angolo
   

«...Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. Niente è più alieno dall'ecumenismo, quanto quel falso irenismo, dal quale ne viene a soffrire la purezza della dottrina cattolica e ne viene oscurato il suo senso genuino e preciso...»

[Unitatis redintegratio, n. 11]

Pedro Farnes, l’ideologo del cammino neocatecumenale

Pedro Farnes è un liturgista spagnolo, famoso qui da noi solo per essere l’ideologo del cammino neocatecumenale. Per noi ha importanza perché negli ormai lontani anni ‘60 ha “fatto comprendere” a Carmen Hernandez, prima devotissima del Santissimo Sacramento, cosa “significava” [sic] il Concilio Vaticano II (è lei stessa ad averlo pubblicamente ammesso). Sotto il suo influsso la signora Hernandez è divenuta l’eresiarca che ben conosciamo, dunque l’insegnamento di questo liturgista dev’esser stato per lei ben decisivo. Egli ha scritto (con altri tre suoi compagni) un testo apparso nel 1969, “Nuevas normas de la misa”, (Madrid, 1969), una sorta di commento sull’”Institutio Generalis Missalis Romani”. Le citazioni presenti in questo articolo provengono proprio da questo testo.

La S. Messa è sacrificio propiziatorio? O solo "mensa", "banchetto", "conferenza"?

Come si sa, il sacrificio della Messa ha una quadrupla finalità: l’adorazione, l’azione di grazie, la propiziazione e l’impetrazione.

L’adorazione è l’onore reso a Dio in ragione della sua perfezione infinita ed assoluta.

L’azione di grazie è la manifestazione della nostra gratitudine verso Dio per i benefici da Lui ricevuti.

"Il sacrificio è detto propiziatorio, spiega il P. Aldama (De Sanct. Euch., p. 338), in quanto esso è un atto gradito da Dio, che giustamente si sente offeso dal peccatore. Questo atto è compiuto tramite il riscatto, il quale è una riparazione secondo una uguaglianza proporzionale all’offesa commessa; esso appartiene alla virtù della giustizia.".

Con l’impetrazione, noi chiediamo a Dio nuovi benefici.

A questo proposito, ciò che è in questione nella vecchia disputa fra cattolici e protestanti, non è, propriamente parlando, il carattere sacrificale della S. Messa, ma piuttosto il suo carattere propiziatorio. In altri termini, cattolici e protestanti ammettono che la Messa è un sacrificio di lode e di rendimento di grazie, ma i protestanti negano (ed è questa la loro eresia in materia) che la Messa costituisca un sacrificio propiziatorio.

È dunque della più grande importanza verificare se Farnes ammetta la nozione di PROPIZIAZIONE, o se invece parli solo di SACRIFICIO, passando sotto silenzio il suo carattere PROPIZIATORIO.

Tutto ciò è anzi della massima importanza, dal momento che il concilio di Trento ha definito la S. Messa come un "sacrificio veramente propiziatorio" ( Denz.-Sch., 1743) e ha scagliato questo anàtema:

"Se qualcuno afferma che il sacrificio della messa è solamente di lode e di rendimento di grazie, o una semplice commemorazione del sacrificio consumato sulla croce, ma non è propiziatorio […], sia anàtema" ( Denz.-Sch., 1753).

Se analizziamo il commento di Farnes all”Institutio”, notiamo che le omissioni e le ambiguità tendenti a celare il carattere sacrificale e propiziatorio della S. Messa sono molto numerose.

Nei 171 articoli dell’indice analitico dell’opera, le parole "sacrificio" e "propiziazione" non compaiono mai.

Non solo, ma trattando dei luoghi dove dev’essere celebrata la Messa (che, secondo la pratica tradizionale, “dovrebbero” essere le chiese), Farnes afferma:

"Questi luoghi hanno - ci sia permesso il paragone - qualcosa di un grande refettorio per banchetti; di una sala per conferenze dove si ascolta la saggezza di Dio; di un teatro dove si assiste al grande spettacolo della teofania; di un salotto per conversazioni dove si dialoga con Dio; di una sala da feste dove i credenti esprimono la loro gioia" ( Nuevas normas…, p. 61)

Notiamo come Farnes parli di tutto, tranne che di una chiesa propriamente detta, cioè di un luogo sacro nel quale Nostro Signore Gesù Cristo, veramente presente, s’immola Lui stesso sull’altare in propiziazione per i peccati degli uomini.

