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Versus Deum per Iesum Christum

«La direzione ultima dell’azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore». L’introduzione del decano del Sacro Collegio al libro di Uwe Michael Lang

del cardinale Joseph Ratzinger

[v anche Intervento di Mons Ranjith]

Al cattolico praticante normale due appaiono i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la scomparsa della lingua latina e l’altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l’una né l’altra cosa si trovano in essi in questa forma.

Certo, alla lingua volgare si sarebbe dovuto dare spazio, secondo le intenzioni del Concilio (cfr. Sacrosanctum Concilium 36,2) – soprattutto nell’ambito della liturgia della Parola – ma, nel testo conciliare, la norma generale immediatamente precedente recita: «L’uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini» (Sacrosanctum Concilium 36,1).
Dell’orientamento dell’altare verso il popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più importante di esse è la Institutio generalis Missalis Romani, l’Introduzione generale al nuovo Messale romano del 1969, dove al numero 262 si legge: «L’altare maggiore deve essere costruito staccato dal muro, in modo che si possa facilmente girare intorno ad esso e celebrare, su di esso, verso il popolo [versus populum]». L’introduzione alla nuova edizione del Messale romano del 2002 ha ripreso questo testo alla lettera, ma alla fine ha fatto la seguente aggiunta: «è auspicabile laddove è possibile». Questa aggiunta è stata letta da molte parti come un irrigidimento del testo del 1969, nel senso che adesso ci sarebbe un obbligo generale di costruire – «laddove possibile» – gli altari rivolti verso il popolo. Questa interpretazione, però, era stata respinta dalla competente Congregazione per il Culto divino già in data 25 settembre 2000, quando spiegò che la parola «expedit» [è auspicabile] non esprime un obbligo ma una raccomandazione. L’orientamento fisico dovrebbe – così dice la Congregazione – essere distinto da quello spirituale. Quando il sacerdote celebra versus populum, il suo orientamento spirituale dovrebbe essere comunque sempre versus Deum per Iesum Christum [verso Dio attraverso Gesù Cristo]. Siccome riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire la realtà ultima del mistero della salvezza, si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzanti al riguardo.

Un chiarimento importante, questo, perché mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant’anni non sono stati infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina anche la direzione ultima dell’azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne, nell’ascolto attento degli altri, ma soprattutto nell’ascolto delle indicazioni ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come “preconciliari”, “reazionarie”, “conservatrici”, oppure “progressiste” o “estranee alla fede”, non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.

Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano residente in Inghilterra, analizza la questione dell’orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò facendo, riaccende in un momento opportuno – mi sembra – un dibattito che, nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.

Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli architetti della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall’inizio al polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe celebrato “voltando le spalle al popolo”. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del popolo. La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa. La preghiera eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo – secondo Jungmann – la medesima direzione di sacerdote e popolo appartiene all’essenza dell’azione liturgica. Più tardi Louis Bouyer – anch’egli uno dei principali liturgisti del Concilio – e Klaus Gamber, ognuno a suo modo, ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin dall’inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a mettere in risalto l’elemento comunitario della celebrazione liturgica e a considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l’uno verso l’altro.

Soltanto recentemente il clima si è fatto più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann, di Bouyer e di Gamber, non scatta più il sospetto che nutra sentimenti “anticonciliari”. I progressi della ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena l’apertura della liturgia verso ciò che l’attende e verso ciò che la trascende. In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa d’Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford nell’Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.
Spero che questo libro di un giovane studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo – necessario per ogni generazione – di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.

Roma, domenica laetare 2003


Il Libro
Il testo del cardinale Joseph Ratzinger pubblicato in questa pagina, è la prefazione che il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha scritto al libro di Uwe Michael Lang Conversi ad Dominum. Zu Geschichte und Theologie der christlichen Gebetsrichtung, edito in Italia nel 2006 dalle Edizioni Cantagalli di Siena, con il titolo Rivolti al Signore. Uwe Michael Lang è membro dell’oratorio di San Filippo Neri a Londra, ha studiato teologia a Vienna e Oxford, e ha pubblicato numerosi testi su argomenti patristici.


Intervento di Mons Ranjith circa l’orientamento della preghiera liturgica, letto in italiano il 27 aprile 2006:

”Rivolti al Signore”
di Malcolm Ranjith

Il libro di padre Michael Lang “Turning towards the Lord” – che ora viene pubblicato in italiano con il titolo “Rivolti al Signore” – traccia le ragioni e la prassi della Chiesa sin dai primi secoli sulla direzione della preghiera liturgica.

