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Eucaristia e poesia di Tommaso d'Aquino
Una goccia di Sangue per sollevare il mondo

di Inos Biffi

Il primo splendore che promana dal linguaggio lineare, rigoroso, intellettivamente trasparente delle composizioni poetiche eucaristiche di san Tommaso d'Aquino è lo splendore della verità: splendor veritatis.

Ma a questa precisione teologica, propria di uno "scolastico", si uniscono mirabilmente la pietà e lo stupore ammirato e contemplativo, che accendono e trasfigurano quella teologia. Il mistero irraggia dall'esperienza del credente divenuto poeta; la teologia ineccepibile si riveste della bellezza e dell'emozione della lirica. La fides - direbbe sant'Ambrogio - si fa canora.

Del resto, di là dagli inni letterariamente poetici, un diffuso soffio di viva poesia pervade e anima tutta la composizione dell'ufficio e della messa in onore del Corpo e del Sangue del Signore, di cui l'Angelico è autore, dove largamente si incontrano e si fondono la limpidità e la precisione dell'idea con la vibrazione e l'abbandono del sentimento.

All'origine di questa diffusa poeticità si trova la sorgente stessa, a cui attinge tutta questa esuberante composizione, ossia la Scrittura, i cui testi riccamente intessono questo ufficio e questa messa. E, tuttavia, non si tratta di semplici citazioni ripetute fedelmente e opportunamente scelte e collocate: spesso un tocco felice di artista le rimodella e le ricrea, rivestendole di bellezza e di attrattiva nuova. Tutta una poesia biblica si diffonde dalla innumerevole serie di antifone e responsori, che a sua volta la musica e il canto liturgico hanno concorso a esaltare e a rendere ancora più appassionata e contemplativa.

Ma volgiamo qui l'attenzione agli Inni eucaristici dell'Angelico, in cui è possibile cogliere, in una varietà di intrecci, la storia e la teologia dal linguaggio puntuale, la lode, l'adorazione e l'implorazione.

Il "mistero del corpo glorioso, e del prezioso sangue (gloriosi corporis mysterium, sanguinisque pretiosi)" porta alla memoria di Tommaso anzitutto l'ultima cena, con i tratti di amicizia e di fraternità che l'hanno contrassegnata. Così egli canta nel Pange, lingua: "Dato a noi e per noi nato da una vergine illibata, trascorsa nel mondo la sua vita e sparso il seme della parola, mirabilmente concluse il suo soggiorno. La notte dell'ultima cena, giacendo a mensa coi fratelli, osservata fedelmente coi cibi rituali la legge antica, dona se stesso in cibo ai dodici". E nel Verbum supernum: "Il Verbo celeste, veniente dal Padre, e sempre alla sua destra, portando a compimento la sua opera, giunse alla sera della vita. Uno dei discepoli lo consegnava ai suoi nemici per esser messo a morte, ed egli si offrì loro in cibo di vita".

E, allo stesso modo, nel Lauda, Sion: "Solenne è celebrato il giorno che ricorda la prima istituzione di quest'agape". Il "pane vivo e vitale (panis vivus et vitalis)" "nella mensa della santa cena alla compagnia dei dodici fratelli senza dubbio fu donato", mentre, insieme, "Cristo dispose che in sua memoria si compisse quello che egli fece nella cena".

Nell'Eucaristia le antiche prefigurazioni si compiono e i vecchi riti sono finiti, e sopraggiunge una realtà nuova: "Il pane del cielo porta a compimento le prefigurazioni (dat panis caelicus figuris terminum)" (Sacris sollemniis). Esso "nei simboli è prefigurato: quando è immolato Isacco, quando è scelto l'agnello della Pasqua e ai padri è offerta in dono la manna. In questa mensa del nuovo re, la nuova Pasqua della legge nuova svuota la Pasqua (il passaggio) antica. La novità fa fuggire la vecchiezza, la verità fa dileguare l'ombra, la luce dissipa le tenebre" (Lauda, Sion).

"Dopo la consumazione dell'agnello che lo adombrava ai discepoli fu dispensato il Corpo del Signore (Post agnum typicum expletis epulis, / corpus dominicum datum discipulis)" (Sacris sollemniis).
E, cantando l'istituzione dell'Eucaristia, l'Angelico illustra il suo mistero.
L'Eucaristia è il ricordo della morte di Cristo. In uno dei suoi versi più appassionati egli esclama: "O memoriale della morte del Signore (O memoriale mortis Domini)" (Adoro te). Essa è "il corpo glorioso (gloriosus corpus)" e "il prezioso sangue (sanguis pretiosus)" (Pange, lingua). Il tema speciale del suo canto - dichiara il poeta - è il "pane vivo e vitale (Laudis thema specialis, panis vivus et vitalis)", "il pane degli angeli" che "diviene il pane degli uomini (Panis angelicus fit panis hominum)" (Lauda, Sion).