Più avanti, Farnes continua a parlare di tutto meno che di sacrificio ed espiazione. Dopo aver affermato in maniera ambigua che i fedeli devono "offrire dovunque un sacrificio spirituale" (Nuevas normas…, p. 61) , così prosegue:

"Questa idea di una riunione cristiana dev’essere alla radice di tutte le strutture di una chiesa: un’assemblea di Gesù Cristo e dei suoi fratelli per ascoltare la parola di Dio, per rispondere a questa parola con la loro gratitudine, i loro canti e le loro suppliche, ed anche per confermare reciprocamente l’amore che Cristo, durante il banchetto, ha raccomandato come segno distintivo dei suoi discepoli. Tutto ciò che serve ad evidenziare questa realtà (Nota: Questo perché le chiese non devono avere per principale fonte d’ispirazione le nozioni di croce, di sofferenza, di sacrificio, di propiziazione e di pentimento per i nostri peccati. La misura di tutto è "la parola di Dio", l’azione di grazie, l’amore vicendevole, la gioia, ecc.) è da incoraggiare; tutto ciò che la contraddice è da deplorare"(Nuevas normas…, p. 61) .

Spiegando la nuova concezione dell’altare, P. Farnes sottolinea nuovamente la stessa idea:

"Infatti, l’altare è soprattutto, come dice a più riprese il testo stesso dell’"Institutio", la mensa del Signore (nn° 49, 259, ecc.), e ciò deve apparire dal suo addobbo, dalle tovaglie, dalla forma della sua costruzione, dalla catechesi che da esso si fa al popolo, dai motivi che sono dati per giustificare la sua venerazione. Se più tardi, con il tempo (Notare l’insinuazione storicistica ed archeologicistica secondo cui Nostro Signore non ha istituito la Messa come un sacrificio ), l’altare assunse anche il carattere di sepolcro dei martiri e di altare del sacrificio, tali aspetti possono essere complementari, ma non devono in alcun modo primeggiare nello spirito delle persone che si riuniscono per celebrare il memoriale del Signore.

Così l’"Institutio", che chiede che l’altare sia sempre presentato come la mensa del Signore, non è altrettanto categorica a proposito delle reliquie" (Nuevas normas…, p. 246).

Questo è uno dei motivi per i quali Kiko e Carmen evitano come la peste gli altari consacrati e le reliquie dei Santi.

Il "racconto dell'Istituzione"

Secondo la dottrina cattolica, il sacerdote che consacra non "ripete" solamente ciò che il Signore ha fatto durante la Santa Cena, ma agisce “in persona Christi”, al posto di Cristo, prestandogli la sua bocca e la sua voce.

Secondo i protestanti invece, nella Consacrazione, il ministro non fa che ridire le parole dei Vangeli, ripetere le parole di Cristo, ricordando così l’ultima cena. Siccome secondo loro non c’è alcuna transustanziazione, questo racconto può bastare, poiché non è né necessario, né possibile che le parole di Cristo siano pronunciate dal sacerdote in maniera affermativa e imperativa. E se è vero che secondo alcuni protestanti, le parole di Cristo non sono pronunciate solamente in modo narrativo, tuttavia, i sostenitori di questa asserzione non ammettono in alcun modo che il celebrante le pronunci in maniera assoluta e imperativa in nome dello stesso Nostro Signore; ma sostengono che, oltre al racconto verbale, ci sia una rappresentazione teatrale essenziale nella cerimonia.

E nel commento di Farnes troviamo anche naturalmente ambiguità sulla natura della Consacrazione. Spiegando questa parte centrale della Messa, egli adotta una posizione che corrisponde pienamente ai principi protestanti:

"[la preghiera eucaristica] è un’azione consacrante perché con essa si effettua la santificazione delle offerte" (Nuevas normas…, p. 128).