Il suo approccio oggettivo e lucido certamente lo renderà uno strumento valido a chi vuole approfondire la sua conoscenza in materia. Il libro dimostra come l’orientamento della preghiera liturgica nelle riforme postconciliari non riflette i testi del Concilio, cosa che ci sorprende.

Difatti, nella prefazione scritta a questo libro, Benedetto XVI, allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede, afferma:

“Per coloro che abitualmente frequentano la chiesa i due effetti più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II sembrano essere la scomparsa del latino e l’altare orientato verso il popolo. Eppure chi ha letto i testi al riguardo si renderà conto con stupore che in realtà i decreti del Concilio non prevedono nulla di tutto questo. Certo, l’uso della lingua corrente è consentito, soprattutto per la liturgia della Parola, ma la precedente regola generale del Concilio afferma: ‘L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini’ (Sacrosanctum Concilium 36, 1). Non vi è nulla nel testo conciliare sull’orientamento dell’altare verso il popolo: quel punto è stato sollevato solo nelle istruzioni postconciliari”.

La Sacrosanctum Concilium non ha auspicato degli atteggiamenti precipitosi in materia, ma piuttosto un’attuazione oggettiva e meditata della riforma. Anzi, la riforma liturgica non era una mossa successiva solo al Concilio Vaticano II, ma qualcosa che era già in atto sin dai tempi di Pio X. Sia in quel processo di riforma antecedente al Concilio, sia dopo, come lo stesso Concilio voleva, i cambiamenti in materia liturgica dovevano emergere organicamente e non in modo precipitoso. Ma purtroppo non tutto è andato in quel senso. Qualcuno ora parla di correzioni o di una riforma della riforma.

Riforma della riforma a parte, il libro di padre Lang può essere considerato uno stimolo verso un ulteriore miglioramento della prassi liturgica attuale della Chiesa. Forse è per questa ragione che il papa nella prefazione auspica uno studio attento, oggettivo ed appassionato del tema. Secondo lui, bisogna saper valutare positivamente ciò che è successo nel passato, ascoltare tutti, anche quelli che non sono d’accordo, senza diventare partigiani etichettati come “preconciliari” o “postconciliari”, “conservatori” o “progressisti”. L’oggettività è la chiave. Benedetto XVI afferma questo quando dice: “Tale ricerca va compiuta non condannandosi reciprocamente, ma ascoltando attentamente gli uni gli altri e, fattore ancor più importante, ascoltando la guida intima della liturgia stessa”.

E la Chiesa è stata sempre consapevole che la sua vita liturgica doveva essere orientata verso il Signore e comportava un’atmosfera profondamente mistica. È proprio da questa verità che dobbiamo cogliere le risposte. Perciò invece di uno spirito di “free fall” che lascia tutto alla creatività e alle innovazioni senza radici o profondità, bisogna mettersi in sintonia con quell’orientamento sopra menzionato e portarlo alla sua piena fioritura.

Il papa afferma l’importanza di questa dimensione quando dice che la naturale direzione della preghiera liturgica é “versus Deum, per Jesum Christum” anche se di fatto il sacerdote volge se stesso verso il popolo. Non è tanto una questione di forma ma di sostanza.

Il libro di padre Lang mostra come la Chiesa considerò lungo la sua storia l’importanza di dirigere la sua preghiera sempre verso il Signore, sia nei contenuti che nei gesti.

Per poter cogliere il valore profondamente spirituale ed efficace della vita liturgica della Chiesa occorre non solo uno spirito di ricerca scientifica o teologico-storica ma, e soprattutto, un atteggiamento di meditazione, preghiera e silenzio. Chi studia il cammino storico della liturgia e si impegna a contribuire al suo progresso deve mettersi in umile ascolto dell’evolversi delle tradizioni liturgiche della Chiesa lungo i secoli, del ruolo importante del magistero, come anche dello sviluppo graduale dentro la comunità ecclesiale di quese tradizioni, e munirsi d’uno spirito di intensa preghiera e di adorazione del Signore. Un vero liturgista è un uomo di preghiera, sempre pronto ad ascoltare la voce del Signore. Perché ciò che succede nella celebrazione di lode della Chiesa non è solo una realtà terrena e umana. E se questi aspetti mistici non vanno traditi, tutto diventerà causa di edificazione anziché di disorientamento e di confusione. Arbitrarietà, frettolosità ed emotività non devono avere nessun posto in questa ricerca. La costituzione conciliare sulla sacra liturgia affermò proprio questo quando disse:

“Per conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via ad un legittimo progresso, la revisione delle singole parti della liturgia deve essere sempre preceduta da un'accurata investigazione teologica, storica e pastorale. Inoltre devono essere prese in considerazione sia le leggi generali della struttura e dello spirito della liturgia, sia l'esperienza derivante dalle più recenti riforme liturgiche e dagli indulti qua e là concessi. Infine non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti” (Sacrosanctum Concilium, 23).