Da qui la sorpresa ammirazione, che un altro verso esprime con vibrante commozione: "O cosa mirabile: il servo, povero e umile, si nutre del Signore" (Sacris sollemniis). E, se "nascendo Cristo si è fatto compagno, e alimento cenando con i suoi", "nella morte si offre in riscatto, e si dà come premio nel regno" (Verbum supernum). Ma al poeta teologo preme precisare con rigore i vari aspetti del mistero eucaristico: la sostanza, la conversione, le specie eucaristiche, la loro frazione, i ministri e quanti ricevono il sacramento. Il Lauda, Sion li fa passare analiticamente: "Ai discepoli di Cristo questo dogma è consegnato: il pane si trasforma in carne e il vino in sangue. Sotto diverse apparenze - segni senza sostanza - realtà sublimi si nascondono: la carne che è nutrimento, il sangue che è bevanda. E, pure, sotto l'una e l'altra specie Cristo resta tutto intero: non spezzato da chi lo assume, non infranto, non diviso, viene assunto nella sua integrità. Lo riceve uno, lo ricevon mille: quanto questi tanto quello, né assunto è consumato. E alla frazione del sacramento, non turbarti, ma ricorda: tanto Cristo è celato nel frammento, quanto lo è nella totalità. La realtà non patisce divisione, la frazione coinvolge solo i segni, né lo stato si riduce e neppure la statura di chi è simboleggiato. Lo ricevono i buoni, lo ricevono i cattivi, ma con esito ineguale, di vita oppur di morte: di morte per gli iniqui, di vita per i buoni: vedi dunque di una stessa comunione quanto l'effetto sia dissimile".
L'inno Verbum supernum focalizzerà: ai discepoli "sotto le due specie donò la carne e il sangue, al fine di nutrire con la duplice sostanza tutto l'uomo".

Quanto ai ministri dell'Eucaristia, sono unicamente i presbiteri: "Ha istituito così questo sacrificio, di esso incaricando i soli presbiteri: a loro incombe di consumarlo e di elargirlo agli altri" (Sacris sollemniis).

E un'altra sottolineatura degli Inni eucaristici di Tommaso - e di tutta la sua teologia eucaristica - è la necessità assoluta e imprescindibile della fede: sola fides.

I sensi giudicano e si fermano secondo le apparenze: non sanno andare oltre, non riescono a raggiungere, sotto le specie, la presenza della sostanza, cioè del Corpo e del Sangue di Cristo. Vedono giusto solo quanto alle apparenze; ma, di là da esse, non sono in grado di percepire nulla. Perciò è detto che essi vengono meno, e falliscono. La presenza reale del Signore è attestata unicamente dalla fede, che si pone in ascolto della sua Parola: "Il Verbo fatto carne con la sua parola rese la propria carne pane vero, mentre il vino diventa il sangue di Cristo; che, se i sensi si smarriscono, la sola fede basta a rassicurare il cuore sincero". "La fede sopperisca all'infermità dei sensi (praestet fides supplementum sensuum defectui)" (Pange, lingua). "La fede ardimentosa, di là dall'ordine naturale, conferma quello che non comprendi e quello che non vedi" (Lauda, Sion). "La vista, il tatto, il gusto non ti avvertono: si crede senza esitazione solo per quello che l'udito ha ascoltato. Credo a tutto quello che il Figlio di Dio ha asserito: nulla è più vero della parola di verità" (Adoro te).

Il Corpus Domini è sorto come festa speciale dedicata al culto e all'esaltazione del Corpo e del Sangue di Cristo, ed è esattamente l'invito alla lode e all'adorazione che ricorre negli Inni eucaristici di san Tommaso. Così nel Pange, lingua: "Canta, o lingua, il mistero del corpo glorioso e del prezioso sangue, effuso, per riscattare il mondo, dal re delle genti, frutto di un grembo generoso". "Prostràti, veneriamo un così grande sacramento (Tantum ergo sacramentum veneremur cernui)".

La memoria dell'istituzione dell'Eucaristia e l'adorazione del Corpo e del Sangue del Signore si accompagnano e si alternano negli Inni di san Tommaso con una intensa e calda implorazione: "Ti chiediamo, o Dio trino e uno: come noi ti onoriamo, così vieni a visitarci, e sulle tue vie sii guida alla mèta cui tendiamo: alla luce che tu inabiti" (Sacris sollemniis).

"O Gesù, Pastore buono, veramente pane, abbi di noi pietà: sii tu a pascolarci e a custodirci; facci tu vedere il bene nella terra dei viventi. Tu, che conosci tutto e tutto vali, che qui pasci noi mortali, rendi i tuoi commensali di quaggiù, i coeredi e i compagni dei santi cittadini" (Lauda, Sion).