Anche altri passi di quest’opera presentano delle concezioni protestanti sulla consacrazione, per esempio: si insinua che la presenza di Nostro Signore nell’Eucaristia è equivalente alla "presenza reale" nella lettura della Scrittura fatta durante la Messa (Nuevas normas…, pp. 31 e 85); si lascia intendere che la transustanziazione non è realizzata nel momento preciso in cui il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione (Nuevas normas…, pp. 123-124), ecc.

Il "presidente dell’assemblea".

Secondo la definizione del concilio di Trento, il sacerdozio "è stato istituito dal Salvatore, che con esso ha dato ai suoi Apostoli e ai loro successori il potere di consacrare, di offrire e di amministrare il suo Corpo ed il suo Sangue, così come di perdonare e di ritenere i peccati" (Denz.-Sch. 1764.)

È per questo che il potere di consacrare appartiene al sacerdote e non al popolo. Se le Scritture e la teologia cattolica parlano di "sacerdozio" dei fedeli, lo fanno in senso lato, per indicare semplicemente la consacrazione di tutti i battezzati all’opera divina, in unione con Nostro Signore, sommo ed eterno sacerdote (Su questo punto si consulti: Solà, De sacramentis…, pp. 587-588; così come i documenti del concilio di Trento, del catechismo romano, di Pio XII e di S. Agostino, citati da Solà. ).

Confondere il sacerdozio del popolo con quello del prete, significa ancora una volta adottare un principio protestante; in effetti, secondo gli pseudo-riformatori del XVI secolo, il celebrante è sacerdote allo stesso titolo del popolo, egli si limita a presiedere l’assemblea eucaristica in quanto delegato da quelli che assistono.

Nel commento di Farnes, incontriamo un’importante conferma del fatto che purtroppo l’"Ordo" del 1969 ha introdotto una nuova nozione, che non può che richiamare l’idea protestante di "presidenza" dell’"assemblea" esercitata dal celebrante. Ed infatti Farnes non perde l’occasione offerta su un piatto d’argento per protestantizzare il tutto:

"[…], è il popolo di Dio e non propriamente il ministro che celebra […]" (Nuevas normas…, p. 77. ).

"L’assemblea è l’opera di tutti. Tutti sono battezzati e partecipano all’unico sacerdozio di Cristo. Tutti sono ripieni di Spirito Santo" (Nuevas normas…, p. 91 ).

"Tutto questo ritmo armonico e strutturale dà al mistero la possibilità di essere celebrato da tutta l’assemblea, e non solo dai chierici o da una parte del popolo. Nel testo di numerosi articoli dell’"Institutio", percepiamo un soffio artistico ed un tono della celebrazione che ingloba tutto il popolo celebrante" (Nuevas normas…, p. 54).

"Quando coloro che sono battezzati si riuniscono, esercitano tutti il loro sacerdozio battesimale. Dopo secoli, durante i quali nel corso della celebrazione è apparsa la sola azione dei ministri, possiamo rimettere le cose nella loro giusta collocazione. Il popolo di Dio è - tutt’intero - un popolo sacerdotale […]. Dal popolo di Dio sorgono generalmente i ministri: seguono i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, ordinati per questo tramite un sacramento, fino agli accoliti, ai musicanti, agli uscieri, ecc… […], tutti devono collaborare per un migliore esercizio del sacerdozio comune" (Nuevas normas…, pp. 142-143 ).

Non "sacerdote", ma "presbitero"!!! Negazione del Sacerdozio ministeriale.

Secondo la definizione del concilio di Trento, nella Santa Messa Gesù Cristo "s’immola egli stesso per la Chiesa mediante le mani del sacerdote" (Denz.- Sch. 1741). Per tale motivo, si dice che Nostro Signore è il principale sacerdos di tutte le messe, mentre il prete è un sacerdos secondario, ministeriale o strumentale. D’altra parte, il sacerdozio del celebrante è essenzialmente diverso da quello del popolo, così che il popolo non partecipa alla S. Messa alla stessa maniera del sacerdote.

