenta uno dei più toccanti e apocalittici ritratti di Roma dal quale risalta la commossa partecipazione alle calamitates ac tribulationes che agitavano la città e i suoi abitanti in quegli anni. La prima parte del volume narra quindi gli sforzi compiuti da Gregorio per la difesa della città e per il rifornimento di cibo.

Dalle pagine di Ghilardi emerge in maniera storicamente documentata la figura di un Pastore che alla cura animarum affiancava interventi e richieste per poter assicurare al popolo mezzi di sostentamento. Nel capitolo dedicato alla lingua e all'esegesi, Pilara ricorda lo spirito dolce ma pieno di determinazione di Gregorio: sensibile nei confronti del dolore e delle sofferenze ma intransigente verso il peccato "ad un popolo colpito da una crudelissima pestilenza, abbattutasi sulla città di Roma negli anni 589-590 con un gran numero di vittime, e ormai sconvolto dalle continue guerre, che dall'età ostrogota fino all'arrivo dei Longobardi funestavano l'Urbe, lasciando i suoi cittadini vittime della miseria e dello sconforto".

Le omelie per l'Avvento e per il Natale partono dalla tragica temperie per attingere luce e forza dal messaggio evangelico. La festa del Natale che Gregorio Magno organizza e struttura nella sua forma liturgica, diventa occasione per richiamare il cristiano alla necessità di ricercare se stesso per tramite della Parola. Le immagini sono fortemente evocative e bene hanno fatto gli autori a presentarne al lettore diversi passaggi sia come preziosa fonte storica di riferimento e sia come spunto di meditazione: "Il Creatore dell'universo, assumendo la carne della nostra sostanza, volle diventare fieno, affinché la nostra carne non rimanesse fieno in eterno. L'onagro trovò l'erba nel momento in cui il popolo pagano ricevette la grazia della divina incarnazione. Il bue non rimase con una mangiatoia vuota, nel momento in cui la Legge offrì al popolo giudaico la carne di Colui che, a lungo atteso, esso aveva profetato. Per questo il Signore, appena nato, viene posto in una mangiatoia, per significare appunto che i sacri animali, che presso la Legge rimasero a lungo digiuni, vengono saziati con il fieno della Sua incarnazione" (Moralia in Iob, VII, VII, 7).


(©L'Osservatore Romano - 4 gennaio 2009)

| home |

| inizio pagina |

   
angolo