Ma soprattutto nell'Adoro te devote la lode al Corpo e al Sangue del Signore mirabilmente si fonde in appassionata e lirica preghiera. La sacra dottrina del teologo, tutta intrisa di Scrittura, e la vena ispirata del poeta si fondono con la devozione accesa dell'orante, quasi con lo spasimo del mistico, che parla dall'abbondanza del cuore e che brama di vedere Cristo di là dai veli e dai nascondimenti del sacramento. L'inno è stato definito "una di quelle composizioni armoniose e geniali, insieme ricche e semplici, che sono servite, più di molti libri, a formare la pietà cattolica" (Wilmart). "Poema teologico", accuratamente strutturato nel ritmo e nelle assonanze, è, insieme, tutta una invocazione personale a Gesù nell'Eucaristia:
"Devotamente ti adoro, o verità nascosta, che ti celi veramente sotto queste forme. Il mio cuore tutto a te si sottomette, poi che a contemplarti si sente tutto venir meno (Adoro te devote, latens veritas, / te quae sub his formis vere latitas. // Tibi se cor meum totum subicit, / quia te contemplans totum deficit)".

La non visione di Cristo, che nell'Eucaristia è assoluta, non deve attenuare l'adesione; la deve, anzi, accrescere, suscitando l'abbandono confidente del ladro in croce o la confessione dell'apostolo Tommaso, pur nella mancanza della constatazione e del contatto delle piaghe.

Le assenze dell'Eucaristia devono incrementare la fede, che dà inizio all'intimità divina, la speranza e l'amore: "Sulla croce era nascosta solo la divinità, ma qui è occulta anche l'umanità; e, pure, l'una e l'altra credendo e professando, chiedo quello che ha implorato il ladro penitente. Con Tommaso non ravviso le ferite, e tuttavia ti proclamo mio Dio. Fa' che sempre più io creda, che in te speri e che ti ami".

L'Eucaristia è il memoriale della morte del Signore. La definizione di Tommaso diventa una piissima esclamazione: "O memoriale della morte del Signore, pane vivo e fonte di vita per l'uomo (O memoriale mortis Domini, / panis vivus vitam praestans homini)".

Memoriale della morte e pane vivo, del quale si domanda di vivere per sempre e di gustare la dolcezza, l'Eucaristia è anche sangue che fluisce dal petto squarciato di Gesù, assimilato a un pio pellicano e invocato a purificare dall'immondezza: un sangue tanto prezioso, di cui anche una sola goccia sarebbe bastata a salvare da ogni delitto il mondo intero: "Donami di vivere sempre di te, e di non cessare mai di assaporare la tua dolcezza (Praesta mihi semper de te vivere, / et te mihi semper dulce sapere)". "Pio pellicano, Gesù Signore, mondami col tuo sangue nella mia impurità: una sua sola goccia basterebbe a salvare da ogni crimine il mondo intero".

Soprattutto gli ultimi devoti e commossi accenti rivolti personalmente a Cristo rivelano in tutto il suo incanto e la sua emozione la poesia eucaristica di san Tommaso teologo e mistico del Corpo e del Sangue del Signore. La tradizione non conosce elevazioni eucaristiche più devote e più belle di queste e si comprende perché la Chiesa le abbia assunte ancora le usi per cantare la propria adorazione e il proprio fervore. "O Gesù, che ora scorgo ancor velato, quando si avvererà quello di cui ho tanta sete? Cioè di contemplarti apertamente e quindi di essere beato nella visione della tua gloria (Ihesu, quem velatum nunc aspicio, / quando fiet illud quod tam sicio? / Ut te revelata cernens facie, / visu sim beatus tuae gloriae)".

Per altro, questi versi rivelano il senso e l'esito della teologia e del lavoro teologico di Tommaso, che nella conclusione della sua vita sentiva e giudicava tutti i suoi scritti come "paglia". Egli era impaziente che tutto l'enuntiabile, tutto il castello dei concetti si convertissero e sfociassero alla res, alla realtà. Ma questa è la sete di ogni credente, cui la Rivelazione, grazie allo Spirito, abbia confidato i "segreti di Dio": lo prende l'accoramento di vedere Cristo e in lui di vedere Dio. Com'è detto da Dante nella Commedia: "Che del disïo di sé veder n'accora" (Purgatorio, canto V, 57).

Così, per sua natura, dovrebbe sempre essere la vera teologia: non quella che si attarda nel sospetto o perde troppo tempo a dialogare con una cultura che, mancando della fede, neppure può capire che cosa sia un sapere tutto sospeso alla divina Parola.

Se, poi, in tema di Eucaristia oggi c'è un'urgenza, è quella di ridire e di ammirare il miracolo e la grazia della presenza reale, in virtù della transustanziazione, che tanto ha attratto la mente e il cuore del Dottore Angelico.


(©L'Osservatore Romano - 22 maggio 2008)

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