Negare anche una di queste verità, significa cadere nell’errore protestante.

Commentando i già citati nn. 1 e 4, Farnes approfitta ancora una volta delle imprecisioni e dei silenzi dell’"Institutio" per esporre una teoria del sacerdozio (di Cristo, del prete e del popolo) che si allontana fondamentalmente dalla dottrina della Chiesa Cattolica Apostolica. A proposito del principio secondo cui l’Eucaristia è un’"azione di Cristo", nel commento di Farnes si legge:

"Cristo agisce personalmente in ogni celebrazione; egli è l’unico "sacerdos" del popolo cristiano […], al punto tale che la rivelazione cristiana ha deliberatamente evitato di dare il nome di "sacerdos" a coloro che presiedono le riunioni liturgiche dei cristiani, chiamandoli col nome di vescovi o presbiteri (anziani), o semplicemente ministri (strumenti, servitori) di Cristo (Nota: in questo passo, Farnes trascura una delle condanne di Trento: "Se qualcuno dice che nel Nuovo Testamento non vi è sacerdozio visibile ed esteriore […], ma un semplice ministero della predicazione del Vangelo […], sia anàtema" (Denz.-Sch. 1771) […]. Ecco cosa significa la prima affermazione dell’"Institutio" - così profonda sul piano teologico -: l’Eucaristia è un’azione di Cristo […]" (Nuevas normas… pp. 68-70. ).

Farnes offre un’interpretazione eterodossa del principio secondo cui il sacerdozio del celebrante è "ministeriale". Secondo lui, il sacerdote è essenzialmente "ministro", e cioè rappresentante e servitore di Nostro Signore (verità questa che il documento afferma), nonché del popolo, il che gli conferisce una dignità che non è superiore a quella dei fedeli (Vedi Nuevas normas...pp. 35 e ss. ).

Continuando ad esporre l’asserzione secondo cui l’Eucaristia è un’"azione del popolo di Dio gerarchicamente organizzato", Farnes scrive:

"Parlando dell’Eucaristia […], non si dice che questa sia l’azione del sacerdote alla quale il popolo si unisce, (come è stata frequentemente presentata la messa fino a poco tempo fa), ma più esattamente si dice che essa è l’azione di questo popolo, servito dai ministri che, proprio per mezzo del loro ministero, danno al popolo la presenza sacramentale del loro Signore. Si può ripetere qui ciò che fu detto al concilio al momento del rigetto dello schema proposto per la Costituzione della Chiesa. In effetti, si sa che nel progetto di questa Costituzione […], la Chiesa era presentata sotto forma di una "piramide", che partiva dal papa e dai vescovi per scendere fino all’ultimo fedele, e si sa anche che questo schema, che corrispondeva alla teologia classica degli ultimi secoli (Nota: Farnes si sbaglia se pensa che questa concezione sia semplicemente un’opinione della "teologia classica degli ultimi secoli". In realtà, si tratta di un dogma della Santa Chiesa (vedi a questo riguardo: Concilio di Trento, Denz.-Sch. 1767, 1768, 1777, Denz.-Umb. 960, 967; Hervè, Man. Theol. Dogm., vol. I, pp. 290, 303, 307 e 321; Tanquerey, Syn. Theol. Dogm. tomo I, pp. 434 e 454; Salaverri, De Eccl. Christi, pp. 548 e 604; Iragui-Abàrzuza, Man. Theol. Dogm., vol. I, p. 278). ), fu rigettato perché poneva ciò che è relativo e di servizio (la gerarchia) al di sopra della realtà ontologica assoluta (il popolo di Dio).