Per questo la stessa costituzione conciliare offrirà delle norme stringenti e chiare su chi è veramente competente nella guida delle innovazioni liturgiche affermando tra l’altro che “di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica” (Sacrosanctum Concilium, 22).

Questo grande senso di riverenza verso ciò che si celebra scaturisce non solo dal fatto della centralità della liturgia nella vita della Chiesa, affermata dal principio “lex credendi, lex orandi”, ma dalla convinzione che la liturgia non è puramente un atto umano ma una riflessione di ciò che succede, come dice la stessa Sacrosanctum Concilium, “nella liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini”.

La liturgia è anche ciò che viene dato in dono alla comunità della Chiesa, la sposa di Cristo e la Gerusalemme celeste.

Purtroppo per ragioni varie, qualche volta anche ben intenzionate, si notano sacerdoti e anche vescovi che introducono ogni sorta di sperimentazione o cambiamento, facendo diminuire il senso del sacro e del mistico di ciò che viene raffigurato nelle celebrazioni liturgiche della Chiesa. La tentazione di diventare protagonisti in prima linea dei misteri divini e di cercare di controllare anche l’agire del Signore è forte in una cultura che divinizza l’uomo. In qualche paese la situazione è diventata o sta diventando veramente drammatica. Spesso sparisce ogni senso del sacro in quelle cosiddette liturgie.

Nell’Asia cresce il fiore di loto, uno dei fiori più belli. Ma esso cresce in mezzo al fango. Anche se il fango non è bello, il fiore spunta fuori e si orienta verso il sole facendo sbocciare i suoi petali e regalando bellezza alla natura. Vedo qui una rassomiglianza alla vita umana. Ciò che veramente libera l’uomo non è ciò che lo tiene immerso nel fango delle sue debolezze e delle sue scelta, ma la capacità che egli acquisisce per liberarsi da quelle e volgere la sua vita verso l’infinito e verso il suo Creatore. Non è abbassando il senso del divino al livello umano ma cercando di alzarsi ai livelli soprannaturali che noi riusciremo ad attingere ai misteri divini.

La liturgia non è ciò che l’uomo determina ma ciò che il Signore fa nascere in lui: un atteggiamento di adorazione verso il suo Creatore e Signore, liberandolo dalle sue schiavitù. Se la liturgia perde la sua dimensione mistica e celeste, che cosa aiuterà l’uomo a liberarsi dal fango dell’egoismo e della schiavitù? Se la Chiesa non insiste sulle dimensioni mistiche e profondamente spirituali della vita e della celebrazione della vita, chi lo farà? Non è questo il nostro dovere davanti a un mondo che si chiude in se stesso, diventando disorientato e insicuro e prigioniero di sé? Se l’uomo pretende di capire tutto ciò che il Signore fa, allora non è Dio che guida la storia umana ma l’uomo stesso. Non è questa l’antica idolatria denunciata dai profeti?

La Chiesa, che deve riflettere la presenza continua di Cristo nel mondo, è posta al servizio dell’umanità per aiutarla a liberarsi dalla prigionia di chiusura in se stessa, far scoprire la sua vocazione alla pienezza di vita nel Signore e aprirsi al gioioso abbraccio con l’infinito. La sua comunione intima con lo Sposo, riflettuta e nutrita soprattutto nella sua vita liturgica, diventa la manifestazione potente della libertà infinita che l’umanità, in essa, può sempre raggiungere.

Perciò, conservare e progredire nell’arricchimento del misticismo spirituale della liturgia non è più un’opzione ma un obbligo per noi. Se il mondo cade nella fossa dell’autosufficienza umana e per questo la sete per l’infinito è ancora più intensa, la Chiesa non può non offrirla, perché in Cristo l’umanità viene innalzata al cospetto divino. Non è abbassandosi alla superficialità che la liturgia ci motiverà a riflettere i valori dell’infinito al mondo, ma affermando quelle dimensioni mistiche e divine sempre di più. Ciò diventa oggi più che mai un’espressione anche del ruolo profetico della Chiesa.

Grazie, padre Lang, per questo libro che ci aiuterà sempre di più a volgere lo sguardo verso il Signore.

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