"Allo stesso modo, e certamente già come una conseguenza di questa nuova e più giusta visione della Chiesa, l’Eucaristia non viene presentata come un’azione del celebrante, alla quale il popolo si unisce, ma come un’azione del popolo di Dio. È importante allora che la direzione pastorale metta in rilievo questa affermazione, per non correre il rischio di presentare la partecipazione dei fedeli alla messa come meno importante di quella del ministro. Certo, la partecipazione del popolo non è allo stesso livello di quella del celebrante. Il fatto è che si tratta di due differenti realtà: la partecipazione del popolo è una cosa che gli appartiene perché la Chiesa tutt’intera è il corpo di Cristo che si unisce al suo capo per la celebrazione; il ministero del celebrante, per quanto questi sia distinto dai fedeli, non ha che una funzione ministeriale: attraverso questo ministero i fedeli sono uniti a Cristo ed è con Cristo che celebrano l’Eucaristia. È per questo che si afferma che l’Eucaristia è un’azione di Cristo e un’azione del popolo di Dio (Nota: la concezione della S. Messa presentata qui da Farnes è assolutamente falsa. Il celebrante, prima di essere rappresentante e ministro del popolo, è rappresentante e ministro di Cristo. Per questo motivo egli è autenticamente sacerdos. Dire che la partecipazione dei fedeli alla S. Messa non è inferiore a quella del ministro, significa negare il dogma del sacerdozio gerarchico e visibile istituito da Nostro Signore nella Chiesa (vedi Concilio di Trento, Denz.-Sch. 1764, 1767, 1771, 1777, Denz.-Umb. 957, 960,961,967).

"A questo proposito, è ugualmente interessante porre l’accento sulla menzione esplicita del modo in cui il popolo di Dio celebra l’Eucaristia: in effetti, esso la celebra come un’assemblea gerarchicamente organizzata. In questa frase, non si tratta assolutamente d’identificare tra i membri del popolo di Dio quelli che sono più o meno degni; non bisogna parlare di diversità di dignità, ma piuttosto di interscambio di servizi tra i discepoli di Colui che ha voluto che il più grande fosse il servitore degli altri"(Nuevas normas…, pp. 70-71).

Inoltre Farnes dichiara che un sacerdote non deve mai celebrare messe private (chiamate oggi "messe senza il popolo") semplicemente per devozione personale (Nuevas normas…, p. 214, commento al n. 209 dell’"Institutio" ). Ma il problema per lui non è tanto la “devozione del sacerdote”: come per Kiko e Carmen la Messa senza fedeli manca della sua componente essenziale, i fedeli che soli “fanno” l’eucaristia.

“SOLA SCRIPTURA". Ovvero della Tendenza a rendere equivalenti la "Liturgia della parola" e la "Liturgia eucaristica": ".

Le eresie tendono sempre a sopravvalutare l’importanza della Scrittura, a detrimento delle formule liturgiche d’origine ecclesiastica e della celebrazione eucaristica propriamente detta. In questo modo, esse tentano di ridurre al silenzio la tradizione e di diffondere i loro falsi dogmi dicendo che questi poggiano sulla rivelazione (Vedi dom Guéranger, Institut. Liturg., tomo I, pp. 415 e 416).

Farnes, sempre pronto a interpretare l'"Institutio" spiegandola in senso neo-modernista e protestante, scrive:

"[…] di solito, il contesto privilegiato per ascoltare la parola di Dio è l’assemblea [si legga: la messa]. Tutti devono recarvisi come quando si accostano alla comunione eucaristica: disposti a non perderne colpevolmente il più piccolo frammento, poiché Cristo è ugualmente presente in entrambi" (Nuevas normas…, p. 85. ).

Notiamo anche che i neocatecumenali vanno ben oltre: purtroppo nelle “assemblee” kikiane, poiché a detta degli eresiarchi Kiko e Carmen “non è questione di briciole” (vedi “Orientamenti ai catechisti) i frammenti delle Ostie consacrate possono essere sparsi e calpestati tranquillamente: Ma della “sola scriptura” “le briciole” secondo il loro ideologo Farnes non devono andare perdute… Che Dio ci perdoni!

In un altro passo, Farnes stabilisce una nuova comparazione tra la "liturgia della parola" e l’Eucaristia, con termini che tendono a conferire loro un’eguale dignità:

"La Costituzione Sacrosanctum concilium (n° 7), insieme all’enciclica Mysterium Fidei, mettono in rilievo la PRESENZA REALE di Cristo nella sua Chiesa, NELL’ASSEMBLEA DI PREGHIERA, sia quando è letta o proclamata la SACRA SCRITTURA, sia quando è offerto o relizzato il SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA" (Nuevas normas…, pp. 31; le maiuscole sono nostre).

Come si vede: è difficile immaginare una teoria più radicale o più audace per mettere le letture bibliche e la Santa Eucaristia sullo stesso piano.

Inoltre, sostenendo l’errore protestante secondo cui lo Spirito Santo illumina direttamente ogni fedele che legga la Bibbia, senza bisogno del magistero vivente della Chiesa, e ammettendo solo una spiegazione del ministro destinata ad "accrescere" i frutti della lettura, Farnes scrive:

"Quando un credente la legge [la sacra Scrittura], soprattutto in un’atmosfera comunitaria - si potrebbe dire nel suo normale brodo di cultura [sic] - LO SPIRITO, con la sua grazia, FA SORGERE nel cuore dei fedeli UN’ATTITUDINE CHE PERMETTE ALLE ANTICHE PAROLE DI PRODURRE UNA NUOVA VITA. Come il Cristo storico continua ad essere compiuto nel Cristo mistico, in modo da prolungare l’incarnazione di Dio tra gli uomini, così LA SCRITTURA CONTINUA AD ESSERE COMPIUTA NELLE NOSTRE VITE FINO AL RITORNO DI CRISTO, E TUTTI NOI DIVENTIAMO LA PAROLA DI DIO FATTA CARNE, FATTA VITA UMANA, a sua immagine e somiglianza" (Nuevas normas…, pp.84-85; le maiuscole sono nostre.)

La S. Messa è solo memoriale della Resurrezione e dell’Ascensione?

Uno dei mezzi impiegati dagli eretici dei nostri tempi per dissimulare il carattere sacrificale e propiziatorio della S. Messa, consiste nell’accentuare eccessivamente il fatto (reale, ma subordinato) che la Messa rievoca non solo la morte di Nostro Signore, ma anche la Resurrezione e l’Ascensione.

Noi diciamo che la S. Messa ricorda la Resurrezione e l’Ascensione solo in maniera subordinata, poiché nella sua realtà sacrificale e propiziatoria e nei suoi elementi simbolici essenziali, la S. Messa è innanzitutto e direttamente il rinnovamento del sacrificio della croce. È per questo che essa richiama alla mente soprattutto la morte di Nostro Signore. Tuttavia, come nel mistero del Calvario, che ha propriamente realizzata la nostra Redenzione, erano implicati anche tutti gli altri misteri e tutti gli altri avvenimenti della vita di Cristo, si può e si deve ritenere che la Messa richiama anche, ma in maniera subordinata, la Resurrezione, l’Ascensione, il fatto che Nostro Signore si è assiso alla destra dell’eterno Padre, ecc.

Farnes nel suo commento manifesta un’avversione particolare per l’accento di santa e sacrificale tristezza che caratterizza la S. Messa tradizionale, anche nei giorni di festa. Espressioni eccessive di gioia di fronte all'immolazione di Nostro Signore Gesù Cristo sulla croce possono facilmente sfociare nell'irriverenza e di fatto intralciano l'adorazione del mistero della croce: basti pensare alla Beata Vergine Maria sotto la croce, che infatti i cattolici hanno sempre denominato l'Addolorata. Ma al di là di queste considerazioni di decenza ciò che importa all’ideologo del cammino neocatecumenale e, per motivi opposti, a noi è la rilevanza dottrinale della “gioiosa celebrazione” che va abilmente a dissimulare ed eclissare completamente il carattere sacrificale e propiziatorio della S. Messa. Questa tendenza a ridurre l’Eucaristia ad una celebrazione gioiosa che esprimerebbe solo allegrezza, diventa evidente nel seguente paragrafo:

"Incoraggiare perché si dia al canto una grande importanza è più che opportuno (n° 19 dell’"Institutio"). Questo perché l’Eucaristia è il sacramento della Pasqua del Signore, l’attesa del suo glorioso ritorno e insieme una gioiosa celebrazione del trionfo di Cristo che è già stato realizzato e che tutta la Chiesa attende. Il canto è l’espressione naturale di questa gioia" (Nuevas normas…, p. 95).

La musica sia naturalmente di Kiko Arguello!

Alla faccia della solenne compostezza del canto gregoriano.

Soppressione della genuflessione.

Per quel che riguarda la genuflessione dei fedeli al momento della consacrazione, l’"Institutio" dice: "Si inginocchiano [i fedeli] poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli" (n° 21).

L’enunciazione di queste ragioni restrittive, che il buon senso fa comprendere e che sono quindi superflue, non costituisce certo un invito ai fedeli a non inginocchiarsi alla consacrazione! Ma è in questo senso che Farnes le interpreta, dicendo che, secondo il suo punto di vista, il fatto che l’assemblea sia numerosa è sufficiente per sopprimere la genuflessione (Nuevas normas…, p. 100). E nelle celebrazioni del cammino neocatecumenale non ci si deve MAI inginocchiare, motivo della soppressione totale degli inginocchiatoi.

La S. Messa? Un banchetto spensierato!

Farnes vuole dare alla S. Messa un aspetto d’agape gioiosa, di piacevole commemorazione, di spensieratezza, di gradevole banchetto e non di sacrificio propiziatorio nel quale il Figlio di Dio s’immola per i peccati e l’ingratitudine degli uomini e dunque commenta il n° 280 dell’"Institutio" affermando che il "tempio deve essere ben illuminato"; che le luci devono essere poste in modo da creare "un riposo psicologico" e "un’atmosfera gradevole agli occhi"; che la disposizione delle sedie deve essere tale che i fedeli possano vedere bene il santuario e guardarsi reciprocamente; che "nel tempio deve innanzi tutto [sic] regnare la pulizia" (Nuevas normas…, p. 258). Dunque, con la sua nuova estetica Kiko non fa altro che applicare alla lettera le disposizioni di Farnes. E si comprende anche la “compulsione a ripetere” nella disposizione di arredi e suppellettili neocatecumenali.

E prosegue:

"Bisognerà anche stare attenti alla questione degli odori, per evitare che siano sgradevoli […] e profumare discretamente il luogo, prima di dare inizio a lunghe riunioni, con qualcuno dei prodotti che oggi si vendono economicamente e in quantità e che si utilizzano abitualmente in altri luoghi di riunione come i teatri, i cinema, le sale per i concerti o le conferenze, ecc.

"Se è possibile, sarà di grande efficacia pastorale provvedere ad un vestibolo, un’entrata, un portico o qualcosa di simile, arredato con il dovuto conforto, affinché le persone possano incontrarsi entrando e uscendo, possano scambiarsi qualche parola, riposarsi, attardarsi, acquistare una rivista o anche ristorarsi ad un piccolo bar. Questi segni umani, preparano ammirabilmente al segno liturgico e lo prolungano, e danno sia al pastore [sic] sia ai partecipanti una buona opportunità d’incontrarsi" (Nuevas normas…, p. 259).

Fra gli scritti progressisti, sarebbe difficile trovare dei testi che reclamino più chiaramente la trasformazione delle chiese in luoghi profani e desacralizzati. In verità, nel passo citato, la casa di Dio è concepita nella migliore delle ipotesi come una semplice sala da pranzo.

Farnes arriva a suggerire che le vecchie chiese, "dal lusso eccessivo", vengano trasformate in musei, e che gli oggetti sacri, "dalla grande bellezza", siano "ritirati dal culto e posti nei musei, o impiegati per altri usi liturgici" (Nuevas normas…, pp. 63-64).

Una prescrizione questa che incontra certamente il favore degli islamici.

Come si vede da quanto sopra la "nuova estetica" kikiana non è stata ispirata all'Arguello dallo Spirito Santo o da dialoghi mistici con la “Sofia”, ma è stata suggerita dall'ideologia eterodossa del "liturgista" Farnes.

Suscitare sentimenti di conversione è pericoloso?

Come si sa, secondo la dottrina protestante, i peccati degli uomini non sono, propriamente parlando, cancellati dai meriti di Cristo e dalla pratica delle buone opere, ma sono semplicemente coperti nel credente dai meriti di Nostro Signore.

Benché la liturgia luterana contenga delle espressioni come "remissione dei peccati", "penitenza", "perdono", questi termini debbono essere intesi secondo le dottrine protestanti, e vi sono degli elementi che dimostrano in modo inequivocabile qual è l’interpretazione accettata dai protestanti: al termine della confessione, il ministro non dà l’assoluzione, ma fa ciò che si chiama una "dichiarazione di grazia"; nel testo liturgico, non si fa alcuna allusione alla conversione dei peccatori, ma è sufficiente "credere in nome di Cristo" per essere figli di Dio; ecc.

Anche nel nuovo "Ordo missæ", esistono alcuni elementi che, apparentemente, sono sufficienti per esprimere la dottrina cattolica sulla remissione dei peccati, si tratta della "penitenza", della "confessione dei peccati", del "perdono", dei "cuori contriti", ecc. Ma alcune delle innovazioni introdotte fanno temere che queste espressioni vengano intese in modo tutt’altro che ortodosso, così da comportare un rilassamento della fede in alcuni dogmi relativi al perdono dei peccati.

Ovviamente questo accade per Farnes, il quale, su questo argomento in particolare, presta all’"Institutio" un’intenzione francamente inconciliabile con la dottrina cattolica. Egli afferma:

"Per introdurre le tre formule dell’atto penitenziale, viene proposta la seguente ammonizione: "Fratelli, prima di celebrare i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati", a cui segue un breve silenzio. Prescrivere questa breve ammonizione preliminare evita il pericolo che, in quel momento, qualcuno faccia una succinta omelia allo scopo di suscitare dei sentimenti di conversione" (Nuevas normas…, p. 36 ).

Si noterà che, mentre il sacerdote e il commentatore, nel corso della Messa, possono effettuare numerose spiegazioni e fare diverse osservazioni, la possibilità che avrebbe il sacerdote di suscitare dei "sentimenti di conversione" prima del Confiteor, costituirebbe per Farnes un "pericolo"…

Perché denunciare le eresie?

Perché questo piccolo compendio che parla di eretici ed eresie? Per tutelare i dogmi della Fede cattolica.

I dogmi non sono prigioni o intralci, sono e sono sempre stati fari ed ormeggi per la Barca di Pietro, per segnare ad essa la navigazione, per darle un sicuro ormeggio nella tempesta (ed oggi, quale tempesta!!!). Nonostante le sue sollecitudini pastorali ed ecumeniche e la sua volontà di apertura al mondo, Paolo VI si dovette accorgere con raccapriccio che la Chiesa, invece che illuminare il mondo con la sua Verità, era stata infiltrata dal “fumo di satana”, dal relativismo proveniente da una cultura ed una società laicista che ne erano ormai pervase. Erano stati intaccati i dogmi! E l’oscurità ha cominciato a diffondersi nella stessa Chiesa di Gesù Cristo. Quante volte Giovanni Paolo II ha messo in guardia la Chiesa ed il mondo nei confronti del relativismo che emanava dalla cultura scientista e dalle filosofie relativistiche! Facendo uso dell’ermeneutica relativista, dello storicismo e di mille altre diavolerie sono stati scientificamente attaccati e sgretolati uno dopo l’altro molti dogmi della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, quei dogmi che sono l’unico vero fondamento interpretativo della Sacra Scrittura, unica garanzia di verità che Nostro Signore Gesù Cristo ha donato alla Chiesa per illuminare i fedeli ed il mondo. Qualora i fari si spengano completamente, e gli ormeggi siano scardinati, non rimarrà che il buio, e sarà la fine.

Disse Paolo VI:

“Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: «Non so, non sappiamo, non possiamo sapere». La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde.

[…]

Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza.”

Paolo VI omelia 29/6/1972


Questo scritto si basa in gran parte sullo “Studio critico del Novus Ordo Missae” di Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira che consigliamo vivamente di leggere.

| home |

| inizio pagina |

   
angolo